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CHI MI AMA MI SEGUA: LO STORICO CLOSE UP DI OLIVIERO TOSCANI

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Decidere quale inquadratura scegliere per trasmettere un messaggio visivo è una scelta fondamentale ai fini della efficace comunicazione.

Scegliere un primo piano è cosa che dà risultati molto diversi da un campo medio, un piano americano o un primissimo piano.

L’inquadratura è una limitazione del campo visivo ripreso da un obiettivo o il modo in cui un’immagine o un soggetto sono stati ripresi e l’effetto che ne deriva.

Scegliere una determinata inquadratura fa derivare, a livello di percezione umana, un determinato effetto

Ci sono, per esempio, alcuni tipi di inquadrature che devono essere usate quando l’autore desidera presentare un ritratto a forte connotazione psicologica, smuovendo le emozioni interiori dei destinatari e creando un forte legame emotivo fra essi e la vicenda narrata o il protagonista di tale vicenda. Uno di questi è il primo piano.

Il marchio Jesus Jeans fu protagonista di quello che viene considerato uno degli eventi più importanti della storia italiana della pubblicità.
Emanuele Pirella
La campagna fu affidata a Michael Goettsche e Emanuele Pirella, che coniarono lo slogan "chi mi ama mi segua", a commentare le natiche semicoperte della modella Donna Jordan, in una celebre foto di Oliviero Toscani.

Oliviero Toscani
In realtà la citazione è "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". (dal Vangelo secondo Matteo, 16, 24, CEI; confronta anche Mc 8, 34, Lc 9, 23 e Gv 12, 26).

Masaccio - Cappella Branacci - Firenze
L'accostamento tra frasi della Bibbia e immagini provocanti non mancò di scatenare accuse e polemiche. Del caso si occupò anche Pier Paolo Pasolini, sul Corriere della sera. In Sviluppo e progresso, saggio pubblicato in Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti, Mondadori, Milano 1999, Pasolini commenta l'Italia "tappezzata di manifesti rappresentanti sederi con la scritta «chi mi ama mi segua»" dicendo "tra l'«Jesus» del Vaticano e l'«Jesus» dei blue-jeans, c'è stata una lotta. [...] Il Gesù del Vaticano ha perso."


Dal punto di vista semiotico si tratta di una inferenza. Accostando il marchio Jesus (vi è un implicito richiamo al nome latino del Messia) e una frase che non è che una citazione inesatta di un passo del Vangelo, all'immagine provocante delle natiche della modella Donna Jordan rivestite da un paio di attillati shorts in jeans, si fece nascere nella mente del destinatario la nuova conoscenza che la pubblicità fosse trasgressiva.

A parte ciò, non siete d'accordo che l'inquadratura scelta da Oliviero Toscani per la celebre pubblicità della Jesus, che inquadra in primo piano solo una piccola parte del corpo della modella sia riuscito a smuovere, trent'anni fa, le emozioni interiori dei destinatari?

Oliviero Toscani racconta nel programma di Virginia Zullo la nascita della pubblicità scandalo dei jeans.



IL MITO DEI MESSAGGI SUBLIMINALI

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Quante volte avete sentito parlare di messaggi subliminali? I messaggi subliminali e la persuasione occulta esistono, solo che non sono quelli che per decenni ci hanno indicato.

Un frame di pochi millesimi di secondo inserito in un video non istiga nessuno a compiere atti o provare desideri indotti dai pubblicitari. Queste sono solo leggende.

Un esempio tra i tanti lo possiamo trovare in Fight Club, il film girato da David Fincher nel 1999 e che ha nel cast attori del calibro di Edward Norton e Brad Pitt.

Nella scena finale, quando il protagonista e Marla Singer assistono da un grattacielo alle esplosioni delle 12 banche, compare il fotogramma di un pene.

Il fotogramma incriminato nella scena finale di Fight Club
Nello stesso film vi è una ridondanza visiva. Senza controllare ogni sequenza possiamo fidarci della parola del regista che ha dichiarato di aver inserito in ogni scena almeno una tazza di Starbucks.

Le innumerovoli tazze di Starbucks piazzate da Fincher nelle varie scene del film
Non per questo le vendite delle note bevande a base di caffè hanno registrato un'impennata dopo l'uscita del film. 

Meccanismi divertenti e di per sé abbastanza inoffensivi. La vera persuasione occulta, da sempre adoperata da pubblicità e propaganda politica si basa su ben altri fattori, molto più incisivi ed efficaci.

Si tratta di strutture semionarrative profonde, di modelli attanziali, quadrati semiotici, simbologia, codici, icone, forme e altri elementi percettivi che agiscono sull'inconscio umano, affascinando e coinvolgendo, spingendo a desiderare e apprezzare ciò che i grandi persuasori vogliono.

Naturalmente, l'utilizzo delle persuasione occulta può essere un'arma a doppio taglio, ma non implica necessariamente, come in tanti pensano, un'azione sempre fraudolenta o poco etica, come ad esempio nella propaganda di tanti regimi totalitari.

Il pensiero di Mussolini sul ruolo della cinematografia
Può essere anche uno stratagemma per rendere la comunicazione più efficace che può essere utilizzato anche per fini nobili e altruistici, stimolando le corde più elevate dell'animo umano.

Si può coinvolgere un medico e spingerlo, con una buona comunicazione, a offrire un anno della sua vita e della sua esperienza per curare popolazioni indigenti.

Si può indurre un gruppo sociale abbiente a una maggiore generosità nei confronti di quanti si trovano in difficoltà economiche.

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Si possono coinvolgere migliaia di persone a combattere per una causa nobile e giusta.

Naturalmente su queste leve agiscono anche gli esperti di marketing più quotati, per ottimizzare il processo di conversione target - cliente come nel caso delle pubblicità di Dolce & Gabbana del 2006 firmate da Steven Klein e basate sul quadrato semiotico.

Ricordiamo a tale proposito che il quadrato semiotico mette in relazione coppie di concetti presenti nel testo visivo, opposti e complementari e serve a dare maggior dinamismo, facendo crescere esponenzialmente l'appeal del testo medesimo e della marca sottintesa.

Il quadrato semiotico seduttore-in-piedi/sedotto-sdraiato e non-seduttrice-non-in-piedi/non-sedotta-non-sdraiata
Il quadrato semiotico seduttore-seduto/sedotto-non-seduto e non-seduttrice-non-in-piedi


IL BACIO DI KLIMT E L'EQUILIBRIO DELLE ANTITESI

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Un uomo e una donna, si baciano, abbracciati, avvolti in morbide vesti d'oro, nel capolavoro di Gustav Klimt, realizzato nel 1907-08 e conservato nell'Österreichische Galerie Belvedere di Vienna.

L'opera esprime la profonda antitesi di due universi, quello maschile e quello femminile, differenti eppure complementari, che solo nell'unione estatica ricreano l'equilibrio perfetto di grazia e bellezza.

Il capolavoro di Gustav Klimt realizzato nel 1907-08 e conservato nell'Österreichische Galerie Belvedere di Vienna.
L'antitesi viene chiaramente rappresentata dall'artista attraverso le mani forti, nodose e affusolate dell'uomo, in contrasto con la lucentezza della pelle della ragazza. Viene sottolineata dai codici gestuali dei due, lui forte, che la sostiene con virile dolcezza e lei che si abbandona al suo abbraccio protettivo con fiducioso languore.



Anche le categorie eidetiche, che si occupano del significato inconscio delle forme partecipano a evidenziare tale dicotomia: le vesti di lui sono ricoperte di fregi quadrangolari allungati, da linee diritte che rimandano all'idea di forza, virilità, energia; quella di lei sono adornate da linee circolari e ondulate, che fanno percepire inconsciamente al destinatario una sensazione di dolcezza, femminilità, tenerezza.

Le categorie eidetiche presenti nell'abito maschile e in quello femminile
I due estremi trovano l'equilibrio nell'uso di una forma circolare, morbida, nell'abbraccio di lui e nella linea diritta formata dal corpo eretto di lei che forma un angolo retto con la posizione in ginocchio.

