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SIGNIFICATI DEI SIMBOLI DEL GIUDIZIO UNIVERSALE DI GIOTTO

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Il Giudizio universale di Giotto, del 1306, affresco nella Cappella degli Scrovegni a Padova, è un capolavoro non solo dal punto di vista squisitamente artistico ma anche da quello simbolico.

L'affresco è diviso in due parti in antitesi, quella superiore, illuminata dal sereno ordine celeste, e l'inferiore, nel burrascoso divenire dell'ordine terrestre che sta giungendo al termine, con una metà occupata dai morti risorgenti e dai beati che si recando in Paradiso, e l'altra metà dai dannati precipitati nell'Inferno. .

Al centro dell'affresco, metafora dell'Universo, si erge Gesù, giudice divino, che siede su una nube iridata ed è circondata da una mandorla retta da angeli, stilizzazione della luce divina che emana dal suo essere, scomposta in tutti i colori dell'arcobaleno, simbolo della totalità delle cose da lui create.



Sotto la nube che funge da trono del Cristo, appaiono animali fantastici non facilmente identificabili: alcuni studiosi, fra cui Giuliano Pisani, vi hanno ravvisato un orso con il pesce, simbolo della bestialità dell’umanità redenta grazie al sacrificio di Gesù, un centauro, simbolo della doppia natura del Cristo, divina e umana; un'aquila, simbolo di potenza e dell'ascensione e un leone, simbolo della regalità del Cristo e della Resurrezione.

In tali figure simboliche sono state inoltre identificate, per tradizione della Chiesa, gli attributi ai quattro evangelisti: l'angelo di Matteo, il leone di Marco, l'aquila di Giovanni e il bue di Luca.

I codici gestuali del Cristo sono simbolo della sua accoglienza rivolta alle anime dei giusti e alla sua ripulsa di quelle dei malvagi, che vengono condannati.

I dodici apostoli, sei da una parte e sei dall'altra, circondano il trono celeste.



I cieli sono ricolmi di innumerevoli schiere angeliche, suddivisi per caratteristiche e riconoscibili dal colore, simbolo del loro status:

Gli Angeli custodi, in verde, simbolo della Speranza.
Gli Arcangeli in rosa simbolo di autorità sugli angeli.
I Principati in giallo simbolo di rinnovamento e di collegamento tra spirito e materia.

Le Dominazioni, in arancione, simbolo di auto-dominio, pienezza di vita.
Le Virtù , con la veste blu zaffiro, simbolo della purezza.
Le Potestà, in azzurro acquamarina, simbolo di forza vitale.


I Serafini, in rosso, simbolo dell’Amore divino.
I Cherubini in azzurro simbolo della Sapienza divina.
I Troni, in verde, simbolo della potenza di Dio e della Sua giustizia.

Ai lati della mandorla angeli suonano le trombe dell'Apocalisse risvegliando i morti.



Ai piedi del Cristo vi è la Sua croce, simbolo di redenzione e di sacrifico. Accanto alla croce appare il committente dell'opera, Enrico degli Scrovegni che offre un modello della cappella alla Vergine, icona della cappella vera e propria e simbolo di dedicazione dell'opera, per purificare il peccato d'usura della sua famiglia del quale era stato accusato da Dante, nella sua Commedia.

Un raggio di luce ogni 25 marzo  passa tra la mano di Enrico e quella della Madonna.
E'simbolo della donazione avvenuta in tale data.

Dalla mandorla sgorgano quattro fiumi di fuoco che generano l'inferno, Stige, Acheronte, Flegetonte e Cocito, in cui sono precipitati i reprobi, tormentati crudelmente dai demoni, riconoscibili per il colore livido e l'aspetto caprino o scimmiesco.



Alcuni dannati hanno al collo sacchetti di monete, simbolo di avidità. Le pene sono inflitte per similitudine iperbolica dei peccati che hanno procurato loro la dannazione.

Le pene sono esplicite e terrificanti, torture disumane che mostrano individui segati a metà, squartati, stuprati, infilzati allo spiedo. I codici dell'abbigliamento (o parte di esso, visto che le anime sono simboleggiate da individui nudi) o dell'acconciatura sono indice della loro condizione durante la vita terrena: appaiono re, monaci, giudici e alti religiosi.



In basso siede, goffo e informe,Lucidero, che appare con il "vultus trifrons", ovvero con tre facce.

Tale rappresentazione, mutuata anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, al canto XXXIV della prima Cantica, è la perfetta antitesi della Trinità celeste: se le caratteristiche divine sono la divina podestate, (il Padre) la somma sapïenza (il Figlio) e 'l primo amore (lo Spirito) (Inf. III, vv. 5-6), quelle di Lucifero sarebbero quindi, in antitesi, impotenza, ignoranza e odio, rappresentate simbolicamente dai tre colori delle facce di Lucifero citati da Dante, rosso, bianco-giallo (faccia a destra) e nero (faccia a sinistra).

C'è anche chi ha attribuito ciascun colore al simbolo di una fase dell'opera alchemica, la rubedo, l'albedo e la nigredo.



Nella parte più alta dell'affresco, ai lati della finestra, sono dipinti il sole, e la luna, sineddoche dell'intero firmamento, che sta per essere "arrotolato" da due angeli, ponendo fine alla realtà per come la conosciamo.

Da dietro si rivelano le porte dorate della Gerusalemme Celeste, simbolo del nuovo ordine cosmico, di bene e felicità, come scritto nell'Apocalisse:

«Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto» (AP 6, 14).


SIMBOLOGIA DEL FILM "MORTE A VENEZIA"

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E' la storia del raffinato compositore Gustav von Aschenbach che si reca al Lido di Venezia, all'Hotel des Bains, nel 1911, per un periodo di riposo al fine di riprendersi da problemi cardiaci. La sua vita è segnata dal dolore per la morte della figlioletta.

Diretto nel 1971 da Luchino Visconti, il film è tratto dal romanzo "La morte a Venezia" dello scrittore tedesco Thomas Mann.

La tematica omosessuale pare preminente, ma in realtà lo è solo superficialmente, in quanto l'aspetto simbolico nel film di Visconti, è estremamente forte.

Venezia, nel film, è il simbolo della cultura, dell'arte, della storia, della tradizione raffinata e antica che viene ferita, contaminata, uccisa. Infatti, la pestilenza, reale nella narrazione, è metafora del contagio che i morbi dell'ignoranza, dell'ipocrisia, della brutalità e della volgarità spargono nel mondo. Il colera che si sparge a Venezia è metafora del morbo psicologico che uccide le coscienze.

Protagonisti della vicenda sono il raffinato compositore in vacanza e il giovanissimo, efebico Tadzio.



L'uomo è simbolo di eleganza, di cultura, raffinatezza, esperienza. Tadzio è il simbolo della gioventù, della bellezza, della novità.

Gli abiti di colore bianco, indossati nel corso della vicenda sia dal giovane che  dal maturo compositore, sono indice della bella stagione ma anche simbolo di purezza, caratteristica che il professore, nonostante il tradimento dei suoi ideali, porta in cuore sino alla morte, ma che viene molto più celermente persa dal giovane, bellissimo e innocentemente perverso Tadzio, che gode a infierire sulla debolezza di von Aschenbach, come la modernità infierisce sulle tradizioni, irridendole.

I codici svolgono un ruolo molto importante nella narrazione cinematografica: I codici dell'abbigliamento rivelano la ricchezza della famiglia del giovane come quella di tutti gli ospiti del lussuoso Hotel.

I codici mimetici e gestuali di Tadzio, i suoi sguardi, sono simbolo dell'innocenza che se ne va, anche se solo dal punto di vista  spirituale e della gioventù che si prende gioco della vecchiaia, di ciò che è nuovo che deride l'antico.



La gioventù gioca con la vita, simboleggiata dall'arancia che il ragazzo, sulla sdraio, fa volteggiare dinanzi a sé. Il colore arancione è infatti percepito come il colore della vitalità e del continuo rinnovamento.

Fino a qui assistiamo all'antitesi tra vecchio e nuovo, tra gioventù e anzianità, tra curiosità ed esperienza, ma un pericolo è in agguato: una pestilenza minaccia Venezia, il contagio, simbolo della volgare mediocrità, minaccia antiche culture e tradizioni.

Interessante il gruppo dei musicanti che appare una sera nel cortile dell'hotel e suona un'aria dozzinale dinanzi agli ospiti che si godono il fresco.



Il cantante a cui il maturo von Aschenbach chiede perché disinfettino Venezia è simbolo di decadenza, di malattia, di decomposizione della cultura, dell'arte, della vita. Il suono degli strumenti diviene simbolo del modo in cui con il becero intrattenimento nazionalpopolare si distrae la massa da quelli che sono i veri problemi, inducendola a rimanere nel pericolo.

Nella scena in cui il direttore dell'hotel, simbolo del potere, interroga i musicisti su cosa hanno rivelato al cliente, i codici gestuali ci rivelano l'ipocrisia e la falsità dei simboli dell'intrattenimento che, su ordine del potere, deformano la verità.

Il regista si scaglia, quindi, contro il moderno contagio della comunicazione becera, con questa metafora dei musicanti che rappresentano i mezzi di comunicazione di massa che confondendo le idee annientano il pensiero sino ad annichilire gli individui, nascondendo loro il pericolo, anzi, tentando di farli immergere sempre più nei miasmi venefici dell'ignoranza, della volgarità. La stessa aria musicale e i codici gestuali dei musicanti irridono la platea, mescolando la finzione con la realtà.

Forte è l'antitesi fra finta allegria del musicante malato e vera angoscia che serra la gola von Aschenbach, metafora della condizione in cui si trovano gli intellettuali liberi che si accorgono del pericolo che nasce dalle modalità e finalità dell'intrattenimento che non mira all'elevazione delle persone, ma al loro abbrutimento...



La figura del barbiere è simbolo dell'ipocrisia dell'apparenza che vuol impedire agli individui di accettarsi come sono per inseguire una effimera idea di gioventù eterna e di eterna "performanza"

Il barbiere, simbolo inoltre dei "sacerdoti dell'immagine" parla di "restituzione" della giovinezza, come se la gioventù risiedesse nel colore dei capelli e non nelle caratteristiche spirituali e nei moti d'animo che oramai per il maturo compositore sono perduti per sempre.

Anche qui abbiamo una metafora della civiltà dell'apparire che pretende di superare la realtà, ricoprendola di belletti che, anziché restituire ciò che non c'è più, ridicolizzano la persona che non si accetta per ciò che è.

La seduta dal parrucchiere è la metafora del mondo in cui viviamo e di quello che già appariva agli occhi del regista come una immensa e crudele burla che trasforma le persone in caricature pietose e patetiche di se stesse. Naturalmente non è la tintura dei capelli in sé che viene attaccata da Visconti, quanto piuttosto il suo valore simbolico.



L'attimo in cui il parrucchiere tinge capelli e baffi del professore è l'inizio effettivo della fine di Gustav von Aschenbach, la sua sconfitta dinanzi all'età, l'abiura di tutta la sua dignitosa esistenza che ora si tinge di nero, ma non del nero della gioventù, ma della morte, che è pure beffarda.

