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DE CHIRICO E L'ALLEGORIA DEL NONSENSE

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Il capolavoro di Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, racconta il momento dell'addio dei due sposi che si amano prima della disfatta di Ettore nel duello con Achille.

L'azione si svolge alle Porte Scee, come ci racconta Omero e come, visivamente ci illustra De Chirico. Ma la spazializzazione, nell'opera pittorica, è tale da  rappresentare la scenografia di una qualsiasi città del mondo, in una qualsiasi epoca; quindi vi è una assolutizzazione dello spazio ma anche del tempo in cui la scena ha luogo.

Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, 1912
La stessa attorizzazione diviene incerta. Le icone stilizzate dell'eroe troiano e della sua amata sposa potrebbero rappresentare anche qualunque uomo e qualunque donna al momento dell'addio.

Il dolore viene pietrificato in un silenzio immoto, all'interno di una esistenza senza senso, rappresentata da due manichini che divengono simbolo dell'umanità sofferente.

A una visione superficiale l'opera pare semplice, ma in realtà essa è enigmatica, profonda. La luce irreale che circonda i personaggi e gli oggetti crea una atmosfera di angoscia, di spaesamento.

Le stesse icone dell'uomo e della donna sono composite, formate per accumulazione da numerosi oggetti, ognuno dei quali con un significato, simbolo di qualcosa.

Per esempio i due triangoli, con il vertice verso in basso su Andromaca e con il vertice in alto, di Ettore, sono i simboli della femminilità e della mascolinità.

Il dettaglio delle forme triangolari maschile e femminile
Le forme diritte e squadrate dietro i due, rimandano a una idea di forza e dinamismo ed evocano le cornici di un quadro, ricordando allo spettatore che siamo tutti rappresentazioni di noi stessi agli occhi degli altri, come in un dipinto.

Anche i visi dei due protagonisti, ciò che li connoterebbe di più, sono sole forme geometriche ovali, senza lineamenti, senza storia e senza reale identità. Sono solo denotazioni.

Le forme geometriche ovali dei visi dei protagonisti
L'opera diviene quindi allegoria dell'orrore senza senso della esistenza di chi è costretto a vivere senza scorgere il vero significato della sua presenza e azione in questo mondo.

IL CRETINO INTELLIGENTE

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"Cretino intelligente"è dal punto di vista linguistico e concettuale un ossimoro, cioè l'accostamento nella medesima frase di termini che esprimono concetti contrari.

Altri esempi, per spiegarsi meglio, sono "lucida pazzia", "ordinaria straordinarietà", "iniqua giustizia" o "obbligo flessibile".

L'ossimoro è un mezzo linguistico formidabile a esprimere concetti e realtà che travalicano i sistemi ordinari di significazione e di espressione.

Se è follia, come può essere lucida? Eppure, con buona pace del senso comune, ognuno può intuitivamente capire chi potrebbe comportarsi in modo lucidamente folle.


Se, in un ipotetica città Stato autarchica, in cui il grano è oltre che cibo anche moneta di scambio, con l'intento di distribuire equamente le risorse, si distribuisse a tutti i cento abitanti la medesima quantità (cento chili) in parti uguali, ognuno dei cittadini ne avrebbe un chilo.

Perché mai i contadini ne dovrebbero avere un chilo e mezzo e i falegnami di meno? Sarebbe un'ingiustizia.

Così il contadino avrebbe, equamente, il medesimo quantitativo di un idraulico o di un fabbro e tutti mangerebbero il giusto.



Ma una volta che il contadino avesse consumato come cibo il suo chilo, con cosa potrebbe seminare il campo e far crescere altro grano?

Servirebbe un po' di ossimorica "giusta ineguaglianza" per far nuovamente quadrare i conti e permettere, anche negli anni futuri a tutti di mangiare.

Oppure, "crudele compassione"è quella di chi in nome del principio di solidarietà, avendo un solo pollo da mangiare, invita cena a casa sua tutti i 70 clochard che incontra in stazione o dona loro 10 euro da dividersi in parti uguali.


È "soccorso dannoso" se si vuole salvare dieci naufraghi offrendo loro un materassino gonfiabile che sopporta due persone.

È una "egoistica condivisione" quella di un socio che accumula i debiti che dovranno essere pagati da tutti i membri della medesima società o di chi in nome dell'accoglienza universale chiude le proprie frontiere;

Il cretino intelligente, di sciasciana memoria, è chi in nome di teorici principi non negoziabili, verità scientifiche o convinzioni personali, mette in concreto pericolo una comunità.


Per garantire una vita pacifica e solidale, si invoca la lotta armata; in nome della libertà dell'individuo ci si ribella al fermo effettuato dall'autorità costituita per ragioni di ordine pubblico; in nome dell'accoglienza e dell'umanità si minaccia di morte e si insulta.

Questo è ciò che accade, in questa ossimorica epoca, sotto il cielo di una terra alle prese con un'unione divisiva che offre un aiuto ostile.

LE CATEGORIE OTTICHE

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Ciascun oggetto costruito è, dal punto di vista semiotico, un testo, ovvero “una serie coerente ed ordinata di concetti in sinergia, tra due interruzioni marcate della comunicazione”.

Ciò implica che ogni oggetto comunica.

In un oggetto,un abito, un tavolo, uno specchio, una sedia e così via, i concetti si esplicitano in categorie semantiche, formate da materiali, grandezze, forme e colori.

Le “interruzioni della comunicazione” indicano il momento iniziale di percezione del testo, in cui un destinatario comincia ad osservare l'oggetto sino al momento finale di percezione, in cui smette di guardarlo e fa altro.

Occorre tenere presente una serie di categorie nel testo “oggetto”:

1. categorie tattili,
2. categorie metriche,
3. categorie ottiche,
4. categorie acustiche e olfattive,
5. categorie eidetiche,
6. categorie cromatiche.



Per esempio, le categorie ottiche sono relative agli effetti della rifrazione della luce sulle superfici degli “oggetti”  e alla percezione che tale fenomeno ottico genera.

Come quindi si possono inviare messaggi, contenute nell'oggetto che stiamo progettando, attraverso l'uso delle categorie ottiche?

Si basano su una serie di binomi legati per opposizione quali ad esempio lucido/opaco, chiaro/scuro, monocromo/policromo, brillante/spento.

In altre parole, per un abito si utilizzeranno le variabili più adeguate per dare la sensazione di un capo prezioso realizzato per una grande serata o per un abito sobrio adatto a una cerimonia o declinato per l’uso in ambienti professionali.