L'oro abbagliante del mantello che li ricopre e li avvolge è allegoria del loro amore e metafora della preziosità del legame che li unisce. È inoltre icona dei preziosi mosaici bizantini e simbolo della sacralità del sentimento che provano. La posa addirittura ricorda quella della Vergine che tiene in braccio il Bambino, una citazione che intende evidenziare il valore sacro del vero amore.

L'edera che cinge il capo di lui è simbolo di fedeltà, di eterno amore; i fiori fra i capelli di lei di bellezza, dolcezza, fecondità.

L'edera e i fiori nei capelli, simboli rispettivamente di fedeltà e fecondità
L'edera, trasformata in oro, avvolge anche le caviglie di lei, simbolo del legame di fedeltà che diviene un tesoro che contemporaneamente la delizia e la blocca, nell'estasi amorosa che non è solo piacere di un attimo ma intera vita di gioia e di pienezza.

L'analisi del capolavoro di Klimt su Ars Europa Channel. Buona visione!

LA COLAZIONE SULL'ERBA DI MANET E LA PERFETTA ICONICITÀ

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Nella Colazione sull'erba di Édouard Manet, capolavoro del 1863 conservato presso il museo d'Orsay di Parigi, che tanto fece discutere i critici e il pubblico del tempo, al punto che fu accusata di essere indecente, scabrosa, scandalosa, vi è la perfetta iconicità.

L'autore non vuole lanciare messaggi, non intende simboleggiare concetti o alludere a eventi o considerazioni filosofiche mediante allegorie.

Manet intende solo rappresentare la realtà come lui la vede, vuole produrre una sorta di fotografia composta con i pennelli e i colori.



Ecco quindi le icone di quattro giovani, due donne e due uomini, in riva alla Senna, subito dopo una colazione sull'erba.

Fra le icone degli abiti sparsi, del cappello di paglia di Firenze, del pane, delle ciliegie, dei fichi e degli altri frutti, avanzi del picnic, l'autore ha invece inserito quelli che nella realtà sarebbero indici.

Gli indici che aiutano a comprendere la temporalità della rappresentazione
Infatti il tipo di frutta ci suggerisce che siamo all'inizio dell'estate, così come l'abbigliamento sparso a terra. La bottiglia vuota ci indica che il picnic è finito, non all'inizio. Il fatto che le due giovani siano la prima nuda e la seconda immersa nelle acque della Senna, ci indica che fa caldo.

I codici dell'abbigliamento dei due giovani ci raccontano che la vicenda è ambientata a fine Ottocento e che i due sono eleganti dandy cittadini.

I codici dell'abbigliamento indicano il periodo in cui collocare la rappresentazione
La barca ancorata alla riva suggerisce inequivocabilmente che il corso d'acqua non è un ruscello o un piccolo stagno, ma un fiume o comunque una via d'acqua percorribile.

Interessante la scelta di una inquadratura a campo medio per sottolineare che ciò che interessa all'autore è soprattutto mostrare il rapporto fra i protagonisti, come pure la scelta dell'angolo di ripresa, ad altezza occhi, come se anche il pittore fosse a sua volta sdraiato sull'erba, come se fosse uno dei partecipanti alla colazione.


Tale sensazione è acuita dal fatto che la donna guarda diritto verso l'invisibile interlocutore e questo stratagemma permette al destinatario che ammira l'opera  di immedesimarsi in Manet e di vedere il mondo così come lui lo vedeva.

POLTRONESOFÀ, IL CLIMAX DEGLI ARTIGIANI

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Molto interessante e ben congegnato l'advertising di Poltronesofà il cui payoff è "artigiani della qualità".

Poltronesofà nasce nel 1995 a Forlì dall'imprenditore Renzo Ricci che ha trasformato quella che era una piccola azienda in una delle imprese italiane più conosciute in patria e all'estero.

È utile ricordare la genesi della comunicazione aziendale: all'inizio c'era Sabrina Ferilli come testimonial, icona di bella donna mediterranea e simbolo di italianità verace, quasi una prosopopea (la prosopopea è una figura retorica che si ha quando si fanno parlare o agire oggetti inanimati o animali, come se fossero personedell'Italia stessa e della comodità dei divani, che, con le sue forme generose e il suo fare accogliente ) alludeva alla sensazione di confort che l'acquirente avrebbe provato abbandonandosi fra i braccioli e i cuscini del suo nuovo sofà.

Sabrina Ferilli, brand ambassador del marchio
Quindi il brand ambassador Ferilli era l'aiutante del modello attanziale delle storie pubblicitarie, che presentava gli artigiani dell'azienda al pubblico a casa.

Poi gli artigiani stessi (complice la causa di sfruttamento d'immagine intrapresa dalla Ferilli) sono divenuti protagonisti degli spot: i lorocodici mimetici, gestuali e linguistici indicavano la loro professionalità, l'esperienza, la cura e l'italianità verace, data dall'indice della calata romagnola.

Gli artigiani sono diventati i protagonisti dello spot
Ora, in questo percorso di avvicinamento al cliente, in un climax ascendente, ecco che arriva un nuovo personaggio, il venditore, curato, elegante, magrissimo e professionale, che diviene il nuovo aiutante non solo dell'artigiano (esplicitato dalla scena in cui l'artigiano stesso gli chiede di dargli una mano a tagliare la stoffa) ma anche e soprattutto del cliente futuro, che lo incontrerà in negozio.

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Ecco quindi il modello attanziale (Secondo il semiologo Greimas quasi ogni testo è organizzato in forma narrativa e lo schema interpretativo applicabile a tutte le forme di narrazione è il modello attanziale. Il modello attanziale è un modello paradigmatico fondato sulle relazioni di opposizione esistenti fra sei fondamentali attanti o ruoli narrativi che sono: soggetto (colui che compie l’azione);   oggetto (che è la meta dell’azione); aiutante (che aiuta il soggetto); opponente (che ostacola il soggetto);destinante (che è il mandante del soggetto all’inizio della narrazione);destinatario (a cui viene affidato alla fine l'oggetto o attante finale della comunicazione):

  1. Soggetto - artigiano
  2. Oggetto . offrire alla clientela i migliori sofà artigianali
  3. Aiutante - in ordine: la Ferilli, il venditore, la professionalità, l'esperienza e gli sconti sempre molto alti
  4. Opponente - l'eventuale poca fiducia dei clienti o il costo elevato
  5. Destinante - il marchio Poltrone e sofà, gli artigiani
  6. Destinatario - il target a casa

Non dimentichiamo di citare la presenza negli spot di artigiani già particolarmente anziani al lavoro, indice di tradizione, grande esperienza e bonaria saggezza dell'emittente.

LA MIA VITA DA ZUCCHINA, IL QUADRATO SEMIOTICO DELL'ABBANDONO

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Anche un film di animazione per essere efficace deve usare buone strutture. Questo è il caso de
"La mia vita da Zucchina".

"Ma vie de Courgette"è un film del 2016 diretto da Claude Barras ed è realizzato in animazione a passo uno. Racconta le avventure e disavventure di Icare, soprannominato Zucchina, bambino di 9 anni che, dopo la scomparsa della madre, viene mandato a vivere in una casa-famiglia.

Abbiamo ilquadrato semioticoche ci mostra le dinamiche del gruppo di personaggi.

Il quadrato semiotico mette in relazione coppie di concetti presenti nel testo visivo, opposti e complementari e serve a dare al testo maggior dinamismo, facendolo percepire come più accattivante dallo spettatore.