Ma alla fine la tinta cola, il trucco viene svelato e mostra il suo venefico e deturpante potere di sfigurare l'anima.



L'antica eleganza, cultura, raffinatezza, esperienza, è sconfitta dal contagio della volgarità, si estingue, nell'indifferenza generale, contemplando la bellezza di Tadzio, l'avvenenza del nuovo che arriva, così perfido ma così vincente, così affascinante anche se vuoto, ripieno solo dell'amore di se stesso e del futuro che indica, lontano e, forse, illusorio.



SIMBOLOGIA DELLE FESTIVITÀ NELL'ANTICA ROMA

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Gli antichi romani erano molto legati alla celebrazione delle festività, che erano numerose e che si stendevano  lungo tutto l'anno.

Queste feste erano ricche di significato per i cittadini di Roma, che le celebravano attraverso i simboli che le contraddistinguevano.

Le festività più importanti erano i Saturnalia, i Consualia, i Lupercalia e i riti della Bona Dea.



I Saturnalia in epoca imperiale si svolgevano dal 17 al 23 dicembre.

Simboleggiavano il ritorno dell’età d’oro, periodo nel quale dominava Saturno, che fu sconfitto da Zeus e venne ospitato dal Giano nel Lazio.  Il nome di questa regione veniva fatto risalire a "latere" (nascondere) e Latium alludeva al luogo nascosto della tomba del Dio.

Nell'età dell'oro, si narrava, gli uomini vivevano felici, nell'abbondanza di tutte le cose e in perfetta eguaglianza fra loro



In questi giorni, quindi, si festeggiava con conviti e banchetti l'abbondanza dei doni della terra e, veniva concessa agli schiavi la più larga licenza. Tutti loro infatti indossavano il pilleum o pileus, il cappello greco di forma conica, simbolo degli uomini liberi. Tra di essi era estratto a sorte un Saturnalicius Princeps, che solo per quei giorni era investito dei pieni poteri e vestiva con il colore degli dei, cioè il rosso

Macrobio narra che si scioglievano le bende di lana che avvolgevano i piedi del simulacro di Saturno, nel suo tempio ai piedi del Campidoglio, simboleggiando la liberazione del dio.

I Saturnali iniziavano con il rito  del “lettisternio” , cui si assisteva a capo scoperto e, nel quale le statue degli Dei venivano stese sui letti; si offriva poi il cibo a Giove ed a dodici dei, cibo che veniva in seguito consumato pubblicamente dai partecipanti, alla fine del quale i convenuti si scambiavano il saluto augurale: Io, Saturnalia. "ego Saturnalia", era l'abbreviazione dell'augurio di trascorrere buone feste (ego tibi optimis Saturnalia auspico)



Seguivano i banchetti privati nelle singole case, dove s'invitavano parenti ed amici in cui s'imbandiva quanto di meglio offrivano le cucine e le cantine, e dopo ci si abbandonava al gioco dei dadi, che le leggi proibivano al di fuori di quei giorni.

A Saturno si dedicavano sacrifici umani fino a quando , dice la leggenda, Eracle, passando dal Lazio, convinse gli abitanti ad offrire invece statue di argilla e ceri accesi. Da qui iniziò l’usanza di scambiarsi doni, statue d’argilla e ceri accesi.

Vi era l’uso di giocare a una specie di Tombola, considerata il grande gioco di Saturno: questo gioco era però caricato di sacralità in quanto serviva per predire il prossimo futuro attraverso i numeri.

Lo scambio dei doni avveniva specialmente il 19 dicembre, durante i Sigillaria: si donavano e si ricevevano cose semplici, come  i tre simboli dei saturnalia: il mirto, il lauro e l’edera (sacri a Venere, Apollo e Bacco). Ai bambini venivano regalate statuette di pasta dolce – i sigilla – a forma di bambole e animali.



 La maggior parte di questi doni erano le strenne (dal latino strena, “dono propiziatorio”) e dal nome della Dea Strenua, la Dea del solstizio d'inverno). Erano candele, noci, datteri e miele ed erano simboli del ritorno della luce dopo l'oscurità dell’inverno.

I romani in quei giorni non indossavano la toga, ma la più comoda synthesis, una veste da casa molto disinvolta e più comoda.

Le città erano addobbate di ghirlande, di fiaccole, di nastri, di rami e di fiori , con bracieri accesi davanti ai templi.



Vi erano poi i Consualia, feste dedicate a Conso, dio dei granai e degli approvvigionamenti.

Venivano celebrate il 21 agosto, durante il periodo del raccolto, e il 15 dicembre. Tutti i riti si svolgevano davanti a un altare sotterraneo del Circo Massimo, portato in superficie in occasione della festa. Tale altare simboleggiava il seme che prima è nascosto nella terra e poi da essa esce, divenuto spiga.

Il dio Conso, era da molti identificato nel Neptunus Equestris, ovvero nel dio Nettuno protettore degli equini, simbolo dell'antico mito che vedeva il dio offrire come dono agli ateniesi un cavallo, mentre Atene dono, vincendo la sfida, l'ulivo.



Le celebrazioni avvenivano con corse di asini, cavalli o muli, cui assistevano anche gli equini non concorrenti, agghindati con ornamenti floreali e per quel giorno esentati da ogni lavoro.

Fu nel corso delle gare equestri dei Consualia che i Romani rapirono le donne sabine per fondare la propria nazione



Un'altra festa molto sentita dai romani erano i Lupercalia,  che si celebravano nei giorni nefasti di febbraio, dal 13 fino al 15, in onore del dio Fauno Luperco cioè protettore delle pecore e delle capre dall'attacco dei lupi. Secondo Plutarco sembra fossero dei riti di purificazione

La festa era celebrata da giovani sacerdoti chiamati Luperci, seminudi con le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia; soltanto intorno alle anche portavano una pelle di capra ricavata dalle vittime sacrificate nel Lupercale.



Dalle pelli delle capre sacrificate venivano tagliate delle strisce, dette amiculum Iunonis, da usare come fruste. I luperci, iniziavano a correre colpendo con queste fruste sia il suolo per favorirne la fertilità sia le donne,che porgevano il ventre o le mani per ricevere i colpi di frusta, simboli di fecondazione.

Questo era il rito di iniziazione dei nuovi sacerdoti: venivano segnati sulla fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre che veniva asciugato poi asciugato con lana bianca intinta nel latte di capra. Dopo di che i nuovi adepti dovevano ridere.

Questa cerimonia simboleggiava la morte e la rinascita rituale.



Il segno con il coltello insaguinato rappresentava la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano invece la rinascita alla nuova condizione del sacerdozio.



L'ultima delle feste principali era quella della Bona dea

La Bona Dea, il cui nome non poteva essere pronunciato, era la moglie di Fauno, donna abile nelle arti domestiche e pudica. Un giorno però trovò una brocca di vino, la bevve e si ubriacò. Suo marito la castigò a tal punto con verghe di mirto che ne morì.

La festa di Bona Dea ricorreva una volta all'anno, a una data variabile, a seconda delle fasi lunari, sempre al principio di dicembre;

Suoi simboli erano la cornucopia e il serpente.



Il rito misterico, al quale gli uomini erano tassativamente esclusi, si celebrava di notte, nella casa di un magistrato; Vi si riunivano le matrone romane, incaricate di compiere il rito per conto dello stato, insieme con le Vestali.

Al rito presiedeva la moglie del magistrato nella cui casa si allestiva la festa; ella assumeva in tale occasione, come sacerdotessa della dea, il nome di damiatrix



La vittima sacrificale offerta alla dea era una scrofa;

La sala della festa si ornava di tralci di vite, ma mai con il mirto; nel rito, accompagnato da musica e da danze, aveva larga parte anche il vino, il quale però veniva sempre ricordato con falso nome. Il vaso del vino veniva infatti chiamato mellarium, vasetto di miele, ed il vino lac, cioè latte.

Un tempio di Bona Dea, il cui ingresso era pure vietato agli uomini, sorse in Roma ai piedi dell'Aventino. Era un centro di guarigioni, attestato dal fatto che dei serpenti, simboli di Asclepio, dio della medicina, si muovevano per il tempio, in cui era anche custodito un magazzino di erbe
medicinali.

La dea Bona era simbolo di protezione dello stato e del popolo romano

Di seguito il video




DYLAN DOG, ROBERTO RECCHIONI E MATER MORBI

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Il numero 280 del fumetto Dylan Dog, sceneggiato da Roberto Recchioni e intitolato Mater Morbi, ha dato origine, alla sua uscita, a causa dell'argomento trattato, a una serie di querelle, che hanno visto protagonisti addirittura esponenti della politica e delle Istituzioni italiane.

Senza entrare in merito alla vicenda di "gossip" ci piace fare notare come l'opera, comunicativamente pregevole ed efficace, si basa, come sempre avviene in questi casi, su modelli comunicativi quali il modello attanziale, il quadrato semiotico, le figure retoriche e gli archetipi, che danno, quando ben usati come in questo caso, degli eccellenti risultati.



La trama è di per sé coinvolgente e il tema è trattato in modo delicato e insieme energico.

Non sappiamo se l’autore ha scientemente utilizzato i modelli comunicativi indicati, o semplicemente li ha intuiti. Fatto sta che nell'opera sono presenti le seguenti strutture semiotico-narrative:

Simboli, icone e indici (con produzione di allegorie e metafore)
Oltre alla stessa Mater Morbi, simbolo,  e anche prosopopea della malattia,troviamo l’albero delle pene nel giardino della consunzione, simboli del dolore del malato, oltre al regno di Mater Morbi, con i simboli delle malattie rappresentati da strumenti di tortura e i suoi figli, i terribili tormenti, simboli delle pene cui è quotidianamente sottoposto il malato. Tutti questi simboli, coordinati tra loro formano l’allegoria della malattia.



Per quanto riguarda le icone, ogni personaggio è icona della funzione rappresentata (il medico, il malato, il parente in visita, etc) e nello stesso tempo diventa metafora della medicina, della malattia subita direttamente o indirettamente)

In relazione agli indici troviamo gli strumenti chirurgici o terapeutici, che segnalano il fatto che siamo in presenza di malati o in luoghi di cura, e i segni sul corpo dei malati (occhiaie, ferite, sangue)

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Modelli attanziali
Del modello attanziale ne abbiamo già parlato in più occasioni… in questo caso ne troviamo più d’uno. Abbiamo il modello:

  • soggetto Dylan Dog
  • oggetto stare bene
  • opponente la malattia (simboleggiata da Mater)
  • aiutante medicina
  • destinante Mater Morbi
  • destinatario Dylan

oppure:
  • soggetto Mater Morbi
  • oggetto avere amore e sconfiggere solitudine
  • aiutante i malati
  • opponente i medici
  • destinante Mater Morbi
  • destinatario Mater Morbi


Quadrati semiotici
Anche di questi modelli comunicativi ne abbiamo molteplici. Per esempio:
  • SALUTE dott. Vonnegut
  • MALATTIA Mater Morbi
  • NON MALATTIA Dylan Dog
  • NON SALUTE Vincent
oppure:

  • VIVO Dylan
  • MORTO Vincent
  • NON VIVO dott. Vonnegut
  • NON MORTO Mater Morbi

Modelli archetipici
Tutti sono orfani,in quanto hanno perso qualcosa che rincorrono senza tregua (i malati e Dylan la salute, Mater Morbi la compagnia e l’amore, Vincent la vita, i medici la speranza)

Oltre a ciò ricordiamo che Dylan è anche archetipo del viandante e, una volta guarito, dell’innocente.
Vincent sembrerebbe il perfetto archetipo dell’orfano, ma è in realtà un innocente, in quanto ha deciso di vivere la sua vita tollerando la malattia e prendendo tutto ciò che l’esistenza di bello possa offrire, senza eccessivi rimpianti.