Per un mobile, attraverso le categorie ottiche si potrà imprimere inconsciamente l'idea di splendore, di luce riflessa, di magnificenza, oppure di sobrietà, essenzialità, efficacia, a seconda che si usino le caratteristiche lucido o opaco.

Nel caso di lucido si evoca inoltre il concetto di specchio, elemento archetipico e simbolo di vanità ma anche di sguardo al di là dalla dimensione in cui ci troviamo a vivere.

Tutto ha un significato, spesso nascosto, inconscio, che genera in noi una determinata percezione degli oggetti e quindi della nostra idea di "mondo".

SUCCISA VIRESCIT

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La traduzione di questo motto latino è "Recisa alla base, torna a rinverdire".

Le parole, che ornano lo stemma dell’abbazia di Montecassino, che mostra una quercia tagliata al piede, dal cui ceppo vanno spuntando rami nuovi, vengono anche usate in riferimento a tutto ciò che, dopo la distruzione, trova in sé la forza di tornare a nuova vita.

Si tratta di un simbolo (o di una allegoria, se considerata dal punto di vista delle figure retoriche) di rigenerazione, forza interiore, capacità di riscatto.

Ha funzione conativa, ovvero il suo scopo è quello di spingere l'individuo a reagire, a risollevarsi anche dopo un avvenimento tragico, distruttivo, che ha quasi annientato il suo essere.



"Quasi", appunto, non del tutto.

E' quell'avverbio a fare la differenza, a invitare a chiedersi di che pasta si è fatti, a spronare all'autorigenerazione.

L'icona dell'albero tagliato è metafora della straziante perdita (di una persona cara, di tutti i beni, della propria integrità corporea), ma i rami verdi che nonostante tutto iniziano a spuntare, generando le foglie, lo sono della capacità di affrontare anche i più grandi dolori, le più grandi perdite e rimettersi in piedi, ancora vivi, ancora fecondi di progetti, di idee, di giorni da affrontare con energia.



E'simbolo della forza della vita che non dipende dall'energia personale, ma che senza la collaborazione e la volontà di chi aspira a rialzarsi non potrebbe comunque agire.

Contiene in sé l'implicazione di un passato pieno e rigoglioso, la presupposizione che si è subito un feroce attacco, l'antitesi tra la perdita quasi totale e la rinascita, il paradosso che un albero reciso possa germogliare e infine l'inferenza generata dai concetti di ceppo e rami verdi: la vita non muore mai, si rigenera in forme nuove e inaspettate.

Insomma, un vero albero della vita.


GIUSI LARA, LA MODA E IL LUSSO

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Nuova uscita di  "Primo piano", rubrica che intende puntare un riflettore sulle opinioni di personaggi in primo piano nella società civile.

Intellettuali, noti professionisti, esponenti politici, direttori di testate, studiosi, giornalisti e filosofi esporranno il loro pensiero, di volta in volta, su tematiche  riferite al rapporto con il mondo della comunicazione.



Oggi è in primo piano il contributo di Giusi Lara, direttore del campus di Madrid dello IED, Istituto Europeo di Design, nota università privata internazionale di moda e design.

Ha un'esperienza di oltre due decenni nella creazione, progettazione e gestione di marchi di moda e un ampio curriculum come docente e manager di prestigiosi centri di insegnamento internazionali e ha sviluppato una costante attività nel campo del design e della gestione di marchi prestigiosi come Etro, Missoni, Christian Lacroix, Anna Sui, Icerberg, Les Copaines.

L'argomento di riferimento è il rapporto tra moda, lusso e comunicazione.



1) Si può affermare che esista un legame fra il concetto di Lusso e la sua rappresentazione nella comunicazione? L'uno potrebbe esistere senza l'altra?

Il lusso e la sua percezione vengono resi possibili dalla sua comunicazione.

Che si tratti di una, su larga scala o di nicchia esiste un legame imprescindibile tra i due.

Attraverso un passa parola, quando si parla di un approccio più' esclusivo a quello epidemico dei social,  l'essenza del lusso esiste quando la si comunica creando un aura di desiderio che supera l'essenza dell'oggetto stesso.



2) La Moda è un comportamento collettivo relativo, nella sua accezione più comune, all'abbigliamento. Tale comportamento è una conseguenza della comunicazione di moda o ne è la causa? In altre parole, le persone seguono la Moda in quanto la comunicazione ne diffonde i dettami o piuttosto è la comunicazione stessa che influenza la Moda?

Continuo  a credere con fermezza che la moda nasce da esigenze socio-economiche in un contesto geopolitico, che ha cambiato i suoi confini espandendosi a livello globale, ma influenza la comunicazione che a sua volta pero' ne determina i tempi di ricezione e assorbimento rimbalzando azioni e reazioni  a seconda del pubblico e della realtà' capillare dove viene comunicata.

Il livello di "responsabilità'" della comunicazione nell'influenzare la moda, e' inversamente proporzionale alla abilita' critica del  recettore di decodificare i messaggi e farli propri attraverso un esperienza individuale.



3) Quando si può affermare che vi è una efficace comunicazione della Moda e del Lusso?

Nella capillarità' del messaggio, nella  abilita' di astrarli a sogno e desiderio inafferrabile, a momento di evasione, mutazione di identità' e gioco.

Quando crea allo stesso tempo familiarità' con l'oggetto, esacerbandone l'impalpabile inafferrabilità'.




4) In un mondo in continua trasformazione ha ancora senso per un aspirante professionista del settore imparare le regole della comunicazione della Moda e del Lusso o conviene affidarsi al proprio istintivo talento ed intuito?


L'uno non esclude l'altro: mi viene difficile pensare nel mondo contemporaneo ad una forma di intuito primitivo, o di un talento scevro da qualsiasi contaminazione, a meno che in casi eccezionali.

L'aspetto della conoscenza crea un setaccio iniziale per poi raffinare l'essenza dell'istinto e  dell'intuito.

La domanda che mi pongo è sull'aspetto critico della conoscenza e di conseguenza la formazione.

Cioè nella quantità' di informazioni e nozioni, che si impartiscono, in un mondo già oltremodo stimolato e stimolante, invece dell' esercizio quotidiano nella scarnificazione ragionata degli impulsi esterni assieme una ricerca interiore guidata delle primordiali forme istintive di indagine, ricerca ed espressione.

DANTE E L'INFERNO DELLA CORRUZIONE

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Il diciannovesimo canto dell'Inferno di Dante è una fiera invettiva contro i simoniaci, coloro per vendono per denaro le cose sacre e metaforicamente per tutti coloro che per denaro prostituiscono la propria coscienza.

"la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi"


La vostra avidità rattrista il mondo,
calpestando i buoni e sollevando i malvagi.