La zia cattiva, "non ritrovata" nel quadrato semiotico
  • Abbandonati- La madre alcolizzata di Courgette, i genitori "perduti"
  • Ritrovati- I bambini della casa famiglia
  • Non Abbandonati- Il poliziotto buono, da quando incontra Courgette e gli vuol bene al punto da adottare lui e Camille
  • Non ritrovati - La zia cattiva, che vorrebbe Camille con sè solo per ricevere sovvenzioni dallo Stato
Il poliziotto buono è "aiutante" nel modello attanziale
Il modello attanziale, che ci racconta lo scopo della vicenda e i suoi attanti è:
  1. Soggetto - Courgette e Camille
  2. Oggetto - vivere serenamente l'infanzia
  3. Opponente - l'indifferenza o l'abbandono dei genitori biologici
  4. Aiutante - l'amore che trovano nella casa famiglia e quello del poliziotto buono
  5. Destinante - le ferite a loro volte ricevute dai genitori snaturati dalla vita e dalla società disattenta
  6. Destinatario - i bambini abbandonati e poi ritrovati
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Le funzioni comunicative usate sono:
  • la referenziale (raccontare la vita dei bambini piegati dalla vita)
  • l'emotiva (fare commuovere il pubblico per la loro sorte sfortunata)
  • l'estetica (raccontare questi drammi in modo poetico, attraverso l'animazione)
Il film usa la funzione estetica per raccontare con grazia e poesia un dramma angoscioso
Un film toccante e poetico, ben costruito anche dal punto di vista comunicativo.

IL CINQUE MAGGIO DI ALESSANDRO MANZONI TRA ANTITESI E ALTRE FIGURE RETORICHE

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Il cinque maggio, ode scritta da Alessandro Manzoni nel 1821, in occasione della morte di Napoleone Bonaparte in esilio sull'isola di Sant'Elena, fa parte dei componimenti manzoniani di argomento storico e fu insolitamente scritta di getto, in soli tre giorni.

Nonostante i veti posti dalla censura austriaca, l’ode ebbe grande diffusione tanto che Goethe la tradusse immediatamente in lingua tedesca.

Per Manzoni, dopo la conversione, da un punto di vista polisemantico, cambia la natura della comunicazione tra l’emittente e il destinatario: la letteratura deve avere infatti “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”.

Questo nuovo aspetto si realizza pienamente, oltre che negli Inni sacri e nelle tragedie, anche nelle odi di argomento politico e civile come ad esempio Il Cinque Maggio e Marzo 1821.



I fatti contemporanei vengono ora interpretati in chiave religiosa e con l’entusiasmo instillato dalla recente conversione: è la prospettiva dell'eternità che dà pieno significato alla vicenda terrena di Napoleone, in cui si sono alternati continuamente significanti caratterizzati da gloriose ascese e rovinose cadute.

I due monosillabi isolati ed antitetici con cui si apre il componimento:
  • “Ei” (“quel grande”, “quel famoso”)
  • “fu” (“è morto”)
racchiudono già tutta l’essenza della vicenda del personaggio, che non ha bisogno di essere nominato esplicitamente sia perché la sua identità si può presupporre dal titolo, sia perché il suo ricordo è ancora vivo nel pensiero di tutti: infatti, in tutta la poesia, non è mai nominato apertamente.


Tutta la lirica si basa poi su una ulteriore serie di antitesi:
  • stasi e movimento
    “ei fu”, “immobile” (stasi), “con vece assidua / cadde, risorse e giacque” (movimento)
    “mobili, lampo, onda, concitato, celere”, “fulmine, baleno, scoppiò, rai fulminei” (movimento), “ozio, stanca man, tacito, inerte” (stasi)
  • luce e tenebre
    “orba, tenebre” (tenebre), “raggio, fulmine, baleno, rai” (luce)
    spazi immensi e luoghi angusti
    “dall’Alpi alle Piramidi…” (immenso),  la “breve sponda” (angusto). 
Il celebre componimento abbonda poi di altre figure retoriche. Tra le principali possiamo trovare le seguenti.
  • Similitudine:
    “Siccome immobile…… così percossa…”;
    “Come sul capo… tal su quell’alma…”;
  • Metafora:
    “orba”;
    “tanto raggio”;
    “il fulmine/ tenea dietro al baleno”;
    “nella polvere…sull’altar”;
    “rai fulminei”;
  • Anafora:
    “dall’Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno […], da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar”;
    “due volte…due volte”;
    “l’onda…l’onda”;
  • Antonomasia:
    “Massimo Fattore”;
  • Sineddoche:
    “orma di pie’ mortale”;
    “breve sponda” (intesa come isola);
  • Ossimoro:
    “la procellosa e trepida / gioia d’un gran disegno”;
  • Perifrasi:
    “dell’uom fatale”;
    “di quel securo”;
    “al disonor del Golgota”;
  • Prosopopea:
    “percossa, attonita / la terra…/ muta”.
Il tema di fondo è la nota meditazione sull'eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia da cui ne scaturisce l'allegoria della vanità delle azioni terrene: anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso.


Oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento.

Nella prospettiva dell'eterno, invece, si svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte.

Ecco il testo dell’ode.

Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Né sa quando una simile
Orma di pie’ mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sònito
Mista la sua non ha:

Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al sùbito
Sparir di tanto raggio;
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;

Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio;
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio
E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò; ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;

E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desideri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.

Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Ché più superba altezza
Al disonor del Gòlgota
Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.

La celebre interpretazione del componimento data da Vittorio Gassman

LUCAS CRANACH E L'ALLEGORIA DI VENERE E CUPIDO

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In Venere e Cupido Lucas Cranach il Vecchio definisce una bellissima e ironica allegoria dei piaceri e i rischi, fisici e morali, dell'amore.

L'opera è un dipinto a olio su tavola databile al 1529 circa e conservato presso la National Gallery di Londra.

Venere è raffigurata in una posa (codici gestuali) che ne evidenzia il fisico sinuoso ed affusolato, e nuda, tranne due semplici accessori (codici dell'abbigliamento): un cappello e un girocollo, che la connotano come una cortigiana.

Luca Cranach il Vecchio, Venere e Cupido.
La sua carnagione eburnea è evidenziata ad arte dallo sfondo di un cespuglio scuro (categorie cromatiche).

Trova un appiglio al ramo di un simbolico melo carico di frutti, secondo l'iconografia tipica di Eva che proprio in quegli anni era oggetto di importanti dipinti e studi sulla proporzione umana.

Un esempio è la celebre incisione del Peccato originale di Dürer, a cui, per similitudine, sembra rifarsi anche il bosco ombroso, popolato di animali simbolici, a sinistra nel dipinto di Cranach.

Albrecht Dürer, Il Peccato Originale
In basso si vede il piccolo Amore/Cupido che ha rubato un favo di miele, ma è perseguitato dalle api che lo pungono.

Il soggetto deriva da un idillio di Teocrito, 'Il ladro di miele', di cui sono note due traduzioni latine del 1522 e del 1528 di studiosi tedeschi, da cui l'artista ha attinto il soggetto.



Si rifà anche al tema allora attualissimo delle malattie veneree, vere e proprie epidemie portate dagli eserciti impegnati nelle varie guerre sul Continente.

Non manca la connotazione morale: Cupido si lamenta con Venere di essere punto dalle api quando ruba un favo. Questo deve essere considerato un vero e proprio commento all'azione rappresentata, come osserva l'iscrizione: "il piacere della vita è mescolato al dolore".

L'antitesi tra la pelle del viso delle dea e quella di Cupido, unita all'accentuazione del rapporto alto/basso tra le due figure, non fa altro che rimarcare il concetto.

Il paesaggio a destra, con il picco roccioso su un corso d'acqua, ricorda da vicino gli scenari tipici della scuola danubiana, di cui Cranach fu uno dei principali esponenti.

LE ANTITESI NELLA CROCIFISSIONE DI CIMABUE

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Nella Crocifissione del transetto sinistro, il celebre affresco di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nella basilica superiore di San Francesco di Assisi, la scena è accoppiata simmetricamente alla Crocifissione del transetto destro, dall'altro lato, non solo per le sua disposizione, ma per una profonda analogia nello sviluppo della rappresentazione e del relativo utilizzo delle categorie eidetiche.