Non possiamo far altro che complimentarci con questo sceneggiatore per la sua capacità di sapere utilizzare in modo artistico e creativo, grazie al suo talento, gli strumenti che da sempre la semiotica mette a disposizione dell’arte e della comunicazione.

LILLI GRUBER E OTTO E MEZZO: I TRUCCHI DI UNA BUONA SCENOGRAFIA

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Otto e mezzo, il programma condotto da Lilli Gruber su La7, gioca fortemente a livello percettivo con i propri telespettatori, grazie alla scenografia e alle inquadrature.

Il suo scopoè quello di commentare avvenimenti e notizie sociali e politiche mettendo a confronto esponenti delle varie parti in campo, per discutere e sceverare i fatti.



È però inevitabile che talvolta i toni si scaldino un po' quando si mettono a confronto esponenti di diverse ideologie e allora, per trovare un equilibrio tra il registro linguistico e quello paralinguistico, si ricorre a determinati escamotages.

Il titolo, viene utilizzato metaforicamente nella sigla e in alcuni elementi della scenografia: l'orologio con le sue lancette scandisce il tempo, in similitudine con 1/2,  programma condotto da Lucia Annunziata su Raitre e organizza la disposizione dei personaggi nello studio.

L'orologio che scandisce i momenti e i vari personaggi del quotidiano televisivo.
Ma il cerchio non è solo metafora dell'orologio. Volendo far intuire che gli invitati della trasmissione sono una élite, viene usata una scrivania circolare, che secondo le categorie eidetiche fa percepire a chi guarda l'idea di chiusura, di privilegio, di gruppo circoscritto.

L'ultima versione del cerchio dello studio di Otto e Mezzo prevede una pedana rialzata, a ribadire il livello di esclusività.
Un'altro esempio è l'utilizzo delle categorie cromatiche: il colore blu dello studio, tipico dello scorrere del tempo riflessivo e meditato, disattiva l'adrenalina e invita i partecipanti a un dialogo più ponderato e gli ascoltatori a una maggior riflessione sui temi trattati. Anche dove i toni sono più accesi, il contrappunto cromatico aiuta a ristabilire i giusti equilibri.

Per non fa apparire però troppo lontani psicologicamente i vari protagonisti della puntata ai telespettatori, si privilegia un'inquadraturaa piano ravvicinato, resa nota da Sergio Saviane con il termine "mezzobusto", che ha il vantaggio di far vedere da vicino i personaggi ripresi, aumentando il pathos e il senso di prossimità a chi guarda la trasmissione, attraverso la possibilità di osservare i codici mimeticiche regolano il movimenti dei muscoli facciali.

A tal proposito non mancano le comparazioni tra i vari invitati, che dalla collaudata formula dei due pannelli affiancati, passano a quella più complessa di tre, per aumentare il livello di valutazione delle reazioni e degli atteggiamenti dei vari ospiti e per introdurre la mediazione della presentatrice.

La comparazione a tre: uno parla e due ascoltano
Una costruzione accorta dello scenario che riesce quindi a modificare percettivamente il messaggio.

ACTA DIURNA E STASERA ITALIA: ANALISI DELLA COMUNICAZIONE GIORNALISTICA IN TV

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Dopo le indagini su Agorà, della Rai e Otto e Mezzo di La7, "Acta Diurna" continua il suo viaggio alla scoperta degli elementi e meccanismi inconsci di persuasione o di influenza della percezione del pubblico di telespettatori sono presenti nelle più note trasmissioni di approfondimento giornalistico.

L'indagine di oggi è sulla puntata di martedi 20 novembre 2018 di Stasera Italia, talk show di informazione di Rete 4 condotto da Barbara Palombelli.




SCENOGRAFIA 

Simboli, categorie eidetiche, cromatiche e codici prossemici


Il titolo della puntata "lo spread farà cadere il governo?" pare un auspicio più che un timore, come si evince dal resto delle domande e degli interventi in studio. Non bisogna dimenticare che l'editore della Rete si rifà alla famiglia Berlusconi, di cui Silvio è lo storico esponente del centro destra che non vede di buon occhio la presenza al governo del Movimento 5 Stelle insieme allo storico alleato, Lega, di Salvini.

Interessante la sigla con immagini che si susseguono che mostrano icone di


  • Montecitorio, simbolo del potere
  • Di Maio, Salvini, simbolo e sineddoche dell'attuale governo
  • Portaborse sineddoche di quanti lavorano dietro le quinte del potere politico in Italia 
  • Individui da petto in giù che camminano non attraversando le strisce ma percorrendole in senso orizzontale, simbolo della partecipazione di forze alternative alla vita sociale del Paese
  • Renzi, simbolo dell'opposizione, o di ciò che ne rimane
  • Premier Conte simbolo della Presidenza del Consiglio della Repubblica, non casualmente inserito molte immagini dopo i diarchi che al momento comandano in Italia, con l'implicazione che la figura di Conte non "conti" poi molto in relazione alla capacità decisionale.
  • Vari cameramen nell'atto di inquadrare una scena, ripresi di profilo, simbolo e sineddoche della Stampa italiana ed estera
  • Berlusconi, simbolo della parte storica del centro destra, che al momento non è preminente ma che lavora nell'ombra.
  • Giorgia Meloni, simbolo del centro destra che è vivo e lavora, per un'altra Italia.
  • Il Presidente Mattarella, simbolo della Presidenza della Repubblica, che vigila, stabilmente, su quelle che sono le alternanze politiche in Italia
  • Una auto di Stato, simbolo del potere politico
  • La bandiera italiana che sventola, simbolo della Nazione
  • Una folla che cammina, ognuno verso una differente direzione, simbolo del Popolo con diverse opinioni.

Studio con tavolo centrale, circolare. Come spesso accade, la scenografia di questi studi televisivi in cui si discetta di politica e società, hanno questa forma per inviare inconsciamente una idea di privilegio dei partecipanti, di élite, di circolo esclusivo tra pari grado.

Da una parte la Palombelli, che conduce, dall'altra i tre ospiti odierni. Il tavolo è circondato da tre maxischermi, che tendono, con le loro misure a rendere più efficaci le parole pronunciate dagli ospiti in collegamento attraverso il meccanismo dell'iperbole.

Foto simbolo della puntata "dell'Italia che ci piace, che ci rappresenta"è quella, notturna e illuminata da luci policrome, di Porto Santo Stefano, ai 36 secondi. Si vuole inviare il messaggio che la trasmissione parla a nome di e a un'Italia bella, che lavora, che si dà da fare, che opera e che è composta di migliaia di luoghi meravigliosi anche se non necessariamente celebri.

Durante il collegamento in studio da maxischermo di Mino Giachino,dell'Associazione SI  TAV, al min.23,19, si parla delle grandi opere come simbolo di crescita e indice di volontà di investire per la crescita dell'Italia.

L'uso del testimonial Indro Montanelli, icona del giornalista puro e con la schiena diritta, simbolo della verità che la stampa ha il dovere di condividere in modo chiaro e comprensibile, filmato offerto dalle teche Mediaset, a fine puntata, ha il chiaro scopo di inviare ai telespettatori il messaggio inconscio che in questa trasmissione si fa vero giornalismo, si dice sempre la verità e lo si fa in modo chiaro e comprensibile a tutti.



DINAMICHE PRESENTI IN STUDIO

Soggetti, aiutanti, opponenti


Gli ospiti di questa puntata sono Pierferdinando Casini, senatore; Antonio Polito, giornalista, editorialista del Corriere della Sera e Antonio Maria Rinaldi, economista "controcorrente".

Visto il clima assolutamente sereno in studio, molto garbato ed educato, si direbbe amichevole, anche fra esponenti di visioni politiche e sociali molto differenti, il ruolo dell'opponente nella trasmissione è svolto dalla conduttrice, che cerca sempre di mettere in minoranza con le sue domande il pacatissimo Rinaldi che dovrebbe essere l'opponente, in quanto portatore di una visione differente, ma che non lo è.

Il ruolo dell'opponente in qualunque narrazione e quindi anche trasmissione televisiva, è essenziale per renderla interessante, quindi, non svolgendolo, come di solito accade, un ospite le cui tesi "sgradite" non vengono accettate dagli altri partecipanti, è necessario che venga svolto da chi di solito, come la conduttrice, svolge il ruolo del soggetto, ovvero del protagonista.

Il questo programma non vi è un protagonista, ma vari comprimari, gli ospiti, che hanno come scopo esprimere le proprie opinioni su un argomento proposto dal titolo della puntata e che, di volta in volta trovano nella conduttrice un ostacolo, in quanto lei talvolta mette in dubbio la posizione e l'idea di uno di loro con domande retoriche che implicano quindi un'unica risposta di buonsenso o con commenti pacati ma taglienti che vanificano talvolta l'esposizione dell'interlocutore.

Per esempio, alla fine del servizio filmato esterno dedicato alla procedura di infrazione contro l'Italia dal parte dell'UE, con notizie su spread in salita e borse in discesa, denso di elementi allarmanti, con grafici che sottolineano che dal giorno in cui il governo gialloverde ha vinto, famiglie e imprese hanno perso centinaia di miliardi, la Palombelli introduce il Prof Rinaldi con la frase "il prof Rinaldi è sempre ottimista, vediamo cosa dice "

Lui replica dicendo che le cifre del servizio sono "un po' esageratine" e che "non so come sono uscite fuori". Il tutto accade al min. 04,11

Rinaldi esprime il suo pensiero, sottolinenando che lo spread non è il problema preoccupante che si vorrebbe far evincere in trasmissione, ma la Palombelli non è d'accordo con lui e chiama in soccorso Casini, introducendolo.

Oppure, dopo l'ultima frase a chiusura del servizio che è "ma se lo spread sale ancora rischiamo di perdere le nostre pensioni?", in studio la Palombelli reintroduce Rinaldi affermando "Professore, il suo ottimismo mi sembra un po' ridimensionato"

Rinaldi si limita ad osservare che le informazioni date sono allarmistiche e che gli effetti non sono così immediati come vorrebbe far credere il giornalista che li ha evocati.