Inferno, Canto XIX, vv 104, 105

Tra i vari personaggi nella terza bolgia dell'ottavo girone infernale,  riservata ai simoniaci, Dante colloca il papa Niccolò III, nato Giovanni Gaetano Orsini.

Scuola romana, affreschi del sancta sanctorum, 1280 ca., Niccolò III dona la chiesa ai ss. Pietro e Paolo.

Con notevole vis polemica, il Poeta, estremamente sensibile al vizio della simonia, esplode in una celebre invettiva, chiamando in causa con feroce malizia anche il suo personale nemico Bonifacio VIII, nel 1300 ancora in vita ma prossimo inquilino dell'Inferno, come apertamente dichiara lo stesso Niccolò III:

« e veramente fui figliuol dell'orsa,
cupìdo sì per avanzar li orsatti,
che su l'avere, e qui me misi in borsa. »

Inferno, Canto XIX, v 61

Niccolò III, papa Gaetano Orsini, è quindi icona del simoniaco, simbolo della simonia, allegoria del malcostume, sempre esistito e in questi tempi, soprattutto in Italia tanto opprimente, della corruzione.

La corruzione, la vendita per denaro del bene comune, lo scambio pagato per ottenere assoluzioni, raccomandazioni, favori personali e istituzionali, è un cancro che divora la società, lacera i legami sociali, il rapporto tra Istituzioni e cittadini, tra simpatizzanti di un partito e la dirigenza di questo.

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È un male grave, poiché corrompe, imputridisce, dissolve la vitalità di una comunità, di una Chiesa, di un Paese.

Dante, simboleggiandolo con la pena prevista per i simoniaci, lo punisce con la legge del contrappasso, conficcando le anime prave come pali nella pietra infernale a testa in giù, con le piante dei piedi torturate dalle fiamme ardenti, destinate, all'arrivo dell'anima simoniaca del successore, a inserirsi, schiacciata e informe, nella pietra, nel buio e solitudine immense e perpetue dell'eternità infernale.

Le anime prave dei simoniaci, come pali nella pietra infernale a testa in giù, nella celebre illustrazione di Gustave Dorè.

Un Canto quanto mai attuale, il XIX dell'Inferno dantesco.

Se invece di essere opera letteraria fosse verità, il Poeta non avrebbe che l'imbarazzo della scelta fra i nostri contemporanei, da inserire nei pozzi della bolgia infernale.

MAGRITTE E LE ACCUMULAZIONI DI GOLCONDA

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Golconda, dipinto di René Magritte del 1953, è ricco di figure retoriche e codici, metafora e allegoria della vita moderna.

Magritte spiega che «un oggetto non possiede il suo nome al punto che non si possa trovargliene un altro che gli si adatti meglio».

Ma qual è la storia e il significato del nome e del dipinto?

Golconda (o Golkonda) è una città, ormai ridotta in rovina, che si trova nell'India centro meridionale.

La fortezza di Golkonda, nell'India centro meridionale
Sin dal XII secolo, epoca della sua edificazione, Golconda fu celebre in tutto il mondo per la ricchezza dei suoi giacimenti alluvionali di diamanti.

Per secoli il nome di Golconda divenne per gli Europei sinonimo di incredibile ricchezza.

Dopo un periodo di decadenza, non venne conquistata dal Gran Mogol Aurangzeb, che la annesse al suo impero nel 1687 (Aurangzeb assediò il forte cittadino per nove mesi e riuscì a conquistarlo solo per il tradimento di un ufficiale, che aprì un ingresso secondario).

Perché dunque Magritte pensava che il nome di Golconda si adattasse tanto bene a questo dipinto? Dove sono i diamanti, l'incredibile ricchezza evocata dal nome stesso della città?

La sensazione che si ha osservando l'opera è di angosciante dissociazione e alienazione.

Una schiera infinita di uomini, tutti uguali, in bombetta e cappotto scuro si staglia nel cielo e pare galleggiare in mezzo alle case di una città triste e grigia.

Magritte usa la figura retorica dell'accumulazione di icone di piccoli-medi borghesi occidentali, di razza bianca, probabilmente impiegati e funzionari a giudicare dai codici dell'abbigliamento.

René Magritte con la classica e surreale bombetta
I codici mimetici svelano un'impassibilità aliena, una assoluta mancanza di gioia, di entusiasmo, ma anche l'assenza di tristezza o di altre emozioni. Sguardi vacui, muscolatura facciale immobile in un'aberrante mancanza di sensazioni o sentimenti.

Questi individui diventano un'antitesi di ciò che è un essere umano, vivo, entusiasta, creativo, libero.

Facendo un paragone ricordano l'accostamento di scuri pezzi di carbone a diamanti scintillanti. Ciò che sono e ciò che potrebbero essere.

L'accumulazione dello stesso personaggio nel dipinto di Magritte
La standardizzazione assoluta invece della variegata unicità dell'Uomo.

L'individualità omologata si oppone alla libertà creativa.

Qualcuno ha tradito la sua consegna, come l'ufficiale venduto al Gran Mogol, e ha condannato la città, creando un ambiente ideale per un dittatore, che trova terreno adatto al suo potere assoluto dove vi è omologazione di pensiero e comportamento.

Golconda diventa quindi metafora dello stile di vita alienante di molte metropoli moderne, che riducono le persone ad automi, oltre che allegoria dell'infelicità di chi si dimentica della sua natura di essere umano, vivo, libero, creativo e inimitabile.

LA FORTUNA E I SUOI SEGNI

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L'Allegoria della Fortunaè un dipinto a olio su tela di Giovanni di Niccolò Luteri, detto comunemente Dosso Dossi, databile al 1535-1538 circa e conservato nel Getty Museum di Los Angeles.

Un uomo e una donna sono le prosopopeedella Fortuna e del Caso.

La Fortuna indossa un unico calzare, simbolodel Fato che può portare anche disgrazie e far mancare elementi necessari alla nostra vita.


Il velo gonfiato dal vento, rimanda a idea di vela, con la quale la Fortuna è spesso rappresentata, a indicare la sua incostanza. Il drappo è giallo, colore del mutamento, dei cambiamenti repentini e continui.

La Fortuna regge la cornucopia, simbolo di prosperità, abbondanza, che essa può elargire agli uomini in modo casuale, senza guardare al merito, ma solo per accidentalità, così come per quanto riguarda le disgrazie.


Siede su una sfera, che evoca sia l'idea di mondo, sul quale la dea esercita il suo dominio, sia simboleggia la instabilità della sorte, che può cambiare da un momento all'altro.