Il Cristo sulla Croce si erge al centro del dipinto, vistosamente inarcato verso sinistra, come nelle note croci lignee sagomate di Cimabue. La tipologia è quella del Christus patiens, cioè di Cristo morente sulla croce. Questa iconografia, introdotta dagli artisti bizantini almeno dal XII secolo, fu portata in Italia agli inizi del secolo successivo.

Il contrasto tra la linea retta verticale determinata dalla croce e la linea arcuata, quasi innaturale del corpo determina un'antitesi formale, dove il contrasto acuisce e facilita l'immedesimazione dei fedeli nei dolori "umani" di Cristo.

L'antitesi tra la linea curva del Christus patiens e la semiretta del braccio longitudinale della croce.
La rappresentazione risulta poi suddivisa in due registri, anch'essi tra loro antitetici, quello superiore e quello inferiore.

L'antitesi tra il registro superiore-celeste, e quello inferiore-terrestre.
La metà superiore, quella celeste, è infatti affollata d'angeli che manifestano tutto il loro dolore, volando in cerchio attorno al braccio breve della croce, coprendosi il viso piangente, alzando le mani al cielo, e raccogliendo pietosamente il sangue di Gesù con delle ciotole.

Una serie di movimenti convulsi e di linee spezzate, rappresentate dalle diagonali dei singoli angeli, aumentano la sensazione di disagio e smarrimento. A risolvere questa sensazione contribuiscono le due linee a semicerchio rappresentate dalle braccia di Cristo e dalla disposizione corale degli angeli. Tali linee prefigurano infatti l'abbraccio divino.

Le categorie eidetiche nel registro superiore.
Nella metà inferiore, quello terrestre, il ritmo è reso altamente tragico dalle due linee di forza, costituite dalle pose drammatiche delle due figure ai lati della croce, la Maddalena a destra che distende le braccia e un ebreo che allunga il braccio quasi a toccare il perizoma prolungato di Cristo, che simboleggia il riconoscimento della figura divina di Cristo da parte di alcuni astanti.

Addirittura la Maddalena solleva anche un ginocchio, come se volesse lanciarsi sulla croce accanto a Gesù.

Adolfo Venturi commenta così la rappresentazione terrena: «...non è più il crocifisso con ai lati le figure simmetriche del portaspugna e del portalancia, né quello con le istorie del suo martirio su un cartellone! Nuova è la scena in cui il dolore e l'odio irrompono da anime forti, le grida contrastano roboanti, i sentimenti si urtano nella tempesta del cielo e della terra».



Ai lati si distendono due gruppi di figure. Quello di sinistra mostra Maria con la mano al petto, nel gesto tipico del dolente, mentre Giovanni le prende la mano per prendersene cura da allora in poi, secondo un episodio narrato solo nel Vangelo di Giovanni. Seguono le tre Marie e una folla di personaggi in secondo piano, tra cui si riconoscono numerosi uomini col capo coperto, gli Ebrei.

Le linee di forza tendono a ricongiungersi nel vertice rappresentato, ovviamente dal Cristo.

Si forma così un triangolo, che definisce un concetto di stabilità, espresso benissimo dal messaggio del sacrificio estremo per la salvezza dell'umanità.

Le categorie eidetiche del registro inferiore
Alla base di questo triangolo troviamo la figura di san Francesco, che è riconoscibile dalle stimmate e che si bagna col sangue di Cristo che scorre sulla montagnola del Golgota fino al teschio nascosto di Adamo.

Francesco diventa quindi il vero intermediario tra l'evento sacro e il fedele, vero e proprio messaggero del significato del grande capolavoro di Cimabue.

I CODICI NEL RITRATTO DI UN GIOIELLIERE DI LORENZO LOTTO

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Il ritratto di un gioielliere di Lorenzo Lotto è un validissimo esempio di utilizzo dei vari codici, da quelli gestuali a quelli dell'abbigliamento, per connotare e definire al meglio il ruolo del personaggio rappresentato.

La persona ritratta è probabilmente Giovanni Pietro Crivelli. Lorenzo Lotto lo colloca in primo piano rispetto all'arioso paesaggio sullo sfondo.


L'inquadratura scelta è un piano ravvicinato, che ha il vantaggio di far vedere da vicino i personaggi ripresi, aumentando il pathos e il senso di prossimità dell'osservatore, attraverso la possibilità di osservare i codici mimetici che regolano il movimenti dei muscoli facciali.

Da questa osservazione si evince il gioielliere è una persona ferma e al contempo pacata.

Il piano ravvicinatoè utile anche per evidenziare gli "accessori" della persona rappresentata.

Pensiamo a tal proposito al mezzobusto televisivo per antonomasia, il giornalista che presenta il telegiornale. L'inquadratura principale si ferma in basso sugli strumenti utilizzati (spesso simbolici): una serie di fogli e una penna, spesso appoggiati su un tavolo, vera e propria "sineddoche" del giornalista.



Anche nel caso di Lotto ritroviamo la stessa composizione. L'inquadratura si ferma all'altezza dell'astuccio con un campionario di anelli nella mano sinistra, dei quali uno viene mostrato, con un sapiente uso dei codici gestuali, allo spettatore con la mano destra, mentre altri quattro anelli sono esposti ordinatamente sulla sporgenza posta davanti a lui.

Lo sfondo naturale dimostra invece l'inscindibile legame tra uomo e natura. Un rapporto che testimonia come il gioielliere siano perfettamente inserito nell'ordine del creato.

Possiamo ora soffermarci sui codici dell'abbigliamento, indice di estrema sobrietà: l'uomo è abbigliato con una semplice tunica nera, rigorosamente abbinata alla berretta.

Non ci si può sbagliare: è proprio il ritratto di un gioielliere, serio e affidabile.

Con questa connotazione l'immagine di Pietro Crivelli viene interpretata dai posteri, fino ai nostri giorni.

LA LA LAND: ALLEGORIA DEL FUTURO CHE NON CI SARÀ

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Il bellissimo musical scritto e diretto da Damien Chazelle, con Emma Stone e Ryan Gosling si connota già dal titolo. La La Land, per assonanza con la sigla, è un riferimento a Los Angeles (“L.A.”; pronunciato elei) e, sempre per assonanza, diviene calembour della parola inglese Lalaland, che definisce uno «stato mentale euforico e sognante, distaccato dalla dura realtà».

Quindi evoca la metafora di “avere la testa tra le nuvole”, pensando a qualcosa di particolarmente bello.

La storia è semplice e profonda. Mia, un'aspirante attrice che lavora come barista presso un caffè degli studi della Warner Bros e Sebastian, un pianista jazz che sogna di aprire un locale tutto suo,si incontrano, si amano, condividono i loro progetti, ma infine saranno proprio i loro sogni a dividerli e a non permetter loro di costruire un comune progetto di vita.

La splendida scala cromatica rosso-giallo-verde-blu delle ragazze nelle fasi iniziali della pellicola
Come sempre, una bella storia si riconosce dalla presenza delle strutture narrative.

Qui, per esempio, fa capolino un modello attanziale:
  1. Soggetto - Mia e Sebastian
  2. Oggetto - vivere felici insieme realizzando i propri sogni
  3. Aiutante - le loro capacità professionali e l'aiuto reciproco dovuto all'amore che li lega
  4. Opponente - le loro capacità professionali che permettono a entrambi di realizzare il proprio sogno
  5. Destinante - il desiderio di farcela
  6. Destinatario - Mia e Sebastian, non solo degli aspetti positivi ma anche di quelli negativi (perdersi)
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Non manca il quadrato semiotico:
  • Successo - Mia e Sebastian che diventano ciò che desideravano, un'attrice famosa e un pianista jazz con un celebre locale tutto suo
  • Sconfitta - Mia e Sebastian che perdono il loro progetto di vita comune e si lasciano, vivendo altre storie ma non il vero amore
  • Non successo - I primi riconoscimenti delle loro capacità professionali, che li indirizzano al pieno riconoscimento delle loro abilità da parte del pubblico, ma che provocano l'inizio della fine del loro amore e del loro sodalizio professionale
  • Non sconfitta - I primi tentativi di riuscita professionali falliti, che erano però preludio al proprio successo, e che permettevano loro di essere felici insieme
Il film è metafora della vita di chi è disposto a tutto pur di realizzarsi professionalmente ma che rischia così di perdere l'unica cosa che vale davvero nell'esistenza.