I ruoli narrativi sono un po' sconclusionati, in quanto la Palombelli, che svolge il ruolo inedito, per un conduttore, di opponente, cerca, di volta in volta, degli aiutanti in trasmissione, a quelle che sono le teorie che vengono esposte e che non rientrano nel suo schema mentale e comunicativo.

Invece gli ospiti, stranamente, pur non essendo "allineati", si ritrovano a chiacchierare amabilmente tra loro, magari dandosi torto, ma in modo così compito e garbato, che alla fine lo spettatore tende ad annoiarsi, in quanto il talk show non è uno show quanto piuttosto un approfondimento, quasi documentaristico, serio e pluralista, di un argomento.

Tendono a creare lo "spettacolo" gli sforzi della conduttrice, alternando le sue domande per mettere in dubbio le asserzioni dei presenti, stimolando o cercando di stimolare, il dibattito, che però non supera mai le righe e non diventa infuocato ma nemmeno tiepido.

Paradossalmente l'unico momento in cui il clima si scalda in studio è su un argomento in cui tutti sono d'accordo, compreso Rinaldi, ovvero la necessità per la crescita italiana di affrontare il discorso delle grandi opere e delle infrastrutture come la TAV 35,02. In tal caso il ruolo dell'opponente è svolto "fuori campo" dal Movimento 5 Stelle.

Tale forza politica è esplicitamente accusata di essere contraria alle infrastrutture, infatti. Al min. 36,09 si dichiara esplicitamente che il movimento 5 stelle blocca le grandi opere.

Al min. 37,18 si passa al servizio sulle nuove tasse sulla Coca Cola e alle altre bevante zuccherate e ai suoi effetti. Aumentando la tassa dovrebbero aumentare i costi, quindi diminuirebbero le vendite e si rischierebbe il blocco delle assunzioni e addirittura, nel caso peggiore, il licenziamento. Anche di questi effetti collaterali è accusato, sia pur non esplicitamente, il M5S.

Alla discussione in studio in cui Casini la fa da padrone, seguono due servizi filmati, uno sui Casamonica e lo sgombero, l'altro sui paradossi del reddito di cittadinanza, che non verrà elargito a chi ha una abitazione in proprietà, anche se è povero, cosa che, come fanno notare lealmente in studio, accade anche con il reddito di inclusione, voluto dalla sinistra.

Quindi sempre rapporti leali ed equilibrati fra gli ospiti in studio.



CODICI PARALINGUISTICI

Tono e volume di voce, velocità di dizione, sovrapposizioni, codici mimetici, gestuali e prossemici.


La tripartizione dello schermo è molto utile per osservare i codici mimetici degli ospiti, indice della loro approvazione o meno alle parole dell'ospite di collegamento.

L'ospite Rinaldi fa grande uso dei codici mimetici, anche se non in modo iperbolico, per sottolineare la condivisione o meno delle parole pronunciate dagli altri interventi.

La discussione è pacata e senza sovrapposizioni, i tre ospiti in studio dialogano senza accettare le posizioni di Rinaldi, unico controcorrente, ma non opponente, ma non lo mettono all'angolo.

In effetti ognuno è libero di esprimere il suo parere, pacatamente e senza dover alzare la voce.

Semmai è la conduttrice che talvolta interrompe l'ospite e finisce la frase al posto suo, probabilmente per generare un po' di dinamismo in una trasmissione molto garbata, molto educata ma, per essere un talk show politico, magari un po' statica. Il tono pare più adatto a una dissertazione storica o artistica che a un talk show.

Un capitolo a parte meriterebbero invece i codici tonali (ovvero il tono di voce) usati durante i servizi filmati, che connotano chiaramente gli argomenti trattati, in modo dispregiativo, canzonatorio o scettico quando si tratta di provvedimenti voluti dal M5S.




CONTAMINAZIONE DI GENERI

Presenza o meno di contaminazione, quindi di infotainment


Essendo un talk show, dovrebbe essere a tutti gli effetti una contaminazione tra spettacolo e informazione, quindi un tipico caso di infotainment. Invece, curiosamente, l'unica contaminazione che potrebbe essere presente è quella tra il genere educational e information.

Il programma sembra infatti una serena e pacata disquisizione tra professori riguardo un argomento storico, scientifico, artistico, in cui il piacere risieda nello scambio di idee, piuttosto che nel tentativo di promuovere la propria visione o di tacciare gli altri di incompetenza.

Un momento in cui scatta l'aspetto spettacolare è quando Rinaldi indossa un giubbetto catarifrangente giallo, al min. 40,41 dicendo di voler fare un gesto eclatante, simbolo di solidarietà nei confronti dei francesi e come simbolo contro l'unione europea, che ci vuole imporre qualcosa "che in fondo va bene agli italiani".

In questo momento la conduttrice si anima, contrariata per l'uscita dell'ospite, invitandolo a concludere la sua "performance", togliendosi il giubbino. L'unico momento di show è redarguito e criticato severamente dalla conduttrice.



USO FIGURE RETORICHE

Metafore, similitudini, allegorie per rendere più efficace la veicolazione del proprio messaggio.

La conduttrice, fieramente avversa alle politiche dei 5 stelle, commenta trovando similitudini fra le gallerie, metafora di infrastrutture e i vaccini, metafora di scientificità, dicendo che il Movimento 5 Stelle è avverso alla modernità, e implicando che la modernità corrisponde alle infrastrutture.

Polito usa la metafora del paziente con la pressione alta che deve subire un intervento chirurgico, al minuto 16,04, per rappresentare la situazione dell'Italia e del suo alto debito e del fatto che al paziente "Italia" si rischia di provocare effetti letali con una manovra che, metaforicamente, è definita una medicina che ha effetti nefasti, come controindicazioni, per la pressione alta.

Vi è poi uso di linguaggio tecnico nella espressione "vendere i titoli allo scoperto" che viene spiegato dalla conduttrice con una metafora, ovvero "quando uno gufa" al minuto 16,26.

Le figure retoriche usate hanno lo scopo di far risultare i concetti espressi  più facilmente comprensibili al Pubblico a casa.




USO DI MESSAGGI SUBLIMINALI

Inferenze, impliciti, presupposizioni

Mentre Rinaldi usa il simbolo del giubbetto giallo e parla, la Palombelli lo interrompe e gli dice "Rinaldi, torniamo in Italia?"

Tutti parlano sulle parole degli altri, ma la conduttrice afferma "ora abbiamo scherzato troppo, ma domani mattina ci sveglieremo e avremo qualche problema di finanza", con l'implicito che Rinaldi stia scherzando e che il suo intervento non sia coerente con la trasmissione.

Nel gesto di Rinaldi di indossare il giubbino giallo come segno di protesta contro un'UE troppo invasiva e tirannica, è implicito che la colpa dello spread è a carico dell'Europa e della sua procedura di infrazione contro l'Italia.

Durante la discussione sulla Tav, in cui l'ospite in collegamento da Torino asserisce che non tutte le grandi opere portano crescita di PIL, ma la TAV sì, perché dirotterebbe i traffici europei di merci e passeggeri attraverso la pianura padana, da est a ovest e viceversa, la conduttrice, rappresentante dell'Emittente, afferma che il Movimento è diffidente nei confronti di ingegneri, medici, esponenti della cultura in genere, con l'implicito quindi che tale forza politica è formata da persone molto lontane dal concetto di intellettuali, laureati, seri ed esperti professionisti (e quindi incapaci di gestire l'Italia).




USO DI MAXISCHERMI METATESTUALI

Interventi ospiti da esterni, sovradimensionati e quindi iperbolici. Si sottolinea la bontà o l'inanità delle opinioni degli ospiti inquadrando i maxischermi per catturare spesso le loro espressioni facciali o i gesti.

I megaschermi vengono utilizzati sopratutto per mandare in onda i servizi filmati che, un po' per la modalità di confezionamento, un po' per l'abilità del giornalista che li propone, sono percepiti come la massima rappresentazione di esposizione di fatti e non di opinioni, come se ogni parola pronunciata durante il servizio sia solo e unicamente notizia, a cui poi seguirà il commento in studio.

Naturalmente è risaputo che abbondano gli escamotages comunicativi per alterare la realtà o di presentarla in modo non obiettivo e neutrale (nei limiti della neutralità e obiettività praticabile da un essere umano, sia pur animato da nobili propositi).

Quindi l'implicito e inconscio messaggio che ciò che viene presentato nei servizi filmati sia un'incontrovertibile esposizione obiettiva dei dati e nulla più è o ingenuo o, più probabilmente, molto più malizioso di quanto il programma lascerebbe supporre.



CONCLUSIONE

La trasmissione è dicotomica, formata quindi dai commenti in studio a quelli che sono i "fatti" presentati dai servizi filmati.

Il tentativo di persuasione occulta e orientamento percettivo dell'opinione pubblica avviene quindi all'interno dei filmati e non in studio, in cui vige un clima amichevole e non vi è uso smodato di stratagemmi comunicativi atti a orientare l'opinione dei telespettatori (a parte i commenti e gli impliciti della conduttrice, sempre aspramente negativi, sia pure in forma garbata, verso le decisioni del Movimento 5 Stelle)

BERTOLUCCI E L'ALLEGORIA DEL CONFORMISTA

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Figlio del poeta Attilio, allievo di Pier Paolo Pasolini con il ruolo di aiuto regista in "Accattone", Bernardo Bertolucci, debutta con la "Commare secca" nel 1962, proprio con un soggetto del maestro di Casarsa della Delizia.



Grande appassionato di cinema e influenzato soprattutto dai film di Jean-Luc Godard, Bernardo Bertolucci percorre i primi passi di autore cinematografico all'interno di un contesto molto vivace. Come ricorderà lui stesso l'ambiente universitario è stato l'occasione per frequentare non solo il padre e Pasolini, ma anche Alberto Moravia, Elsa Morante, il Centro Sperimentale di Cinematografia, gli autori del cinema francese, che ebbero una parte fondamentale per il suo apprendistato artistico.

Dopo le prime esperienze letterarie e cinematografiche che vedono tra l'altro la vittoria nel premio letterario Viareggio del 1962 con la raccolta di poesie "In cerca del mistero" e la realizzazione, con produzione e distribuzione targata Rai de "La strategia del ragno", Bertolucci approda a "Il conformista", definito da molti il film della svolta della sua carriera cinematografica.



Il soggetto è tratto dall'omonimo romanzo di Moravia, di cui lo stesso Bertolucci si occupa della successiva sceneggiatura, che vede dilatarsi la "dimensione psicologica" del protagonista Marcello Clerici, vera colonna portante dell'intera pellicola.

La vicenda di Marcello, il conformista del titolo, interpretato da un Jean-Louis Trintignant che dona al personaggio una profonda complessità, che aderisce al Fascismo e si offre come volontario dell'Ovra, la polizia segreta, si sposa con Giulia, compie il viaggio di nozze a Parigi per incontrare il professor Quadri, suo insegnante all'Università e antifascista rifugiatosi in Francia, fino all'organizzazione del suo assassinio, sono gli elementi della fabula su cui Bertolucci può innestare al meglio le sue tematiche.