Il Caso, stringe nel pugno i biglietti della lotteria, gioco che evoca una manifestazione della sorte che cambia da un momento all'altro l'esistenza del vincitore, regalando grande ricchezza, simboleggiata dal vaso d'oro accanto al dio, che evoca anche la memoria del vaso di Pandora (non sempre la ricchezza porta felicità agli uomini).


Il drappo che ricopre il Caso è rosso, colore della passione sanguigna, sia quella per il gioco e per la brama di ricchezza, sia quella che prova il dio per Fortuna, che egli guarda con desiderio.

I biglietti della Lotteria, inoltre, erano un simbolo di Isabella d'Este (non è certo se il quadro fosse stato dipinto per lei) a causa delle varie vicissitudini della vita della nobildonna mantovana, che aveva assunto tale segnoper rappresentare i mutamenti della sorte della propria vita.

LE COQ ROUGE DI CHAGALL E LA SIMBOLOGIA DELL'ENERGIA UNIVERSALE

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Il dipinto "Le coq rouge dans la nuit" fu realizzato da Chagall poco tempo dopo la morte improvvisa dell'amata moglie, compagna di una vita.

È un'opera ricca di simbologia.

Il gallo rosso è icona dell'animale che annuncia la fine della notte e la nascita di un nuovo giorno.

È quindi simbolo del confine di due mondi in antitesi, quello misterioso del sogno, dove tutto è possibile, e quello della realtà quotidiana, dove si rimpiange ciò che si è perduto.

Il gallo rosso, simbolo del confine tra i mondo reale e quello onirico
Gli animali umanizzati, dagli occhi grandi, rappresentano il perpetuarsi del legame con il mondo della infanzia e sono il simbolo del legame tra il divino e l’umano.

La capra, che spesso ricorre nei suoi dipinti, prende spunto dalla tradizione ebraica, in cui questo animale è simbolo della protezione e del focolare domestico.

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Il violino è icona dello strumento musicale, ma anche simbolo di comunicazione con Dio e con i grandi misteri della vita e della morte.

Il violino, simbolo di comunicazione con il mistero
Vi sono poi le icone stilizzate degli sposi che si amano e che si librano felici nell'immensità blu e insondabile del loro amore.

Il dipinto è quindi allegoria dell'amore senza fine, che supera le barriere del tempo e della morte, per esistere eternamente, partecipando all'energia cosmica universale che regola e genera tutto l'esistente.

L'INFINITO DI LEOPARDI, ANALISI DELL'IMMENSITÀ

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Nella splendida poesia leopardiana "L'Infinito", un idillio scritto a Recanati nel 1819, scopriamo una serie di figure retoriche fra cui numerose iperboli: "interminati spazi, sovrumani silenzi, infinito silenzio".

Vi poi è l'antitesi fra le morte stagioni, e la presente e viva.

Leopardi elenca, per accumulazione, una serie di concetti, quasi in climax: "interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete".

Non manca una similitudine:"io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando".

Oltre alle figure retoriche scopriamo un quadrato semiotico:

  • Tempo - "e la presente e viva, e il suon di lei", il periodo contemporaneo all'Autore
  • Eternità - "tra questa Immensità s'annega il pensier mio"è l'Infinito in cui Leopardi sente di perdersi, con la sua umana finitezza
  • non Tempo - "le morte stagioni", il tempo ormai passato, non più esistente
  • non Eternità - "interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo"è l'infinito immaginato dal Poeta, non quello reale

Infine una analogia - "E il naufragar m'è dolce in questo mare". Il mare è analogia dell'infinito.

Interessante il paragone con il verso di Ungaretti "M'illumino d'immenso" in cui il poeta racconta l'Infinito che gli esplode dentro, invadendone l'anima, mentre, in antitesi, Leopardi entra lui stesso dentro l'infinito, in un movimento da fuori a dentro, mentre in Ungaretti l'infinito, da dentro, usciva fuori dall'animo del Poeta.

Di seguito il testo.

XII - L'INFINITO 

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Infine vi proponiamo la suggestiva lettura di Vittorio Gassman.



Qui invece la Vita e ele Opere dell'autore su Ars Europa Channel.




EUGENIO MONTALE: SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO

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Spesso il male di vivere ho incontrato è una delle poesie più intense e famose di Eugenio Montale, pubblicata nella raccolta "Ossi di seppia" del 1924.

È costruita su un'accumulazione di simboli del "male di vivere" (rivo strozzato che gorgoglia, incartocciarsi della foglia, cavallo stramazzato).

Un elenco di tutto che è antitetico alla voglia di vivere, all'entusiasmo e richiama una serie di condizioni che inibiscono la gioia, la vita, il movimento, la piena espressione di sè. Il rivo è strozzato, la foglia accartocciata, quindi morente, il cavallo stramazzato.


La divina Indifferenza diviene la prosopopea dell'unica speranza concessa all'Uomo, secondo il pessimistico parere del Poeta: non esiste altra possibilità di salvezza se non nella condizione prodigiosa di un atteggiamento di superiore distacco che equipara l’uomo alla divinità.

Il male di vivere può essere non annullato, ma almeno attenuato dall'indifferenza, che porta ad un distacco dalla realtà e quindi dal dolore.

Così come inizia, la poesia termina con un'accumulazione di simboli, stavolta dell'indifferenza (statua, sonnolenza del meriggio, nuvola, falco) che sono però anch'essi simboli dell'immobilità, antitetica al movimento e quindi alla vita vissuta.


Interessante la similitudine con il v.104 del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi: “…a me la vita è male” e con il "mestiere di Vivere" di Cesare Pavese "...non c'è altro al mondo che sofferenza".

L'intero componimento è allegoria della esistenza infelice di quanti non trovano più ragioni per vivere e senso al proprio stare al mondo, il cui dolore viene attenuato dall'apatia e dalla morte dei desideri.

L'archetipo implicitamente evocato è quello dell'orfano, che desidera la vita piena ma non la scorge più e si limita a sopravvivere, giorno per giorno, nella "sonnolenza del meriggio".

Ecco gli splendidi versi:

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi; fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

L'URLO DI MUNCH: PERSONIFICAZIONE ALLEGORICA DELL'ANGOSCIA ESISTENZIALE

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Quanto abominio viene rappresentato nell'intensissima raffigurazione de L'urlo, dipinta dal pittore norvegese Edvard Munch.

Dipinta nel 1893, la tela, il cui titolo originale è Skrik, raffigura un sentiero in salita su una collina che guarda la città di Oslo in cui una  figura in primo piano, terrorizzata, prosopopea, o meglio personificazione dell'angoscia, si comprime la testa con le mani, e urla.