La sonata jazz diventa l'allegoria visiva di un futuro che vive solo nella musica
Splendida la scena finale in cui la sonata jazz di lui diviene allegoria visiva della vita felice che sarebbe potuta essere se solo Mia e Sebastian avessero messo al primo posto, fra le loro priorità, la volontà di continuare insieme il percorso che li avrebbe portati al successo, non solo professionale ma anche affettivo.


LA SIMBOLOGIA DEL CICLO DEI MESI NELLE RAFFIGURAZIONI MEDIEVALI E LA SACRALITÀ DEL LAVORO

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Il ciclo dei Mesi è un’antica tradizione iconografica che ritroviamo nel Medioevo già all'inizio del XII secolo, ad esempio nelle decorazioni scultoree delle Cattedrali europee.

La sua origine risale però al periodo ellenistico dove era abitudine illustrare con miniature i calendari, in cui i mesi apparivano sotto forma di prosopopee, ovvero personificazioni, legate in questo caso a modelli iconografici di età classica.

La rappresentazione della primavera, mediante la sua prosopopea, in un affresco romano.
La tradizione di raffigurare i Mesi fu trasmessa poi al Medioevo che apportò alcune modifiche iconografiche legate al carattere agricolo, feudale e cristiano della società.

Nel IX secolo, in epoca carolingia le prosopopee vengono sostituite generalmente da allegorie, con figure ritratte nello svolgimento di un’attività lavorativa caratteristica di ciascun mese dell'anno.

Tra l’XI e il XII secolo il rinnovato testo visivo del ciclo dei Mesi acquista sempre maggiore importanza e si struttura in serie di soluzioni iconografiche diversificate da regione a regione, in relazione alla cultura dell'artista o del committente, ma anche e soprattutto alla varietà del clima e del relativo ciclo agricolo.

Nell'età comunale il lavoro recupera una connotazione positiva e viene ritenuto un’attività nobilitante e salvifica, attraverso cui l’uomo può riscattarsi e partecipare al piano della Redenzione.

Il lavoro è uno dei cardini in grado di garantire un nuovo slancio alla civiltà europea, un rinnovato benessere.

Viene così celebrato attraverso le grandi decorazioni: l’allegoria dei Mesi nei cicli decorativi degli edifici romanici esprime proprio questo nuovo ruolo del tempo del lavoro umano, la cui sacralità viene ribadita attraverso le rappresentazioni simboliche dei Segni zodiacali e delle costellazioni che, spesso, affiancano le immagini dei Mesi nelle decorazioni.

Prendiamo come riferimento uno dei cicli meglio conservati, quello nel presbiterio della Cattedrale di Aosta, dove, alle spalle dell'altare, si sviluppa il bellissimo mosaico dei Mesi e dell'Anno, vero capolavoro di tecnica musiva risalente alla fine del XII secolo.

La raffigurazione dei dodici mesi viene connotata di quei riferimenti religiosi di cui si accennava prima: il tempo viene sorvegliato e protetto da Dio. E così ritroviamo al centro la figura di Cristo, connotato in un’eterna giovinezza, in trono a dominare il Tempo degli uomini scandito dalle ben note attività rurali.

Il ciclo dei mesi nella Cattedrale di Aosta
Cristo è il centro dell'universo e governa i moti celesti tenendo nelle mani il sole e la luna.

Ogni stagione ha i suoi ritmi, le sue precise attività. In un tempo in cui l’agricoltura occupava gran parte della vita umana, era importante calcolare le lune e le levate di determinate stelle che servivano a capire se era giunto il tempo oppure no.

E tutto questo era gestito e garantito dalla superiore ed imperscrutabile potenza divina.

Un tempo l’anno iniziava con Marzo, ossia con la primavera dominata dal segno dell'Ariete.


Iniziamo, come siamo abituati, con l’allegoria di Gennaio. Ianuarius è raffigurato come il dio romano Giano: bifronte, rivolto tanto al vecchio quanto al nuovo; per una porta che si chiude, ce n’è un’altra che si apre.


Februarius ci ricorda che il clima è ancora rigido e che è preferibile dare la priorità alle attività domestiche: una donna si scalda davanti al fuoco acceso. Febbraio, mese del fuoco, della Candelora, della prima tanto attesa luce di primavera.


Con Marzo si torna in campagna per dedicarsi alla potatura e alla cura della vigna. Tuttavia, poiché il vento è freddo e il clima mutevole, il contadino indossa ancora il caldo mantello invernale.


Aprile, uno dei mesi preferiti dall'uomo medievale, riempie i prati di fiori invitando a stare più tempo all'aperto godendo del canto degli uccellini.


A Maggio si può uscire a cavallo e il signore può finalmente tornare a dedicarsi alla caccia, o alla guerra.


In Giugno si falciano i prati: l’11 del mese, nella ricorrenza di san Barnaba, tradizionalmente si avviava questa attività. E qui vediamo il contadino che conficca con vigore la sua falce nel folto dell'erba


A Luglio prosegue il lavoro nei campi e il contadino compone le fascine.


Agosto è il mese della battitura e infatti lo vediamo con il correggiato: i chicchi venivano così separati dalla pula e dalla paglia.


Arriva Settembre: il contadino è già impegnato nella vendemmia. Qui vediamo il vignaiolo che danza allegramente nella tinozza con le gambe nude.


A Ottobre torna a soffiare quel vento già freddo di fine autunno; il contadino ha nuovamente indossato il mantello invernale e si appresta alla semina. Il grano riempie il suo grembiule e il braccio si prepara a spargere il seme.


Con Novembre occorre prepararsi all'arrivo dell'inverno e il contadino va a fare provvista di legna. Qui lo vediamo tornare a casa con la schiena curva sotto il peso dei rami raccolti.


Ed ecco infine Dicembre: è il momento di uccidere il maiale in vista sia dei grassi e festosi banchetti natalizi che delle necessarie scorte domestiche per la brutta stagione.

SIGNIFICATI E CODICI NELLA MADDALENA DI PIERO DELLA FRANCESCA

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La Maddalena di Piero della Francesca, dipinta nel 1460 e conservata nel Duomo di Arezzo, nonostante rappresenti una singola figura, si dimostra sorprendentemente ricca di significati e codici.

La figura della Maddalena si trova incorniciata da un'arcata a tutto sesto dipinta, dallo stile classicheggiante, come ci ricorda Vasari nelle sue Vite:

Fece nel Vescovado di detta cittàuna Santa Maria Maddalena a fresco, allato a la porta della sagrestia”.

La Maddalena di Piero della Francesca nel Duomo di Arezzo.
La connotazione con motivi vegetali sulla ghiera è una decorazione che non si riscontra nell'architettura reale, né classica né del periodo, ma compare in vari dipinti di ambito romano dell'epoca, come la cappella Niccolina di Beato Angelico.

Per questa caratteristica e per gli effetti luministici, si presuppone in genere la datazione dell'opera corrispondente al periodo successivo del soggiorno romano dell'artista, avvenuto nel biennio 1458-1459.

La Maddalena, ritratta a figura intera, si erge a dimensioni naturali, con lo sguardo abbassato verso lo spettatore, sullo sfondo di una balaustra e di un cielo azzurro. Il punto di osservazione inclinato accentua proprio la solennità e l’importanza della figura rappresentata.



La cornice accentua la consistenza monumentale, comparabile a quella di una statua in una nicchia.

I codici mimetici e gestuali incedono nel mostrarci una dolce bellezza giovanile, sottolineata dalla postura fiera del collo, la fronte alta e nobile, le fossette ai lati della bocca e le sopracciglia leggermente inarcate.