Bertolucci ha l'occasione di mettere in scena la grande metafora della cecità della borghesia fascista. L'amico più caro di Marcello è infatti Italo Montanari, un cieco che paradossalmente legge i proclami propagandistici del regime alla radio. Marcello aiuta il cieco in quanto anche lui si rifiuta di vedere quello che lo circonda e adatta la sua vista a quella di Italo.



La sequenza della festa per il matrimonio di Marcello organizzata da Italo peraltro tagliata nella prima versione e reintrodotta in seguito da Vittorio Storaro nel restauro delle pellicola, non è solo un'allegoria di un intero periodo storico: alla festa sono tutti ciechi e anche Marcello all'interno della comitiva, in una fantastica traslazione metonimica, dimostra la sua cecità culturale, per farsi meglio accettare.

Un altra sequenza paradigmatica la ritroviamo nello studio del professor Quadri a Parigi, durante il primo incontro con Marcello, dove i due ricordano la storia della caverna di Platone, dove un gruppo di uomini guarda le ombre proiettate sul muro delle persone che passano davanti all'entrata della grotta: un'altra metafora della cecità della borghesia che si accontenta di vedere solo le ombre della realtà.

In questa occasione Bertolucci accompagna la narrazione della lezione platonica con le immagini dello studio di Quadri, che, grazie a un sapiente uso di luci e ombre si trasforma proprio nell'antro platonico.



Ma non è il solo espediente scenografico utilizzato dal regista. Tutti gli interni, dal ministero, alla radio, all'ospedale psichiatrico dove è rinchiuso il padre di Marcello, risultano fintamente maestosi, ma in realtà sono vuoti, come nella pittura metafisica di De Chirico, dove le poche figure umane che si muovono all'interno degli spazi riflettono l'assenza di umanità e di conseguenza di civiltà.




LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: CLAUDIO MESSORA

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Prosegue la nostra rubrica "5 domande", serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.



Oggi risponde Claudio Messora, noto giornalista indipendente, ex responsabile comunicazione M5S Senato e Parlamento Europeo, vincitore del  XXXI Premio Ischia Internazionale del Giornalismo.

Cura e dirige il sito ByoBlu, videoblog di informazione libera, uno tra i primissimi blog di politica e di attualità italiana fin dal 2007.



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?

Abbiamo avuto per anni presidenti del servizio pubblico radiotelevisivo, il principale organo di informazione del Paese, che frequentavano e addirittura presiedevano think tank come la Commissione Trilaterale, un’organizzazione privata che dichiaratamente svolge il ruolo di fucina di ministri e governanti e le cui riunioni si tengono a porte chiuse.

Da lì sono usciti innumerevoli personaggi che, saltando il regolare processo democratico di selezione, hanno ricoperto importanti cariche pubbliche: uno su tutti, ad esempio, Mario Monti, che della Commissione Trilaterale era addirittura presidente. Non si può presiedere al delicato compito di essere garante dell’informazione dei cittadini, difendendo nel contempo gli interessi privati di una élite organizzata.

La nomina di Marcello Foa alla carica di Presidente della Rai è un segnale di discontinuità nei confronti di queste pratiche scorrette, e infatti è stata avversata ferocemente dalla vecchia partitocrazia. È un atto simbolico, perché un presidente da solo non può fare molto, ma decisamente importante, perché è un segnale preciso di cambiamento.

Perché questo si realizzi estensivamente, tuttavia, sarà necessario un lungo periodo di tempo, affinché i gangli nervosi e tutte le ramificazioni di un’azienda che conta migliaia e migliaia di dipendenti possano recepire nuovi obiettivi e un nuovo modello attraverso il quale relazionarsi al loro compito, che è quello di facilitare le aspirazioni al progresso materiale e spirituale della società italiana, e non di assecondare gli interessi del potere.



L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

La Rai non dovrebbe competere con le televisioni private, inseguendole sul terreno dello share o su quello dei ricavi pubblicitari.

La Rai dovrebbe fare informazione corretta, pluralista e obiettiva, contribuire all’arricchimento culturale dei cittadini e intrattenerli in modo intelligente, favorendo nuovi modelli e stili di vita che mettano al centro lo sviluppo della persona umana in luogo dell’abbruttimento e dell’appiattimento sui valori del mercato dei consumi di massa.

Credo in un ruolo – perché no – educativo del servizio pubblico, rispetto a una modernità che disinveste nella crescita personale e disincentiva la formazione di una consapevolezza critica e di una autocoscienza, fattori fondamentali per una democrazia sostanziale e autenticamente rappresentativa.



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

È proprio questo il punto. Chi non conosce la storia non conosce il passato, e chi non conosce il passato non controlla il presente e non concorre a determinare un futuro migliore.

Chi non è stimolato a pensare alle questioni fondamentali dell’esistenza vive senza aneliti e non è in grado di pretendere condizioni migliori rispetto a quelle della mera sopravvivenza. La scarsa istruzione del popolo è funzionale al mantenimento del potere.

Del resto, fu proprio Mario Monti a paragonare una democrazia alle greggi che devono eseguire gli ordini impartiti dal pastore, e fu proprio la sua Commissione Trilaterale a postulare come requisito base della forma di governo democratica la necessità che la gran parte della popolazione resti letteralmente “in apnea”, cioè ai margini del processo decisionale.

La diffusione del sapere, della cultura, delle riflessioni sui grandi temi fondamentali che, in ultima istanza, hanno tutti a che fare con il nostro destino, con i nostri diritti, con la nostra libertà, è cruciale per passare da una democrazia di facciata a una democrazia di sostanza.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

La televisione, come è pensata attualmente, è essa stessa una gigantesca fake news. Per definizione, si tratta di una rappresentazione estremamente parziale della realtà, per nulla obiettiva e dipendente dall’esclusiva volontà di chi la disegna. Le faccio un esempio: ogni volta che si sceglie di puntare una telecamera in una direzione e di ignorare tutto quello che c’è intorno (e che rappresenta la maggior parte del mondo reale), ogni volta che si monta un servizio e perfino ogni volta che si scrive una scaletta, cioè gli argomenti di cui parlare e l’ordine nel quale affrontarli, si opera una selezione arbitraria sui fatti, sui tempi e sulle idee che stravolge la realtà.

Se vuole, è quello che la fisica ha dimostrato con il Principio di Heisemberg: l’osservatore cambia sempre ciò che osserva, e il risultato è che non vi è conoscenza che possa dirsi deterministica. Per questo, tutta la narrazione delle cosiddette “fake news” è paradossale e chiaramente strumentale.

Perfino il più corretto dei telegiornali deforma i fatti di cui parla, in mille modi diversi, a cominciare dalla sintesi personale di una notizia, che viene filtrata dalla sensibilità del giornalista, da quella del montatore (le immagini usate in un servizio fanno parte della narrazione e sono per certi versi più potenti delle parole), perfino da quella del consulente musicale che seleziona il commento sonoro, scegliendo brani che possano indurre stati d’animo molto diversi e che non possono essere soggetti in modo alcuno a regolamentazioni da parte di nessun organismo di controllo.

Non parliamo poi della sequenza delle inquadrature sugli ospiti, in grado già da sola di sottolineare un consenso o un dissenso rispetto alle idee espresse in una trasmissione. Per questo sono convinto che la pretesa di equidistanza e di imparzialità delle grandi industrie di news è un inganno. Meglio sarebbe produrre tante trasmissioni dichiaratamente di parte e favorire il libero confronto.

La verità assoluta, che non esiste, è un asintoto al quale ci si può avvicinare indefinitamente solo per iterazioni progressive, cioè attraverso il vaglio continuo di idee diverse e contrapposte. Meglio tanti organi di informazione connotati dai variegati colori dell’arcobaleno, che una unica luce bianca che ha la pretesa di riassumerli tutti, ma che in definitiva si chiama Pensiero Unico.

Per il potere è più facile controllare una sola idea, che la complessità che deriva dalla ricchezza delle diverse sensibilità individuali.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Cercherei di dare rappresentanza a tutte le opinioni, di facilitare e stimolare tutti i confronti, mettendo a disposizione del pubblico tutte le fonti di informazione, lasciando che sia la forza delle idee a emergere, e non la forza economica o la forza delle corporazioni.

Per questo, ne sono consapevole, nessuno mi offrirà mai un incarico del genere.

Cercherò allora di realizzare questo modello con la mia nuova Netflix dell’informazione libera e indipendente, un progetto che vedrà la luce nei prossimi mesi e attraverso il quale tenterò di mettere in pratica questi principi. Se avrà successo, e se il pubblico comprenderà che è necessario, avrò realizzato i miei obiettivi.

LA SPERANZA E I SUOI CODICI

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L'ultima virtù da scoprire è quella della Speranza.

Come afferma Filone Alessandrino "la speranza è una gioia prima della gioia"

La speranza rimase in fondo al vaso di Pandora quando ella, sventatamente, lo aprì facendone uscire tutti i mali che da allora in poi oppressero il genere umano.

"Anche la Speme, ultima dea, fugge i sepolcri" scriveva Ugo Foscolo, alludendo alla convinzione che giunti alla morte, la speranza non aveva più ragione di esistere, concetto rimarcato nei proverbi popolari "finché c'è vita c'è speranza" e "la speranza è l'ultima a morire".



La Speranza dipinta da Piero del Pollaiolo, nel 1470 e conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze, rappresenta invece una virtù cristiana che guarda oltre la morte corporale, in grado di auspicare un futuro migliore, non solo durante la vita, ma anche dopo che essa si consuma.

In questo dipinto, vediamo l'icona di una donna vestita di verde, prosopopea della Speranza, con le mani giunte e lo sguardo rivolto verso il cielo da dove attende la salvezza.

Il verde nei tornei era simbolo di speranza nella vittoria, oltre che dell'onore e dell'abbondanza.

La donna siede su un trono, simbolo del dominio di tale virtù sui cuori dei credenti.

Le mani giunte, attraverso i codici gestuali, rivelano l'attitudine alla preghiera che dà un senso alla speranza.

I codici mimetici, attraverso gli occhi rivolti verso l'alto, simbolo di trascendenza, alludono al fatto che la Speranza è efficace quando si affida a Dio, unico bene e unica certezza.



Il simbolo classico della speranza, che in questo dipinto è mancante, è l’ancora che richiama i versetti in Eb 6,19: “In essa noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda”.

L'ancora è inoltre icona stilizzata della croce, speranza di eterna felicità di ogni credente.

LUDWIG DI VISCONTI E I SIMBOLI DELL'INFINITO NEGATO

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Ludwig è un film del 1973 diretto da Luchino Visconti sulla vita di Ludovico II di Baviera,  sovrano amante della libertà che vorrebbe diffondere tra i suoi sudditi l'amore per l'arte.

I codici dell'abbigliamento e dell'arredamento sono indice di grande ricchezza e di raffinatezza e simbolo di regalità, privilegio, élite, del mondo dorato in cui nasce e vive il re di Baviera, Ludwig.