Edvard Munch, L'urlo, 1893, Galleria Nazionale di Oslo 
L'essere urlante, rappresentazione iconica di un essere umano, è simbolodi dolore esistenziale, di angoscia iperbolica.

Tutta la natura intorno partecipa di tale straziante percezione: pare addirittura che l'urlo di orrore nasca nell'ambiente e risuoni attraverso la cupa cavità che rappresenta la bocca dell'uomo.

Tutta la composizione è allegoriadi disequilibrio, di disarmonia.

I colori cupi e le forme avvolgenti di mare e cielo rendono ancora più claustrofobico l'ambiente che pare voglia comprimere il protagonista e per una sorta di identificazione, lo stesso spettatore.

Per quanto riguarda le categorie cromatiche troviamo una espressiva associazione di colori complementari
  • rosso-verde
  • blu-arancio 
I contrasti complementari nell'opera di Munch
Ricordiamo che il contrasto complementare, in questo caso nel mondo dei colori primari, è dato da un colore primario, esempio il rosso, associato al colore risultante dagli altri due primari, in questo caso il verde, ottenuto mediante la combinazione di blu e giallo.

Questi contrasti cromatici mettono ulteriormente in risalto il climax angoscioso del dipinto.

Possiamo quindi definire tale opera una sorta di sinestesia, in quanto nella composizione, i colori stessi urlano il loro raccapriccio.

Per quanto riguarda le categorie eidetiche vi è un netto contrasto tra le linee curve dello sfondo e le diagonali che vanno a costituire il ponte.

L'antitesi di linee curve e rette nel dipinto
Vi è un'altra apparente antitesi fra le forme curvilinee accennate e le linee diritte della strada, dello steccato e delle figure umane con cilindro che si intravedono quasi alla fine del quadro stesso: non rimandano a una idea di forza, fermezza, dinamismo, quando alla sensazione di essere trafitto dal dolore e dall'indifferenza.

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Il quadro è metaforadella sensazione provata dallo stesso autore un giorno in cui passeggiava per Oslo alla fine della giornata: "il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo."

Ricordiamo inoltre che L'urlo, come per altre opere dell'artista, è soggetta a un processo di accumulazione, in quanto è stato dipinto in più versioni, quattro in totale.

DIABOLIK, EVA, GINKO, I FUMETTI E LA SEMIOTICA

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Diabolik è una serie a fumetti creata nel 1962 da Angela e Luciana Giussani e pubblicata dalla Astorina.

Il protagonista è un ladro spietato ed è compagno di vita della bellissima Eva Kant. Il loro costante scopo è rubare denaro e gioielli per vivere una vita agiata e per finanziare i nuovi e sofisticati metodi per le future rapine.

Diabolik è icona iperbolica del ladro, citazione del "ladro gentiluomo" che ha il suo capostipite in Arsenio Lupin ma è molto più spietato, non esitando a uccidere, preferibilmente con veleni o pugnali.

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Gli stessi "colpi" della coppia sono spesso tecnologicamente al limite dell'irreale, quindi anch'essi iperboli.



Per antonomasia egli è "Il Re del Terrore", "L'Inafferrabile Criminale", "Il Genio del Delitto", "L'Assassino Fantasma", "L'Assassino dai 1000 Volti", "Il Genio della Rapina", "Il Genio della Fuga".

Le maschere che Diabolik ed Eva usano per le loro rapine, composte da una resina modellabile che solidificando diventa sottile e trasparente come la pelle umana, replicandone perfettamente l'elasticità, sono esatte riproduzioni dei lineamenti di un volto umano creando un viso maschile o femminile, giovane o anziano, di propria invenzione oppure duplicazione  fedele di quello di una persona conosciuta partendo dall'osservazione diretta o anche solo da fotografie scattate di nascosto o recuperate da riviste e giornali.



Tali maschere permettono a Diabolik e a Eva di diventare icone dei personaggi nei quali si trasformano.

La coppia criminale è in lotta perenne con l'ispettore Ginko.



Si crea quindi il modello attanziale in cui soggetto è Diabolik, oggetto è rubare, aiutante è Eva, opponente è Ginko. Il destinante è la casa editrice, il destinatario il pubblico dei lettori.

Diabolik è insieme archetipo del mago, del viandante e del guerriero.

Il "genio della rapina" ha dato vita a un fumetto divenuto leggenda grazie al talento delle autrici ma pure, senza alcun dubbio, grazie anche all'uso di tante accortezze semionarrative.

LA STORIA DELLA TELEVISIONE

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"È un piccolo passo per l'uomo, ma un grande passo per l'umanità". Una delle frasi più celebri trasmesse in diretta dalla televisione testimonia il fatto che oggi la storia si svolge davanti ai nostri occhi.

Tutti possiamo essere testimoni oculari. Possiamo avvertire l'impatto dei fatti in diretta e ciò è reso possibile dal miracolo che è la televisione.

La televisione ci offre molto di più di un posto in prima fila, ci porta direttamente nel salotto di casa avvenimenti straordinari. Premendo un tasto apriamo una finestra sul mondo e possiamo trarne emozioni, informazioni sul mondo che ci circonda e anche ispirazione per grandi gesti.

Ma la televisione è anche intrattenimento: ci aiuta a uscire dalla quotidianità.

Oggi la televisione è una cosa data per scontata ma fino a qualche tempo fa era considerata fantascienza. Il viaggio del televisore dal laboratorio al salotto è costellato di incredibili scoperte, di incidenti evitati per un pelo, di ambizioni straordinarie.

Attratti dalla tecnologia uomini geniali hanno affrontato una nuova frontiera elettronica di cui non esistevano mappe e ci hanno accompagnato in un viaggio verso il futuro.

Qui un video sul canale di Ars Europa Channel


ED È SUBITO SERA DI SALVATORE QUASIMODO. L'ONOMATOPEA DELLE DOLCEZZE CONTRO LE ASPERITÀ DEL VIVERE

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'Ed è subito sera'è una poesia di Salvatore Quasimodo. È uno tra i suoi componimenti più brevi.

« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera.»
  • "Ognuno"è sineddochedell'intera umanità.
  • "sul cuor della terra"è analogia del concetto "in mezzo agli uomini, in mezzo agli avvenimenti"
  • "sta solo"è analogia della condizione di solitudine angosciosa dell'Uomo, pure in mezzo ai suoi simili
  • "un raggio di sole"è simbolodella felicità ma anche icona di un dardo.
L'immagine del cuore della terra e del raggio di sole che lo trafigge evoca l'icona di un cuore trafitto, che è allegoria del sogno di felicità e di amore infranto, della gioia negata.