I codici dell'abbigliamento definiti dalla veste e dal mantello, sono trattati con un panneggio estremamente plastico, con il ricorso alle categorie cromatiche e, nello specifico, al contrasto complementare rosso/verde, che accentua l’importanza della rappresentazione, che sfocia nel luminoso bianco della fodera.

Il contrasto complementare rosso/verde presente nella veste della Maddalena rappresentata da Piero della Francesca.
La luce chiara e nitida, una delle connotazioni principali dell'arte di Piero della Francesca, dà ai colori un tono delicato e armonico, su superfici ampie

Per quanto riguarda i codici dell'acconciatura, i capelli della santa sono lunghi come da tradizione iconografica, cadenti sulle spalle in tenere ciocche, raffinatamente dipinte una ad una.

Da un punto di vista simbolico Maddalena tiene in mano il consueto l'attributo dell'ampolla degli unguenti, con il quale avrebbe cosparso il corpo di Cristo.

L'ampolla mostra un virtuosistico uso della luce che restituisce il lustro brillante del vetro, particolarmente difficile nella tecnica ad affresco, facendola quasi assomigliare a una fonte di luce.

MATRIX, MONDO DIGITALE AL QUADRATO

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A proposito dell'insanabile antitesi fra mondo digitale e mondo analogico di cui abbiamo scritto in uno dei nostri articoli, vi è un film, Matrix, del 1999, che ha sviluppato molto bene il concetto costruendo l'intera vicenda con un quadrato semiotico:

Gli umani coltivati dal sistema informatico Matrix sono nel settore "non analogico"

DIGITALE - Matrix, gli Agenti
ANALOGICO - la squadra di ribelli di Morpheus
NON DIGITALE - Morpheus, Trinity, Neo, l'Oracolo
NON ANALOGICO - gli umani coltivati nelle incubatrici

Il sistema informatico ,Matrix è ovviamente digitale, così come i suoi programmi sentinella in ologramma, gli Agenti.

La squadra di ribelli è formata da uomini che si sono liberati e sono uscite dalle incubatrici, quindi completamente ritornati analogici, come da natura.

Tutto il resto della razza umana, che crede di vivere e invece è immersa in un mondo olografico,  non è più umana ma non è completamente digitale, quindi è "non analogica".

Il non digitale Neo usa le armi virtuali dell'avversario informatico Matrix

Neo, l'eletto e i suoi amici Trinity, l'Oracolo e Morpheus, sono "non digitali" in quanto, pur essendo pienamente umani decidono di combattere e distruggere il sistema informatico Matrix accedendo volontariamente al collegamento digitale con il proprio corpo, per usare le armi virtuali di cui dispone l'avversario.

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Ecco l'immagine del quadrato semiotico con i personaggi inseriti nella posizione di appartenenza semantica.



Un perfetto equilibrio che si basa su dinamiche di complementarietà (DIGITALE/NON ANALOGICO), contraddizione (DIGITALE/NON DIGITALE) e contrarietà (DIGITALE/ANALOGICO) e che ha reso la vicenda ancora più coinvolgente e appassionante.

Anche per gli amanti della semiotica.



GLI AMANTI DEL PONT-NEUF DI LEOS CARAX E L'OSSIMORO DEL NON LUOGO AL CENTRO DI PARIGI

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Gli amanti del Pont-Neuf è un film di Leos Carax del 1991, ambientato a Parigi, sul ponte più antico della città.

All'inizio del film, sul ponte malconcio e rovinato, sopravvivono tra stenti, ubriacature e amore folle e allegro, due giovani. Il ragazzo è un artista, la ragazza una studentessa d'arte fuggita e con una grave malattia agli occhi.



Dopo varie peripezie, la giovane viene rintracciata dalla famiglia, nonostante gli sforzi del ragazzo per non perderla, perché è stata trovata una cura che le permetterà di guarire.

Anni dopo i due si incontrano di nuovo a Pont Neuf, ormai ristrutturato e in perfette condizioni. La ragazza, ormai sana, che ha ripreso la sua vita precedente la malattia, integrata perfettamente con la ricca Parigi, lui invece sempre povero e sbandato.


Il film è metafora della vita fuori dagli schemi ordinati, scandita solo dai tempi dell'amore. Il ponte è un non-luogo, un ossimoro posto fra cielo e terra, tra essere e non essere, tra routine e immaginazione, tra avventura e sistema.

Un non luogo dove vivono, in una dimensione a-spaziale e atemporale due anime in fuga, dal mondo e dal proprio passato.


Vi è la forte antitesi tra i due giovani, prosopopee della libertà e la città, simbolo del marciume decadente della vita civile e moderna, dei legami dettati dagli impegni e dal lavoro.

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Vi è però un'assimilazione del ponte da parte della città, quando anni dopo la ragazza tornerà, guarita, sul ponte ristrutturato, figura retorica della similitudine tra loro.

A quel punto l'antitesi sarà tra la giovane e il suo antico amore, lei nuova, come il ponte, e lui ancora ancorato alla sua vecchia condizione.

L'ANGELO STERMINATORE DI BUŇUEL E LA SUA SIMBOLOGIA

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L’angelo sterminatore è un film del 1962 del regista surrealista Luis Buñuel.

Dopo una serata a teatro, una famiglia dell'alta borghesia invita nel proprio palazzo alcuni ospiti per una cena. La servitù, nonostante l'evento con così tanti invitati, si sente agitata e avverte l'esigenza di andarsene il prima possibile, anche a costo di essere licenziata dal maggiordono, che è l'unico che rimane.



Quando gli invitati, alla fine della festa, si decidono ad andarsene, si rendono conto che non riescono ad attraversare la porta, nonostante sia aperta. Da quel momento la situazione lentamente degenera, un uomo muore ed emergono in un climax ascendente, tutte le ipocrisie, la maleducazione, la volgarità e la violenza che i raffinati ospiti nascondono nel loro cuore, come sepolcri imbiancati.

L'opera cinematografica è ricca di simbologia e strutture semionarrative profonde che la rendono così efficace, convincente, paradossale e coinvolgente.



L'autore, che pure si è da sempre rifiutato di associare ai vari elementi una chiara significazione, rivendicando la libertà di interpretazione da parte del pubblico della sua opera, non manca, nonostante ciò, di inserire vari simboli che sono chiaramente leggibili alla luce del contesto escatologico in cui egli ambienta la sua opera.



Infatti Buñuel, che era “anticlericale ma non antireligioso”, permea il film di atmosfere apocalittiche. Lo stesso titolo, "l'angelo sterminatore"è tratto dall'Apocalisse di San Giovanni, e il film termina con una citazione ispirata all'ultimo libro del Nuovo Testamento.

"Poi l'Agnello di Dio salirà all'altare. E l'ultimo giudizio, la gabbia che imprigiona il peccato, si chiuderà per l'ultima volta, e sarà per l'eternità..."

che ricalca le parole del capitolo 20 dell'Apocalisse"Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni."

Altri riferimenti biblici, evangelici o comunque escatologici si ritrovano nel nome della via in cui si svolge la vicenda, "Calle de la Providencia", con un richiamo alla Provvidenza divina, nella presenza dell'icona dell’angelo del titolo, raffigurato su un pannello all’interno del salotto con tanto di spada, che nasconde l’armadio pieno di vasi dove i protagonisti svolgono le loro funzioni fisiologiche.

Il simbolo è chiaro. L'angelo di Dio conosce bene le sozzure delle anime dei protagonisti, rappresentate dai loro escrementi.



Interessante la presenza di due specie animali, l'orso e le pecore, che scorrazzano liberi per la casa,  e di una parte di una di esse, le zampe di gallina conservate nella borsetta di una delle ospiti.

L'orso è simbolo del Male che infesta la casa e le anime dei ricchi borghesi lì riuniti, tant'è vero che qualcuno esclama vedendolo “La bestia! Eccola! Saremo prigionieri finché non lascerà questa casa…”.