Richard Wagner, grande compositore che Ludwig stima immensamente, è per lui simbolo dell'arte, della elevazione spirituale, della raffinatezza che allontana e fa scordare la bruttura del mondo, con i suoi plebei bisogni, le sue volgari necessità, innalzando l'essere umano alle vette inesprimibili del Bello.

La splendida Sissy, sua cugina e imperatrice d'Austria, è simbolo dell'amore sublimato e inaccessibile, mai volgare né terreno, cui lo spirito di Ludwig anela.

Ma tale amore è a sua volta prigioniero, come lo stesso Ludwig, di ipocrisie e di inganni, è disilluso e infelice, alla infruttuosa ricerca di uno spirito eletto che lo possa apprezzare. L'amore parla e dice per bocca di Sissy, sua prosopopea, che si sente, con una similitudine, come un uccello attratto dalla luce e finito in gabbia, per scoprirne, da vicino, le sue sbarre, la solitudine, la tetraggine di riti e di giorni vuoti e inutili.



Lo stesso Wagner, prosopopea e simbolo dell'arte, non è in effetti come Ludwig lo immagina: scaltro, avido e opportunista, approfitta dell'ammirazione del sovrano per i suoi egoistici fini. Così l'arte, da lui rappresentata, che si nasconde dietro fattezze angeliche e purificanti, si mostra impietosa e crudele con coloro che la bramano, fredda e calcolatrice, bellissima ma spietata.

Come l'arte divora l'anima dei suoi amanti, Wagner, ingrato, consuma i beni che Ludwig offre.

Ludwig è quindi simbolo dell'uomo che aspira a raggiungere l'assoluto attraverso la bellezza e l'amore, ma che ne è invece annichilito.



Vi è solo un momento in cui Ludwig è pienamente felice: quando Sissy lo bacia, dopo che, durante una passeggiata notturna, egli l'ha invitata ad assistere alla prima di Tristano e Isotta, composizione di Wagner. L'essere umano ha l'illusione della felicità quando riesce a trovare una sintesi tra l'amore purissimo e l'arte, in quanto ha la sensazione fuggevole e illusoria di aver conquistato l'infinito.

Memorabile il discorso che Ludwig tiene al fratello, il fragile Otto, riguardo le teste coronate, simbolo delle Nazioni europee, che in quell'epoca si facevano guerra. Quando Otto rifiuta gentilmente l'offerta di restare con lui, in quanto ha il dovere di tornare al fronte per combattere al fianco degli austriaci, alleati della Baviera, dato che sono anche parenti, Ludwig con sdegno e rabbia replica che anche i nemici, i prussiani, sono loro cugini e che essi, i regnanti d'Europa, fanno tutto in famiglia, guerre, matrimoni e figli, sono incestuosi assassini.

La Storia tende a ripetersi, declinando diversamente alcune variabili, e Visconti usa la scena come una metafora del suo tempo, applicabile in effetti a ogni epoca.



La giovane Sophie, con la quale Ludwig si vede infine costretto a fidanzarsi, è simbolo della normalizzazione delle aspirazioni, del compromesso cui occorre piegarsi per poter continuare la vita terrena, piena di brutture e sacrifici anche quando i bisogni primari sono soddisfatti.

La lieve, ingenua e raffinata Sophie è paradossalmente simbolo della vita sociale e dell'ipocrisia cui l'essere umano è costretto a piegarsi se vuole ancora fare parte del consesso civile.

La società disprezza e teme chi si discosta dal pensiero dominante, chi desidera per sé e per gli altri una vita meno legata alla contingenza e più libera, più elevata.



Ludwig è icona dell'uomo libero e solo, che si ribella alle apparenze e alle opportunità, è simbolo del libero pensiero che aspira all'infinito Bene e Bello.

Quindi la sua omosessualità, alla quale il suo padre confessore allude come al "peccato", che da nascosta e sospettata diverrà esplicita e conclamata nella vicenda, è in realtà in questo film solo un escamotage per rappresentare un diverso concetto, è simbolo di quel modo di essere alternativo che rende le persone diverse dal comune senso di percepire la realtà, è simbolo della ricerca di qualcosa di Altro e di più elevato, che dia un significato all'esistenza umana.

Ludwig prova a rinunciare alla sua aspirazione, ma non riesce a piegarsi e rompe il fidanzamento con Sophie, il suo amore per l'Assoluto gli impedisce di gustare la vita terrena, troppo meschina per le sue aspirazioni.

Assecondando però il suo desiderio di libertà e di godimento estatico della trascendenza artistica e disprezzando le comuni necessità relazionali e i riti e le liturgie sociali, l'Uomo si distacca troppo dal consesso umano e si trova catapultato in un limbo che non è più umano ma che non è nemmeno trascendente.


Ludwig vuole continuare a vivere in quella che è ormai solo una illusione e rincorrendo l'Amore purissimo si ritrova invischiato in orge che lo contaminano, bramando la contemplazione dell'Arte assoluta, pretende di crearsi un mondo fantastico, irreale e tutto suo, foraggia e tiranneggia autori che producono infime e barocche imitazioni di Bellezza solo e unicamente per desiderio di quel denaro per lui così abbondante e disdegnato e che può distribuire a suo piacimento.



Abbrutito, preda della solitudine e ormai folle per la consapevolezza dell'impossibilità di raggiungere la Felicità, si lascia vivere e infine muore, in circostanze misteriose, dopo essere stato bandito dagli uomini, invidiosi e timorosi di chi desidera raggiungere la perfezione opponendosi a un mondo imperfetto.


IL SEGNO DI TANIT

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Tanit, una delle derivazioni della dea Astarte,  fu la principale divinità dell'Africa settentrionale preromana, e particolarmente di Cartagine.

Il culto di Tanit nella Cartagine preromana è documentato da una gran quantità di stele votive puniche: in esse sono di frequente raffigurati il disco e la falce lunare, oltre al cosiddetto "simbolo di Tanit", di assai discusso significato, in cui sono combinati un triangolo, una linea orizzontale e un disco, in modo da rendere approssimativamente una rozza figura umana.



Tanit fu considerata dea della fertilità, dell'amore e del piacere, associata alla buona fortuna, alla Luna e alle messi, ma la sua natura era ambivalente.

I Cartaginesi chiamavano la Luna con il nome di Tanit e ad essa erano associate le sue varie fasi luminose ed oscure. Era pertanto Dea antitetica della Creazione e della Distruzione, dell'Amore e della Morte, , della Tenerezza e della Crudeltà, della Protezione e dell'Inganno. Uno dei suo simboli era appunto la mezzaluna.

Nei suoi templi era servita e onorata sia da sacerdoti che da sacerdotesse hierodules cioè che esercitavano la prostituzione sacra. Il sacerdote era chiamato  Kalbu e la sacerdotessa Qodesja.



Rituali orgiastici erano parte della sua adorazione.

Le Sacerdotesse rappresentavano Tanit come Dea dell'Amore. Cittadini e stranieri potevano andare al suo tempio e compiere un atto di adorazione attraverso l' unione sessuale con le Sacerdotesse.

Era costume delle giovani donne prima del matrimonio ottenere prosperità e fecondità da Tanit intrattenendo visitatori nel tempio.

I suoi sacerdoti  si auto-eviravano in una danza estatica, così come i sacerdoti della dea Cibele, altra identificazione di Astarte, come Tanit. Vestivano abiti femminili, si truccavano e danzavano. Il loro servizio consisteva nel compiere il letterale sacrificio della loro fertilità.



Le offerte al tempio al suo tempio consistevano in incenso, birra, vino e talvolta sacrifici di sangue, anche umani.

Fra i suoi altri numerosi simboli abbiamo la colomba, il leone, il toro, il cavallo, i pesci, il fiore dell'albero di acacia, il cedro, la rosa, l'ontano,  il tamarindo e gli alberi di cipresso, l’uva e il melograno (simbolo di produttività e di fertilità) e la palma, simbolo di immortalità.

Era anche nota come dea della rugiada.

Come simbolo della forza vitale della terra e della rigenerazione perpetua, le fu attribuito anche anche il serpente ed è conosciuta anche come “signora dei Serpenti”.



Il suo simbolo più noto è comunque il "segno di Tanit", che ricorda sia l’ankh egizio, sia le statuette della “Dea dei Serpenti” ritrovate nell’isola di Creta.

Alcuni considerano il suo simbolo come rappresentazione della schematizzazione della figura femminile (il triangolo della fertilità) con i betili (pietre rituali di forma conica verticali), simbolo della presenza divina (che derivano dal termine “bt’l”, casa di Dio) e il disco solare, simbolo del ciclo vegetativo della rinascita primaverile che assicura il buon ordine delle stagioni.

Altri pensano che il cerchio sia la rappresentazione simbolica dell'Uovo cosmico.



E' possibile che il simbolo abbia anche un altro significato: se intendiamo il triangolo come la rappresentazione dell'acqua, un lago per esempio, o uno stagno, o il mare, dove abbonda la vita, la barra orizzontale come la rappresentazione stilizzata di un campo, della terra su cui si cammina, si costruisce, da cui nascono le messi; il cerchio come il sole, che infuocato illumina e riscalda; il semicerchio come la volta celeste, l'aria che ci circonda, ci abbraccia, ci protegge, avremo la rappresentazione dei concetti di acqua/triangolo; terra/barra; fuoco/sole; aria/semicerchio.



In pratica, gli elementi acqua, terra, fuoco e aria, quelli che erano considerati gli elementi base dell'universo, cioè tutto ciò che esiste, che feconda, riscalda, sostiene e vive.



Ancora più mirabile è condensare questi elementi primigeni e indispensabili alla vita umana, nella rappresentazione iconica, sia pur stilizzata, di una figura antropomorfa che richiama col ventre abbondante, fecondo e generoso, le braccia accoglienti e aperte e il capo, l'immagine della Grande Madre, che genera, nutre e protegge.



Non meraviglia che la semplicità di un segno facile da riprodurre, da parte di chiunque, ma che condensa in se' i concetti non solo di maternità, fecondità, femminilità, sacralità, ma anche totalità dell'esistente, quindi vita, abbia avuto così tanta fortuna nel mondo antico, tanto più se si scorgono le evidenti affinità con un altro simbolo famoso, l'ank egizio, la croce della vita, di cui conosciamo il significato di immortalità e rigenerazione perpetua.



Di Tanit sono state trovate numerose statuette che la rappresentano nuda con le mani che stringono i seni, esposte nelle case come simbolo di fecondità.

In questo video, al minuto 9,10, la storia di Tanit.


THE ROSE AND I, RIVOLUZIONE VIRTUALE DELLA GRAMMATICA FILMICA

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"The Rose and I"è un cortometraggio in VR prodotto da Penrose Studios in cui la storia rielaborata de "Il Piccolo Principe" prende vita in realtà virtuale.

La realtà virtuale crea nuove modalità di fruizione e cambia profondamente la grammatica visiva e temporale degli artefatti comunicativi del futuro.

La storia è deliziosa, ma più che sulla trama, preferiamo soffermarci sulle caratteristiche di fruizioni che cambiano l'esperienza di comunicazione in ambito VR.