Salvatore Quasimodo è stato un esponente di rilievo dell'ermetismo.
"Sta solo sul, sole, subito sera" sono allitterazioniche per assonanza richiamano alla mente l'onomatopea dello sciabordio delle onde che si infrangono sulle rocce, del liquido contro il solido, del morbido contro il duro, e sono allegoria delle speranza infrante dell'Uomo.

"Ed è subito sera" contiene in sé una iperbole(subito) e una metafora(sera è metafora della morte, che conclude la vita umana come la sera conclude la giornata).

L'archetipo evocato è quello dell'orfano, l'Uomo che  è alla ricerca continua della sicurezza, del bene perduto e mai più ritrovato.

È quindi naturalmente rivolto alla speranza e la sua maggiore paura è quella dell’abbandono.

L'intero componimento è allegoria della condizione umana di solitudine, dolore e brevità dell'esistenza.

GUERNICA, METAFORA DELLA DISTRUZIONE

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Guernica è un dipinto di Pablo Picasso, creato per commemorare la memoria delle vittime del bombardamento aereo dell'omonima città basca, durante la guerra civile spagnola, avvenuto il 26 aprile 1937, ad opera dell'aviazione militare tedesca.

Guernica fu la prima città in assoluto ad aver subìto un bombardamento aereo.

Per quanto riguarda le categorie cromatiche il colore è volutamente assente per accentuare la drammaticità dell'evento.

Al centro si erge l'icona di un cavallo allucinato e impazzito, che ha in bocca una bomba.

È il simbolodella violenza omicida che sconvolge la vita quotidiana.

Una lampadina a filamento, sopra la figura dell'animale, è simbolo della serenità quotidiana carica di valori umani, drammaticamente spazzata via.

Il cavallo e la lampada, simboli rispettivamente della violenza omicida e della fragilità della serenità quotidiana
Interessante la similitudine del lampadario, unito al lume che gli è di fianco, sostenuto dalla mano di un uomo, con quello del quadro di Van Gogh «I mangiatori di patate» in cui una famiglia semplice consuma insieme il pasto serale.

La comparazione tra il particolare con la lampada nella Guernica e ne I mangiatori di patate di Van Gogh
Tale similitudine serve a rendere ancora più viva e drammatica l'antitesi tra le due scene, l'una di quotidiana e serena routine familiare, l'altra di improvvisa violenza e distruzione dei momenti più sacri e sereni della vita.

Al cavallo è contrapposto sulla sinistra l'icona stilizzata di un toro, simbolo della Spagna ferita e offesa e allegoriadella lotta come scontro leale e ad armi pari come quello della corrida dove un uomo ingaggia la lotta con un animale più forte di lui rischiando la propria vita.

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Il bombardamento aereo rappresenta l'antitesi a tale lealtà perché la distruzione piove dal cielo senza che gli si possa opporre resistenza.

Il braccio che ha in mano una spada spezzata è simbolo della battaglia ad armi pari che viene reso vano dalla distruzione senza lealtà di un bombardamento dal cielo su popolazioni inermi.

Le icone usano codici mimetici che accentuano la brutalità dell'evento. Una donna che si dispera con in braccio il figlio morto è icona delle madri che hanno perso le proprie creature, trucidate senza scampo, la testa mutilata di un uomo è simbolo della violenza cieca che priva della ragione e deturpa la bellezza della vita e dell'essere umano.

La rappresentazione della madre con il bimbo morto è icona delle madri che hanno perso le proprie creature
L'icona umana sulla destra rappresenta il terrore di chi cerca di fuggire dalle case che hanno preso fuoco.

L'opera è allegoriadella follia omicida che si scatena durante le guerre e metafora della distruzione di una città divenuta essa stessa simbolo di martirio.

LA FINESTRA DI OVERTON

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La vita di ciascuno di noi è sempre più implacabilmente influenzata nella formazione delle opinioni personali, cioè nella nostra effettiva capacità di discernimento.

Nell'epoca delle cosidette "fake news" (ma "chi" decide cosa è "fake" e cosa non lo è?), siamo immersi da svariati decenni in una sorta di "gnomosfera" (in cui il termine grecoγνώμη , gnome, significa opinione)che ci viene fatta passare per dati di fatto incontrovertibili, assiomatici, indiscutibili.

In altre parole, il mainstream, il pensiero unico, politicamente corretto, che ha dominato il mondo per decenni.

Ora, è interessante comprendere come si forma questo mainstream, quali sono le tecniche di comunicazione che lo generano e lo alimentano.

La prima cosa da comprendere è che esso non è una manifestazione spontanea di pensiero nata dalla gente comune, dal popolo, dalle masse, dagli individui o come si voglia definire il genere umano.

Una cosa fondamentale da tenere a mente è che la comunicazione è un flusso che per esistere ha bisogno di due attanti, l'emittente, cioè chi dà origine al flusso comunicativo, il responsabile del senso trasmesso, e il destinatario, che non è unicamente un sacco vuoto da riempire, ma bensì collabora nella creazione del messaggio che l'emittente intende inviargli ma la cui funzione lo porta a gestire le informazioni ricevute solo secondo le modalità di invio scelte dall'emittente.

In pratica, pur in un rapporto virtualmente paritetico, l'Emittente ha dalla sua parte la possibilità di gestire la comunicazione adottando strategie che possono influenzare l'opinione sino a fuorviare la capacità del Destinatario di interpretare la realtà facendo uso delle proprie capacità cognitive.

Come l'Emittente può alterare le opinioni del destinatario sino al punto da provocare un distorsione percettiva della realtà? Esistono innumerevoli tecniche comunicative (che spesso divengono addirittura tecniche di manipolazione culturale e sociale) adottate dal marketing, dalla pubblicità o dalla politica, spesso dal potere costituito (che è formato da regimi di governo e dai media principali, talvolta fiancheggiatori per il mantenimento dello "status quo")

Quali sono state le tecniche di persuasione adottate per far cambiare idea all’opinione pubblica?

Una di queste è la cosiddetta "finestra di Overton"

La finestra di Overton è un concetto introdotto dal sociologo Joseph P. Overton, secondo la quale ogni idea può essere categorizzata in una delle seguenti fasi o livelli, in base all'atteggiamento dell'opinione pubblica:

1) impensabile (unthinkable)
2) radicale (radical)
3) accettabile (acceptable)
4) razionale (sensible)
5) diffusa (popular)
6) legalizzata (policy)

Questi sei step devono essere "percorsi"metaforicamente, in un certo lasso di tempo, per far percepire all'ultima fase, la sei, come legale, un certo argomento che alla fase 1, qualche tempo prima, era considerato impensabile.

Qualsiasi idea, anche la più incredibile, può, attraverso questo sistema, in un certo arco di tempo, svilupparsi nella società ed essere accettata pacificamente.