E' la consapevolezza del Male compiuto che impedisce ai protagonisti di abbandonare la stanza, rimanendovi progionieri. L'angelo sterminatore si limita a permettere che ciò accada, osserva il comportamento degli uomini e delle donne che si autoinfliggono la punizione e si ritrovano progionieri dei loro stessi peccati, della loro ipocrisia, viltà, lussuria ed egoismo.



Le pecore sono simbolo del Bene, della innocenza, della naturalità, della trasparenza, ma anche del sacrificio del Cristo, Agnello pasquale che si sacrifica per l'umanità.

L'agnello viene catturato, ucciso e consumato dagli affamati prigionieri di loro stessi, in una oscena parodia dell'Eucarestia, che non salva ma anzi danna definitivamente le loro anime.

Gli esseri umani si deformano, da eleganti e raffinati, diventano sporchi, laceri, maleodoranti, maleducati.



Affiorano esplicitamente i loro vizi e le loro paure, la loro malvagità, che li trasforma da esseri semidivini, quali sono stati creati, a bestie.

In uno dei dialoghi, uno dei convitati esclama, osservano un'altra ospite:

“Lei puzza di iena”

“ Che cosa?”

“Dico che lei puzza di iena.”


Il padrone di casa, Edmundo, diventa metaforicamente il "capro" espiatorio, venendo accusato di essere la causa della prigionia degli ospiti, avendo deciso di invitarli a cena a casa sua, dopo l'Opera.



Con le zampe di gallina portate nella propria borsetta, tipico simbolo satanista, una delle convitate decide di organizzare una seduta demoniaca, per invocare il diavolo e aprire le porte verso l'ignoto, verso una salvezza effimera che altro non è che l'anticamera dell'Inferno.

In tale contesto si celebra un rito animalesco insieme sacrificale e di fecondità, in cui Edmundo toglie la verginità alla valchiria, Leticia.

Nella vicenda si intersecano varie antitesi, fra cui la più esplicita è quella del rapporto eros/thanatos, sesso e morte.



Mentre il cadavere di uno degli ospiti giace in uno sgabuzzino, nello spazio accanto si consuma l'amplesso dei due fidanzati.

Intanto, mentre il paradosso dell'impossibilità di uscire da una porta aperta si consuma, la vicenda continua il suo svolgimento generando un modello attanziale in cui abbiamo:

Soggetto - i ricchi borghesi progionieri
Oggetto - uscire e tornare alla propria vita
Opponente - il misterioso impedimento mentale che gli impedisce di uscire
Aiutante - la riproposizione, alla fine, del medesimo schema di posizioni nella stanza dei vari ospiti

Il destinante e destinatari interni sono rispettivamente l'angelo sterminatore che ha generato la punizione e gli ospiti che finalmente riescono a uscire dalla casa.

Il destinante e destinatari esterni sono il regista e gli spettatori.



Viene a formarsi un quadrato semiotico:

I due elementi generanti sono gli opposti INNOCENTI e PECCATORI da cui derivano i NON INNOCENTI e I NON PECCATORI in uno schema di dinamiche di contrarietà, contraddizione e complementarietà.

Quando tutto sembra finito e i protagonisti si ritrovano in una chiesa per celebrare un "Te Deum" di ringraziamento, ecco che lo schema si ripropone. Non è più il salotto simbolo del carcere spirituale in cui essi vivono, ma l'edificio sacro si è ora trasformato nella loro ultima prigione.



Le pecore, (associate per similitudine alle masse operaie che devono sopportare l'ingiustizia), come sempre libere di muoversi, nella loro innocenza, si dirigono verso la chiesa dove tutti i ricchi borghesi sono rimasti prigionieri.

Ancora l'agnello sacrificale è pronto per la sua missione di liberazione dal Male e dalle sue conseguenze. Ma stavolta l'angelo sterminatore lascerà liberi gli uomini malvagi o li richiuderà per sempre e la "gabbia che imprigiona il peccato, si chiuderà per l'ultima volta, e sarà per l'eternità" ?

IL COLORE VIOLA

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Il viola è un colore affascinante e complesso.

Ha una frequenza tra i 668 i i 789 THze una lunghezza d'onda tra i 380 e i 450 nm

E' un colore transitorio, in quanto è quasi al limite dello spettro visibile e comunque oltre il blu parasimpatico, elemento del sistema RGB.

Può determinare sensazioni di estrema eleganza come all’opposto di estrema penitenza, disagio o ammonimento.

La relativa famiglia che va dall’indigo al plum può essere utilizzata anche per concetti che vanno dalla stravaganza alla rispettabilità e alla cultura.

Questo colore è spesso legato ai concetti di potere e prestigio. Il motivo risiede nell'uso di abiti tinti dell'eesnza del murice, la porpora, che nella sua forma più rara e costosa assume la tipica colorazione viola.
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Nel Cristianesimo il viola è il colore dei paramenti liturgici usati nei periodi di purificazione penitenziale (Avvento e Quaresima), in quanto esprime la transizione, il passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla salvezza.

E' da sempre un colore che viene evitato, per superstizione, a teatro o in televisione. La ragione risale al Medioevo, periodo in cui, durante i quaranta giorni quaresimali, erano vietati rappresentazioni teatrali e spettacoli pubblici.


Ciò naturalmente determinava un momento di grave crisi economica tra i lavoratori del settore, che da allora hanno associato il colore viola quaresimale alla sfortuna.

Il viola è apparso anche nella politica: una manifestazione autoconvocata in rete, il No Berlusconi Day, il 5 dicembre 2009 portò in piazza, a Roma, un milione di persone. A lanciare l’appello, su Internet, fu San Precario, un anonimo blogger, e ad accorrere fu Il Popolo Viola, anticipazione del Movimento 5 Stelle.

Bandiera Viola è un documentario, realizzato nel 2010 da Claudio Lazzaro, come testimonianza di tale evento che venne oscurato dai media e fu il primo annuncio della fine del berlusconismo in Italia.



Il famoso film "Il colore viola" del 1985, di Steven Spielberg, liberamente tratto dal romanzo di Alice Walker, che narra le disavventure di due giovanissime sorelle, Celie e Nettie, si intitola così in quanto il colore è inteso continuamente come simbolo di dolore e sofferenza, ma anche riabilitato, alla fine, in quanto, quando si trovano in un campo di fiori viola, Shug dice a Celie di guardare i fiori e abbracciare la loro bellezza. "Devi osservare tutto il bene e riconoscerlo nelle cose che Dio ha posto sulla terra". Dopo aver appreso questo, Celie ha un maggior rispetto per la vita e per tutto ciò che ha da offrire.


Sempre per esprimere il concetto di ambivalenza di questo colore, di transizione, abbiamo Purple Rain, la title track del sesto album di studio di Prince, e il titolo dell’omonimo film a cui fece da colonna sonora. Purple rain racconta di come nella piena desolazione, appaia una luce nel buio più profondo, come un fiore in mezzo alle rocce più aride. Per Kid, il protagonista, è  l’ultima possibilità di salvare la carriera, sa che può sparire o rinascere e non sono ammesse vie di mezzo.

Colore ambivalente ed estremo, è in grado di rappresentare spiritualità, ricchezza, dolore e rinascita, a seconda del contesto in cui si trova.



L'ANTITESI NELLA VISIONE DOPO IL SERMONE DI GAUGUIN

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All'uscita dalla chiesa, dopo il sermone del parroco, un gruppo di donne ha una visione, in cui un angelo combatte con un uomo.

Il dipinto è ricco di simbologie e di rimandi letterari, religiosi e artistici.

Vi è una profonda dicotomia nell'opera: un'antitesi tra realtà e visione, tra quotidianità ed eccezionalità, tra colore e non-colore.