Si tratta di una vera e propria rivoluzione, in cui il fruitore diventa a sua volta emittente in quanto la partecipazione richiesta per l'elaborazione e l'interpretazione del testo visivo a lui richiesta, è altissima: non solo, come al solito, deve dare un senso al testo. ma inoltre deve decidere le inquadrature, i percorsi visivi e gli angoli di ripresa, da sempre monopolio del regista per sollecitare gli animi del pubblico e dare un senso alla storia narrata.

Non dimentichiamo l’assunto che ci lancia Umberto Eco: “Il testo è macchina pigra e ha bisogno di lavoro cooperativo tra i due attanti

Umberto Eco e la teoria della cooperazione comunicativa
L'emittente ed il ricevente, tacitamente si impegnano a osservare una sorta di patto, un principio di collaborazione tale per cui il contributo di ognuno dei due partecipanti sia quello richiesto dallo scopo che deve raggiungere questo scambio comunicativo, né di più, né di meno.

L'autore di un fumetto richiede ai suoi lettori una partecipazione alla creazione del messaggio che vuole veicolare molto diversa dalla collaborazione richiesta dall'autore di un testo universitario di chimica ai suoi studenti.

In altre parole, chi comunica si aspetta dal suo destinatario una collaborazione, un contributo, alla creazione del testo che sta fruendo, del film che sta guardando, dell'esperienza virtuale che sta vivendo.

In "The rose and I", come nei migliori testi di realtà virtuale, il lavoro di cooperazione richiesta è enorme. Dal punto di vista di comprensione della trama, minimo, ma dal punto di vista delle connotazioni, inferenze, presupposizioni e implicazioni è decisamente grande.

Il fruitore VR può scegliere anche il punto di osservazione della scena
La possibilità di poter scegliere il punto di osservazione, l'angolo di ripresa (dall'alto verso il basso, dal basso verso l'alto o normale), oppure il primo o primissimo piano, o un campo medio, a seconda dei movimenti di avvicinamento e allontanamento del fruitore, cambia completamente le regole e genera infinite storie, infiniti punti di vista, infinite connotazioni di senso alla vicenda, tante quante sono le volte che si vive l'esperienza VR di quel testo e quindi lo si fruisce.

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E' l'utente a organizzare il testo visivo virtuale in percorso sequenziale,  tale per cui l’occhio tende a seguire un percorso a Z,  ed è usato normalmente quando, in testi non virtuali, l’autore intende guidare lo sguardo del suo destinatario attraverso una serie di elementi per far sì che il messaggio arrivi dopo aver, per così dire, sommato un certo numero di concetti visivi  oppure a scegliere l'assiale, quando l’oggetto di interesse visivo è collocato al centro di una composizione e si vuole concentrare immediatamente l’attenzione su un unico concetto basilare.

Cambia quindi la "spazializzazione", una delle tre variabili, insieme a temporizzazione e attorizzazione, delle categorie discorsive.

Con la scelta delle inquadrature da parte del fruitore cambia la percezione di senso
Lo spettatore cambia (nell'ambito della trama) il tipo di film che sta vedendo, la sfumatura di senso: decide lui a chi, cosa e quando fare il "close up" per aumentare la valenza emotiva della scena o evidenziare un particolare che avrà un significato per ciò che avviene "dopo".

E' lui, non più il regista, che sceglie il campo medio per sottolineare e comprendere meglio le relazioni tra i protagonisti, solo "avvicinandosi" o "allontanandosi" di qualche passo indossando il visore.

La stessa temporalità viene a essere rimescolata: il tempo durante l'esperienza virtuale si dilata.

La percezione di "quanto dura" il cortometraggio quando si indossa il visore o quando si guarda il testo su uno schermo è differente. Un istante visto sullo schermo dura percettivamente molto a lungo se si indossa il visore, in quanto tutti i nostri sensi sono coinvolti.

Questo limite nella tradizionale potestà del regista a inviare un messaggio quanto più possibile univoco attraverso la sua opera progettata in VR, paradossalmente ne aumenta il valore.

Cambia il testo narrativo e quindi deve cambiare anche la regia
Il potenziamento del ruolo del destinatario  nell'interpretazione e fruizione del testo visivo implica un maggiore controllo e capacità di regia: per essere all'altezza del virtuale, occorrerà essere registi "poliedrici".

Infatti, nonostante l'apparenza, il lavoro di regia diviene ancora più complesso, in quanto occorrerà prevedere tutte le possibili combinazioni di senso generate cambiando la visuale di riferimento da parte del fruitore e organizzare la narrazione in maniera modulare, complementare e complessa.

EDEKA, EMOZIONI NATALIZIE

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Un capolavoro di comunicazione, ricco di strutture semionarrative e di funzioni comunicative lo spot di Edeka, catena di supermercati tedesca, apparso a Natale lo scorso anno.

Un anziano signore ogni anno, per Natale, viene lasciato solo dai suoi figli, ormai adulti e con impegni familiari e lavorativi. Riceve solo auguri via posta e via telefono.

E così trascorrono gli anni, e il vecchietto, sempre solo, Natale dopo Natale,  ha come unica compagnia quella del cane.



Finché, un giorno, i figli ricevono il messaggio della morte del'anziano padre. Tra lacrime e abbracci, i fratelli si riuniscono per la dolorosa circostanza, varcano la soglia della casa paterna, trovano una meravigliosa sorpresa: il padre è ancora vivo e ha finto la propria morte per riunirli tutti insieme. Spunta fuori dalla cucina affermando "E' questo l'unico modo per avervi tutti qui?", e i figli e nipoti, dapprima sbigottiti poi felici, si riuniscono insieme intorno a una tavola natalizia addobbata e gioiosa.



Lo spot è costruito sul quadrato semiotico

Tristezza - la notizia della morte del padre
Gioia - la scoperta che è vivo, il pranzo di Natale
Non Tristezza - la vita dei vari figli e del padre sempre troppo lontani
Non Gioia - lo scambio di auguri per Natale solo con sms e biglietti, non di persona



Lo scopo è invitare a trascorrere le feste insieme ai propri cari, sino a quando se ne ha la possibilità, il sovrascopo è di farlo soprattutto a tavola, simbolo della gioia e della famiglia felice e riunita, con i prodotti della nota catena di supermercati.

Le funzioni comunicative utilizzate sono l'emotiva e la conativa, per emozionare il pubblico e spingerlo a trascorrere le feste con i propri cari, senza abbandonarli alla solitudine, perché il tempo fugge e la vita è breve.

Ecco il bellissimo e commovente video


ACTA DIURNA E "CHE TEMPO CHE FA"

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La puntata odierna di "Acta Diurna" continua il suo viaggio alla scoperta degli elementi e meccanismi inconsci di persuasione o di influenza della percezione del pubblico di telespettatori presenti nelle più note trasmissioni di approfondimento giornalistico e talk show.

Oggi l'indagine è incentrata sulla puntata del 25/11/2018 di Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio e in onda su Rai Uno.



SCENOGRAFIA 

Simboli, categorie eidetiche, cromatiche e codici prossemici


Preminenza del colore blu,  che secondo le categorie cromatiche evoca calma, rassicurazione, autorevolezza, prestigio e invita inconsciamente alla fiducia.

Non bisogna dimenticare che questo è anche il colore simbolo dell'Unione Europea, (in tempi di sovranismo è una scelta di campo) e che richiama il colore dell'acqua che si troverebbe in un acquario, come quello della scrivania.

Il conduttore ha raccontato perché ha scelto di mettere un acquario nella scenografia della sua trasmissione: "è un omaggio al primo talk della Rai che era, appunto, Acquario di Maurizio Costanzo".

A rimarcare la citazione, uno dei pesci che popolano la vasca, è stato chiamato proprio Maurizio. Il titolo del programma di Costanzo faceva riferimento all'acquario presente in studio, fulcro centrale della scenografia.

L'idea dell'acquario, oltre a essere una citazione, è anche metafora degli uomini di spettacolo che, apparendo nel televisore di casa, sembrano in una sorta di acquario, mentre si dibattono e vivono la loro vita televisiva, osservati dai telespettatori.

La scrivania è quadrangolare, atta a ospitare l'acquario, ma formata da tre lati, che circondano il conduttore, come per proteggerlo, isolarlo da contesto quando pone domande agli ospiti "di riguardo" e intende evocare professionalità, rigore e posizione "super partes", secondo i codici prossemici.

Le forme lineari della scrivania, secondo le categorie eidetiche, inviano un'idea di forza, energia, leadership.

Lo studio è però circolare, comprendendo in due emicicli la platea degli spettatori in studio e gli "attori" della puntata e invia quindi una idea di élite rappresentata dal pubblico che ha il privilegio di essere in studio e dai protagonisti della puntata. Tale forma evoca anche il concetto di teatro greco, in cui si svolgevano le rappresentazioni e di anfiteatro, luogo deputato di gare e competizioni.

I codici dell'abbigliamento di Fazio, in giacca e cravatta, con un completo scuro, intendono dare idea di rassicurazione, autorevolezza, raffinatezza, compostezza e prestigio.

Anche l'uso degli occhiali insiste sull'idea dell'icona del professore, dell'intellettuale.

Al minuto 1,22 vi è elogio di Silvia Romano, volontaria rapita in Africa, che dalla descrizione di Fazio diviene l'icona perfetta del volontario, del giovane la cui casa è il mondo, sottolineando in modo celebrativo il concetto globalista, di cui la volontaria diviene simbolo, per cui non ci sono confini né nazionalità ed evocando l'archetipo del viandante, nel quale chiunque dovrebbe, secondo la filosofia della trasmissione, immedesimarsi.



DINAMICHE PRESENTI IN STUDIO

Soggetti, aiutanti, opponenti

Il primo ospite è Saverio Costanzo, figlio di Maurizio, introdotto da Filippa Lagerback, la storica "valletta" di Fazio.

La trasmissione è organizzata con la presenza di aiutanti, non solo del soggetto protagonista, ma che si aiutano fra loro. Non vi sono opponenti.

Fazio è aiutante degli ospiti; La Littizzetto e Filippa sono aiutanti di Fazio. Gli ospiti sono aiutanti di Fazio.

Per esempio, quando Fazio intevista Cottarelli, le sue domande non sono altro che introduzioni a un discorso che Cottarelli si è già preparato a tenere.

Al minuto 20,18 chiedere " a proposito dei BPT Italia venduti 2,1 miliardi contro i 7 o 8 attesi dal ministero del Tesoro. Cosa ci dice questo risultato?" significa implicare la risposta nella domanda. E' ovvio infatti che porre la domanda in questi termini non fa altro che evidenziare l'aspetto negativo della mancata vendita dei BTP.

Manca quindi il concetto di tentativo di neutralità e si evidenzia il desiderio di assecondare l'ospite e manipolare non tanto l'informazione in quanto tale ma la percezione del pubblico di una data informazione.

E' un lavoro molto raffinato di organizzazione delle strutture semantiche e percettiva da parte del conduttore.