E' una forma blanda e "annacquata" nel tempo di un vero e proprio lavaggio del cervello, con diversa intensità ma uguale efficacia.

L’essenza di questo metodo sta nel fatto che l’auspicato mutamento di opinione deve perseguirsi attraverso varie fasi, ciascuna delle quali sposta la percezione ad uno stadio nuovo dello standard ammesso fino a spingerlo al limite estremo.

Il metodo utilizza specialmente la ridondanza temporale (ma anche spaziale, testuale, contestuale e la iperidondanza), ovvero la ripetizione del medesimo concetto nel tempo, nello spazio, nel linguaggio (visivo, plastico o verbale), nei vari contesti o contemporaneamente nello spazio e nel tempo.



Secondo la teoria di comunicazione di massa nota come la "griglia percettiva" ogni essere umano si difende dalle incursione quotidiane dei mass media e dal loro bombardamento, attraverso una sorta di rete di protezione, di setaccio psichico, composto dalle nostre esperienze, la nostra cultura, le relazioni che abbiamo intessuto e così via, che filtra le informazioni, ma non in modo critico, quanto in modo istintivo, basandosi sulla quantità più che sulla qualità.

Innanzitutto la griglia accetta solo una piccola percentuale di informazioni, quotidianamente, permettendo al cervello di considerarle, prima e assimilarle, poi.

Il cervello tende a ricordare e quindi a elaborare informazioni che coincidono con le informazioni che ha precedentemente accumulato.

Usando quindi la ridondanza, si inviano quotidianamente, per anni, sempre e solo i medesimi messaggi (questa bibita è fresca; il nostro pane è il migliore; Parigi è romantica, e così via) sino a bombardare la griglia percettiva e "obbligarla" al passaggio solo di una piccola percentuale per volta del messaggio che si intende veicolare e far introiettare.

Con il passare del tempo, senza rendersene conto, la nostra griglia psichica "immagazzinerà" per migliaia di volte il medesimo messaggio.

Alla mille e ulteriore volta, il messaggio sarà recepito come "buono", "accettabile" e quindi degno di essere considerato a livello logico, semplicemente perché l'informazione sarà trovata conforme alle idee che ci sono passate attraverso le maglie della griglia percettiva di nascosto e un po' alla volta, negli anni precedenti.



Non solo questo, ma anche l'uso del linguaggio verbale, plastico e cromatico adoperato gioca un ruolo fondamentale.

La finestra di Overton si avvale della percezione differente che si ha quanto si usano elementi denotativi o connotativi.

E' cosa ben diversa dire che un minore è stato ucciso o che un bimbo è stato trucidato. Per questo la finestra di Overton adopera intensamente i sinonimi, chiamando le cose in modo tale da provocare sdegno o ammirazione o solidarietà o limitarsi a descrivere in modo neutrale, a seconda dei propri scopi.

Usa inoltre la creazione di false inferenze.

Le inferenze sono conoscenze generate da altre conoscenze: se dico "Antananarivo è una bella città. In Madacascar le città sono molto belle" faccio sapere a chi legge che Antananarivo è in Madacascar. Da due concetti messi accanto, ne genero un terzo.

Se però dico "Il mio è un gatto senza coda. L'ho adottato quando vivevo a Bali" si genera l'inferenza o almeno il dubbio che a Bali i gatti siano senza coda, e questo non è vero.

Un'altra tecnica adottata è quella dello scioglimento del rapporto che lega significante a significato. Un tempo la definizione di matrimonio, marito, moglie, per esempio, era sempre la stessa, adottata come tale da tutti. A un termine (significante) corrispondeva sempre il medesimo significato. Oggi non è più così pacifico.

Nelle sue varie fasi, la finestra di Overton si avvale inoltre dell'uso di testimonial: intende generare nella mente del pubblico il pensiero "se una persona così famosa crede che questa tal cosa sia giusta, buona e bella, deve essere così".



Adopera spesso il teorema della relatività dei concetti portata all'eccesso ("chi sono io per giudicare cosa è giusto o sbagliato?")

Motivi di marketing spingono poi tacitamente e in modo subdolo verso la "legalizzazione del nuovo modo di pensare" per permettere facilmente la pubblicizzazione di merci e servizi per il nuovo segmento di mercato.

L'ultima fase si articola sull'indottrinamento sin dalla più tenera età, sul nuovo concetto "condiviso"

In realtà queste tecniche, tanto adoperate nell'ultimo secolo, si rifanno a molto più antiche tecniche retoriche, che prendono vita nell'antica Grecia.

C'era infatti una volta il sofisma.

L'origine del termine risale alla corrente filosofica dei sofisti. Sofisma deriva dal greco sóphisma, cioè: artifizio, abilità, che deriva a sua volta dal verbo sophìzomai, che vuol dire parlare abilmente, scaltramente, in modo astuto.

Già Aristotele, nelle Confutazioni sofistiche studiò le strategie per "abbindolare" gli astanti con dotti ragionamenti che potevano con altrettanta abilità dimostrare un principio e il suo esatto contrario, un valore umano e il suo opposto.



Fra essi annovera l'omonimia, o ambiguità semantica; poi vi è l'anfibolia, o ambiguità grammaticale (per esempio, l'enunciato "posso sollevare un uomo con una mano sola" potrebbe significare sia che si può sollevare un uomo con l'uso della propria mano, sia che si può sollevare un uomo che possiede una sola mano).

Denuncia la pratica di "depistaggio" quando vengono fatte inferire proprietà per il tutto a partire da proprietà delle singole parti o quando viene usata ad arte un'errata forma dell'espressione linguistica.

Oppure la tecnica di presentare un argomento di per sé valido, ma fuori tema, l'illecita generalizzazione, l'ignorare subdolamente un'eccezione alla regola generale, l'assumere illecitamente come causa qualcosa che non lo è, o porre una domanda complessa che presuppone più cose di quelle di cui chiede, apparentemente, una risposta semplice.

Un'altra tecnica, denunciata da Aristotele, consiste nel far supporre che ciò che è stato ammesso in via condizionale sia applicabile anche al contrario, ad esempio: «Se Antonio ha la febbre, allora Antonio è caldo, dunque se Marco è caldo allora Marco ha la febbre».



Ci sono molti modi di derubarci della nostra capacità di discernimento, di analisi razionale e quindi di scelta ponderata e soprattutto veramente libera e nostra.

La finestra di Overton è una delle più subdole, perché agisce nel tempo, nascostamente e in modo molto efficace.

Oggi concetti come cannibalismo o pedofilia legale sono impensabili. Ma fra qualche anno?