Il tronco dell'albero che si allunga diagonalmente crea due zone percettive:
  • quella dell'allucinazione collettiva, rappresentata dall'angelo che lotta con l'uomo e dai colori accesi
  • quella della normale percezione, rappresentata dalle beghine appena uscite di chiesa e dall'uso del bianco e del nero.
La diagonale fissata dal tronco dell'albero divide in due la tela, anche da un punto di vista semantico
Le ali gialle connotano simbolicamente la figura antropomorfa come un angelo. I codici gestuali rimandano a una lotta tra l'uomo e l'angelo e alludono all'episodio biblico in cui il patriarca Giacobbe, nella sua gioventù, lottò con una giovane figura, che si rivelò essere un angelo e che lo chiamò, per la prima volta, Israele. Espressione che significa "sei forte con Dio", dando ufficialità alla stirpe ebraica, iniziata da Abramo.

La connotazione dell'angelo affidata alle ali gialle
I codici dell'abbigliamento ci suggeriscono che la scena è ambientata nell'Europa del Nord, probabilmente in Bretagna e che le figure femminili sono icone delle pie donne beghine.

I codici mimetici e gestuali ci indicano che le donne sono in preghiera, in una sorta di alterazione misticheggiante.

I codici dell'abbigliamento, mimetici e gestuali delle beghine in primo piano
La mucca bianca e nera, come le beghine e dalla loro parte rispetto al tronco è allegoria della vita quotidiana, mite, laboriosa e priva di eccitazione, tranne in occasione dei sogni che irrompono nelle vicende di ogni giorno, in una sorta di sforamento tra diverse dimensioni.

Le figure sono di grande semplicità, rustica e superstiziosa. Il tutto è molto severo: il paesaggio e la lotta esistono solo nella fantasia della gente in preghiera dopo il sermone, ragion per cui esiste un contrasto, tra la gente vera e la lotta nel paesaggio immaginario e sproporzionato.

Il nostro video che illustra il significato del capolavoro di Gauguin.

SIMBOLOGIA DEL MICROCOSMO

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Le antiche dottrine mistiche ed esoteriche relative alla corrispondenza tra le parti del corpo umano e l'universo furono alla base dell'immagine del microcosmo, su cui poggiavano gran parte delle dottrine mediche dell'antichità.

I fratelli Paul, Jean Hennequin ed Hermann Limbourg sono stati tre miniatori olandesi, tra i più significativi rappresentanti della pittura franco-fiammiga del XV secolo e autori de Le Très Riches Heures du Duc de Berry rappresenta, senza alcun dubbio, uno dei più noti e più ricchi manoscritti miniati del XV secolo giunti fino a noi.


All'interno della celebre opera si trova la stupenda la raffigurazione dell'Uomo anatomico, presente nel folio 14 a completamento del calendario. Questa eccezionale pittura, realizzata nel 1416, mostra l’influenza degli astri sull'uomo.


Il codice fu commissionato nel nord della Francia, nella favolosa corte di Jean de Valois, duca di Berry, figlio e fratello di re e fu eseguito tra il 1412 e il 1416. Si trova orea nel Musée Condé di Chantilly, in Francia.

Le raffinatissime pagine di questo manoscritto contengono le Ore, ossia la serie delle preghiere quotidiane della Chiesa per i tempi dell’anno e per le festività.

Negli angoli superiori della pagina compaiono, gli stemmi del Duca con i tre  gigli dorati su fondo azzurro dei Reali di Francia.



In basso, invece, le lettere intrecciate V e E richiamano le iniziali delle parole di uno dei suoi motti araldici “En Vous”.

La mandorla è contornata da due calendari perpetui.

All'interno di una mandorla circondata dalle indicazioni dei mesi e dai segni zodiacali, sullo sfondo di un cielo azzurro con nuvolette grigie, si mostrano le prosopopeedel carattere maschile e di quello femminile.

I due caratteri, in antitesitra loro, o meglio, in completamento, sono il simbolodell'uomo anatomico o uomo zodiacale, dove ogni parte del corpo corrisponde - come voleva la medicina astrologica, la melothesia - a un diverso segnodello zodiaco.


Lungo il corpo, posto sotto il dominio degli astri sono rappresentati, come in una sorta di mappa celeste, tutti segni dello zodiaco, che secondo le credenze di allora, avevano forte influenza sulla salute umana. A ogni segno, corrispondeva la relazione esistente tra una costellazione (significante) e un organo umano (significato)

L’Ariete presiede alla testa, il Toro al collo e alla gola. Ai Gemelli spettano braccia e mani, al Cancro, il petto.

Il Leone governa il cuore, la Vergine protegge l’addome; i reni sono sotto l’influenza della Bilancia, gli organi genitali sono protetti dallo Scorpione.

Il Sagittario presiede alle cosce, il Capricorno governa le ginocchia.

L’Acquario ha dominio sulle gambe, i Pesci governano i piedi.

Vi è quindi un preciso codice prossemicoche regola le rispettive influenze.

L'intera ruota dello zodiaco e dei mesi è simbolo dei ritmi dell'esistenza umana, che si ripropone in un ciclo incessante.


Ai quattro angoli della pagina, troviamo il riassunto delle relazioni tra i segni zodiacali, i caratteri, i temperamenti i punti cardinali: in alto a sinistra “L’Ariete il Leone e il Sagittario, sono caldi e secchi, collerici, mascolini, orientali”, a destra  “Il Toro, la Vergine e il Capricorno sono freddi e secchi, malinconici, femminili, occidentali”. In basso a sinistra “ I Gemelli,  l’Acquario e la Bilancia sono caldi e umidi, mascolini, sanguigni, meridionali", a destra “Il Cancro, lo Scorpione e i Pesci sono freddi e umidi, flemmatici, femminili, settentrionali”.

La dottrina dell'Uomo microcosmo influenzò profondamente la struttura delle chiese romaniche, la pittura di Leonardo e le teorie architettoniche di Leon Battista Alberti, ispirando molti dei grandi artisti dell'antichità con le sue corrispondenze di significante e significato e di armonia insita in ogni elemento della Natura, dal microcosmo al macrocosmo.

L'ARCHETIPO DEL VIANDANTE IN CASPAR DAVID FRIEDRICH

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"Il viandante sul mare di nebbia"è un dipinto a olio su tela del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich, realizzato nel 1818 e conservato alla Hamburger Kunsthalle di Amburgo.

È un dipinto famoso e affascinante perché, con pochi elementi, l'artista racconta una storia comune a tutta l'umanità, il mistero dell'avvenire.

Un viandante solitario si staglia in controluce su un precipizio roccioso, dando la schiena all'osservatore: ha i capelli scompigliati al vento, è avvolto in un soprabito verde scuro e nella mano destra, appoggiata al fianco, impugna un bastone da passeggio.

Il viandante è icona dell'essere umano e quindi sua antonomasia ( si adopera, per designare qualcuno il suo attributo o la sua apposizione più nota, quindi il viandante è l'umanità nel viaggio metaforico della vita) e sua sineddoche (una parte per il tutto, uno di noi per rappresentare l'intera umanità).

Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo
La nebbia è simbolo dell'incapacità di scrutare il nostro futuro, incerto e nebuloso e il nostro stesso presente, la nostra interiorità, con tutte le sue incertezze, dubbi, smarrimenti. Per questo secondo motivo il viaggiatore rappresentato di spalle nel dipinto è stato considerato  la perfetta icona dell'artista romantico, esponente di tale corrente artistico/letteraria.

Ma sarebbe riduttivo interpretarlo solo per questo. Il suo fascino sarebbe venuto a scemare nei secoli, invece rimane intatto.

Il protagonista, lo dice il nome stesso, è il perfetto archetipo del viandante, che desidera per sé l’autonomia più di ogni altra cosa, la libertà è per lui l’aria che respira. Il compito che si pone nella vita è relativo alla formazione della sua identità e quindi all'affermazione delle sue idee. Teme la routine, l’obbedienza alle regole imposte da altri.

L'opera è allegoria della nostra condizione di incapacità a conoscere ciò che ci attende, le conseguenze delle nostre scelte, il destino che ci costruiamo nel presente con le nostre azioni.
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