La finestra di Overton è aperta. Occorre tenerla ben chiusa, se si vuol restare liberi, e tenere aperti gli occhi.

LA CAPRA DI UMBERTO SABA, SIMBOLO DEL DOLORE UNIVERSALE

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La capra, nota poesia di Umberto Saba, fa parte della sezione Casa e campagna del Canzoniere, e comprende le liriche del poeta composte tra 1909 e 1910.

Qual è il significato di tale poesia?

Nel primo verso (ho parlato a una capra) troviamo un paradosso.

Con una funzione referenzialeil poeta si limita poi a descrivere la situazione, senza ulteriori scopi comunicativi (Era sola sul prato, era legata. Sazia d’erba, bagnata dalla pioggia, belava).

Nella seconda strofa troviamo dapprima una allusioneal ripetersi incessante del verso dell'animale (uguale belato) e una similitudine (Quell'uguale belato era fraterno al mio dolore).

Poi una iperbole(il dolore è eterno), una sineddoche (ha una voce...questa voce sentiva gemere in una capra solitaria).

Umberto Saba
La capra è simbolodi tutti gli esseri viventi, umani, vegetali e animali, accomunati dall'esperienza del dolore.

La funzionequi utilizzata è quella emotiva. Il poeta vuole far provare anche al lettore empatia con il dolore della capra, con il dolore di tutti.

Nella metafora"in una capra dal viso semita" ritroviamo l'allusione al popolo ebraico, cui anche Saba apparteneva, e al dolore che soprattutto colpì i figli di Abramo durante l'orrore della Seconda Guerra Mondiale.

Ritroviamo la sineddoche nei versi finali (In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita).


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La funzione comunicativa dell'intero componimento è estetica. Lo scopo dell'arte è innanzitutto quello di creare bellezza, con i versi, con i colori, con le immagini, e raccontare anche il dolore usando i mezzi della bellezza.

Allegoricamente, attraverso la figura simbolo della capra, si racconta il dolore universale.

Interessante l'antitesi con "il Canto Notturno" di Leopardi, in cui si riflette sul dolore, ma escludendo almeno da tale destino di dolore gli animali (O greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! non sol perché d'affanno quasi libera vai).

In Saba invece anche gli animali soffrono del medesimo dolore degli umani, con un'anafora finale (sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita).

Ecco il testo della composizione:

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

Ecco la suggestiva interpretazione della poesia da parte di Vittorio Gassman:

LA BARCA DI DANTE DI EUGENE DELACROIX E IL MODELLO ATTANZIALE DI GREIMAS

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Nel momento in cui lo sguardo analitico diventa più approfondito, si ritrovano quelle che Greimas, nella semiotica generativa, ha identificato come strutture semionarrative.

Secondo la semiotica generativa la maggior parte dei segni presenti in un’opera appartengono al livello superficiale della stessa e di conseguenza, per poter comprendere a fondo il messaggio che l’autore ci vuole trasmettere, è necessario compiere il cosiddetto “percorso generativo della significazione”, che passando dal livello più superficiale a quello più profondo, analizza le dinamiche che hanno generato il senso più implicito di un testo, visivo, sonoro o scritto .

Le strutture semionarrative sono le radici dell'albero della comunicazione
Possiamo perciò affermare che il percorso della significazione è, nell'ambito del visivo, un processo attraverso il quale si costruisce una narrazione attorno a un’immagine.

Le strutture semionarrative nascono dalla convinzione di Greimas che quasi ogni testo è organizzato in forma narrativa e che lo schema interpretativo applicabile a tutte le forme di narrazione è il modello attanziale.


Il modello attanziale è un modello paradigmatico fondato sulle relazioni di opposizione esistenti fra sei fondamentali attanti o ruoli narrativi che sono:
  1. soggetto
    colui che compie l'azione
  2. oggetto
    che è la meta dell'azione
  3. aiutante
    che aiuta il soggetto
  4. opponente
    che ostacola il soggetto
  5. destinante
    che è il mandante del soggetto all'inizio della narrazione
  6. destinatario
    a cui viene affidato alla fine l’oggetto o attante finale della comunicazione.

Flegiàs il traghettatore è l'aiutante
In un testo visivo, quale ad esempio la Barca di Dante, di Delacroix, abbiamo i seguenti attanti:
  1. soggetto
    Dante
  2. oggetto
    superare il Flegetonge, approdare alla rive a continuare il viaggio nell'inferno
  3. aiutante
    Flegias, il traghettatore
  4. opponente
    i dannati che vogliono rovesciare la barca
  5. destinante
    nell'opera visiva è Virgilio, che deve portare Dante sino alla cima del purgatorio. Nell’opera letteraria che ha ispirato l’opera pittorica, Beatrice, non presente nel quadro, come la Vergine e santa Lucia, ma ma anche il “Sommo bene”, Dio.
  6. destinatario
    il pellegrino Dante, che raggiunge l’oggetto, ovvero il proseguimento del viaggio, dopo aver superato il Flegetonte.
I dannati sono gli opponenti
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Anche qui, il destinante è anche l’autore del quadro, Eugene Delacroix, e il destinatario ne è il fruitore, lo spettatore, colui che guarda il quadro .

Naturalmente il modello attanzialeè applicabile sugli artefatti comunicativi che si vogliono realizzare (sia testi scritti, visivi o sonori) per dare una struttura di significazione più robusta e creare un percorso narrativo atto a rendere più facilmente percepibile e quindi più efficace, qualunque messaggio.

L'ESTATE, I CINQUE SENSI E LA VANITÀ

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Sebastian Stoskopff, in “L’estate, allegoria dei cinque sensi”, del 1633, conservata  a Strasburgo, nel Museo dell’Oeuvre de Nôtre Dame, usa una serie di simboli per creare l'allegoria.

I freschi e profumati fiori nel vaso, sono il simbolo dell'olfatto.

La scacchiera e i dadi lo sono del tatto.

Lo specchio lo è della vista. È inoltre simbolo di vanità, e l'anta semi-accostata rappresenta la transitorietà della bellezza.

Le pesche in primo piano sono indice che la composizione è ambientata in estate, questi succosi frutti, insieme all'uva, sono simbolo del senso del gusto.


Gli strumenti musicali simboleggiano l'udito.

Fra essi è interessante notare il mandolino rovesciato che è simbolo del bene effimero della vita, fugace e transitoria.

Il globo è simbolo dell'universo, del tutto, dell'esistente.

Così come è fugace la calda e prospera estate, tutta passa, comprese le esperienze e le impressioni, rappresentate dai cinque sensi, perché, come dice il Qoelet "vanitas vanitatum, omnia vanitas"
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