Fazio finge di giocare il ruolo dell'opponente, cercando l'immedesimazione con l'uomo comune, quando fa a Cottarelli, intorno al min. 21, la domanda retorica "Ma perché conviene restare in Europa? Non fa che chiederci sacrifici", dando all'ospite la possibilità di dire quello che lui stesso pensa e quindi svolgendo ancora una volta il ruolo dell'aiutante mentre finge di fare l'opponente.

Lo stesso avviene anche durante il colloquio con Boeri e con altri ospiti.

I toni cambiano con l'arrivo di Boldi e De Sica in studio e diventano allegri e scherzosi, ma il ruolo dell'aiutante di Fazio continua.

Per creare un po' di dinamismo, la Littizzetto impersona talvolta, il ruolo dell'opponente dissacratore, nei confronti di Fazio ma soprattutto di personaggi esterni che vengono ridicolizzati, nelle sue gag.



CODICI PARALINGUISTICI

Tono e volume di voce, velocità di dizione, sovrapposizioni, codici mimetici, gestuali e prossemici.

Grande uso di aggettivi e di iperboli per descrivere e definire ospiti e avvenimenti, stimolando linguisticamente l'interesse dei telespettatori per "le magnifiche sorti et progressive" di quanti frequentano come ospiti lo studio di "Che tempo che fa"

I codici tonali di Fazio sono spesso esagerati, encomistiaci, stupefatti per l'immensità che a suo dire ha dinanzi agli occhi, con il sovrascopo di affermare implicitamente che gli ospiti e gli argomenti trattati nella sua trasmissione, sono sempre superlativi e degni di incondizionata ammirazione.

I modi garbati e gentili del conduttore e degli ospiti in studio, senza mai alzare il volume della voce, né aumentare la velocità di dizione, danno l'idea di estrema sobrietà, raziocinio, ponderatezza, affidabilità.

Mettono lo spettatore nello stato d'animo rilassato e con le difese abbassate, facendogli introiettare come dati di fatto, verità incontrovertibili, tutte le parole che vengono pronunciate in studio.

La Littizzetto serve a "rompere" lo schema percettivo, rendendo più dinamica la trasmissione, con il suo ruolo dissacratore che sembra benevolmente tollerato dal "saggio e paziente" conduttore, che si comporta con la comica come si farebbe con un bambino un po' discolo ma simpatico.

Vi è insomma un "gioco delle parti" fra due "maschere", l'icona del "saggio e paziente adulto" e quella della "ragazzina sbarazzina".

La Littizzetto usa generosamente i codici mimetici e gestuali per assumere il ruolo del "buffone di corte" che "ridendo castigat mores".

Anche il tono cadenzato e la voce a volume molto alto della comica insistono per generare la percezione del "momento di svago" della trasmissione, evocando la sensazione di relax e divertimento, oltre che di provocare il benestare condiscendente del Pubblico, a casa e in studio, per le uscite talvolta non ortodosse, gli insulti e il turpiloquio, spesso usato dalla co-conduttrice.

Si apre una parentesi che è una sorte di "carnevale", di "saturnali" in cui si rovesciavano le cariche e le priorità, di cui la Littizzetto è incontrastata sovrana, agendo con il sottofondo delle risate, talvolta anche sguaiate, del pubblico.



CONTAMINAZIONE DI GENERI

Presenza o meno di contaminazione, quindi di infotainment


A parte la presenza in studio di personaggi dello spettacolo, e delle gag della Littizzetto, la parte in cui più esplicitamente si nota la contaminazione di generi, in questo che più che un talk show è un grande contenitore serale sullo stile di "Domenica In" ma più elitario e meno nazionalpopolare, è "il tavolo", la parte del programma in cui sono invitati tanti presentatori, comici, cantanti, sportivi e intrattenitori e siedono a una lunga teoria di tavoli uguali, per mandare, con questo codice prossemico,  il messaggio di parità e uguaglianza fra conduttore e ospiti.

Vi è una serie di complimenti reciproci, toni encomiastici e omaggi video con amarcord della carriera di molti di loro.

Anche la scenografia cambia, per sottolineare il passaggio tra quella che dovrebbe essere la parte "seria in antitesi a quella "faceta" della trasmissione.




USO FIGURE RETORICHE

Metafore, similitudini, allegorie per rendere più efficace la veicolazione del proprio messaggio

Talvolta vi è uso di figure retoriche, per spettacolarizzare linguisticamente il programma.

"Vera arte"è l'iperbole usata che intende passare per descrizione per commentare la ricostruzione di uno scenario per le puntate di "L'amica Geniale", film per la tv di Costanzo, che il regista è venuto a presentare in studio.

Continue iperboli, anche per le protagoniste del film, due bambine "di cui tutti ci innamoreremo"



USO DI MESSAGGI SUBLIMINALI

Inferenze, impliciti, presupposizioni

Grande uso di connotazioni: per esempio Fazio usa "la mia stellina" per riferirsi alla Littizzetto, oppure con il vezzeggiativo "Lucianima mia" o "la nostra bambinella".

La Littizzetto, co-protagonista della trasmissione, tende a esprimersi quasi sempre con un linguaggio triviale, anche rivolgendosi alle ospiti, due bambine.

In effetti l'uso di tale turpiloquio le serve per creare una identificazione, una immedesimazione da parte dei telespettatori, in quanto parlando in maniera non forbita, crea un'alternanza con il linguaggio distinto e ricercato di Fazio e intercetta una fascia di popolazione che si sentirebbe troppo a disagio con un conduttore così raffinato, che con le sue caratteristiche intercetta invece la parte di pubblico più fine.

Inoltre, l'uso del turpiloquio vuole inviare il messaggio inconscio che in trasmissione c'è chi dice sempre "pane al pane e vino al vino" senza giochi di parole, e quindi, paradossalmente, l'uso del linguaggio volgare diventa una "cifra identificativa" sia della Littizzetto che della verità, dei dati nudi e crudi che vengono proposti al pubblico a casa.

Fazio tende sempre a creare personaggi, definendo i suoi ospiti. Lo fa anche con le bambine, facendo domande  e anticipando in effetti le loro risposte, così che alla fine della presentazione intrappola le due piccole ospiti negli stereotipi dell'Attrice e della Calciatrice.



USO DI MAXISCHERMI METATESTUALI

Interventi ospiti da esterni, sovradimensionati e quindi iperbolici. Si sottolinea la bontà o l'inanità delle opinioni degli ospiti inquadrando i maxischermi per catturare spesso le loro espressioni facciali o i gesti.


Presenza di un enorme maxischermo, the wall, alle spalle del conduttore e della sua postazione.

In questa trasmissione ogni immagine è usata in modo iperbolico, anche avvalendosi delle dimensioni, per aumentare a dismisura le caratteristiche di ciò che viene mostrato.

Alle immagini va in ulteriore aiuto i toni trionfalistici e sbalorditi per l'ammirazione, anche essi iperbolici, naturalmente, del conduttore.




CONCLUSIONE

Fazio è un grandissimo professionista, nel senso che conosce benissimo e altrettanto bene utilizza, tutti gli stratagemmi della comunicazione efficace, pervasiva, suadente, convincente e con essa è in grado, senza alcun problema, di dirigere le opinioni del Pubblico per far introiettare il messaggio che intende inviare, spingendo i telespettatori verso determinate considerazioni e prese di posizione.

Per ottenere questo agisce su sottili e raffinate leve percettive, attraverso l'uso di figure retoriche, connotazioni, codici prossemici, mimetici, tonali, cromatici, dell'abbigliamento e vari altri escamotages.

E' senza dubbio un utilizzatore altamente specializzato della cosiddetta Finestra di Overton.

La sua azione è abilmente coadiuvata da una squadra in perfetto sincrono, che riesce a raggiungere sia lo scopo che il sovrascopo della trasmissione, in modo garbato ma inesorabile.

LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: ENRICA PERUCCHIETTI

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Continua "5 domande",  la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.

Oggi risponde alle 5 domande Enrica Perucchietti, giornalista, scrittrice, docente universitaria, conduttrice radiofonica e televisiva.



Ha scritto vari saggi tra cui Fake News - Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso, con prefazione di Marcello Foa e cura il blog suo omonimo



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del “che tutto cambi affinché tutto rimanga così com’è”?

Non so francamente quanto potrà cambiare: sarebbe da sovvertire un intero sistema ormai incancrenito e ciò non credo sia ancora possibile e soprattutto non in breve tempo.

Da quel che ho capito si sta lavorando sul palinsesto 2020, non sono previste assunzioni, semmai una progressiva riorganizzazione interna. Ho fiducia nel Presidente Foa, che è un caro amico, ma un uomo solo non può certo trasmutare il piombo in oro. Basti pensare che ogni cosa che dice o fa è sotto i riflettori con la stampa e la politica mainstream pronti a giudicare e a condannare qualunque suo passo falso e a strumentalizzare le sue dichiarazioni. Immaginate come possa essere lavorare in un clima simile…

Il neopresidente ha comunque promesso meno politica e più meritocrazia e sono sicura che partirà proprio da questo punto. Gli auguro di poter trovare collaboratori fidati e capaci che lo possano accompagnare in questo difficile compito.



L’intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell’Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

Certo, ormai la propaganda avviene anche e soprattutto attraverso lo spettacolo: serie TV, fiction, film, talk show. Come insegnano alcune regole auree della manipolazione sociale, lo spettacolo può servire per manipolare le masse meglio dei media.

Lo spettacolo serve per distrarre l’opinione pubblica deviandone l’attenzione dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dall'alto, attraverso la tecnica del diluvio o inondazione di continue “distrazioni” e informazioni insignificanti; può servire a far penetrare per gradi nell'opinione pubblica alcune tematiche scomode per “normalizzarle”; può servire a rafforzare alcuni slogan tipici della propaganda e infine a stimolare il pubblico a essere compiacente con la mediocrità. Non è un caso se spopolano ovunque i reality show.

Negli anni si è spinto sempre di più il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti. I reality show, la TV spazzatura e l’imposizione di modelli sempre più trash, soprattutto ai più giovani, serve ad appiattire l’opinione pubblica su canoni estetici e culturali sempre più volgari, rendendoli di fatto un modello da ammirare e imitare. Dovremmo invertire questa tendenza per poter rilanciare il valore della cultura, dell’arte e dell’informazione soprattutto nelle nuove generazioni.



L’aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all’Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

Certamente, ed è per questo che la televisione in generale offre sempre meno spazio ai contenuti culturali, preferendo mandare in onda sui canali principali o nelle fasce d’orario migliori la cosiddetta TV spazzatura. Il pubblico è ormai assuefatto a contenuti di basso livello oppure si rivolge alle piattaforme web per l’intrattenimento, il cinema e le serie TV in streaming.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il “modus agendi” dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Certamente, ci sono conduttori troppo di parte che più che essere giornalisti sembrano opinionisti: si capisce il loro orientamento dal tipo di domande, dallo sguardo, dalle risposte sgarbate oppure melliflue agli ospiti, dagli sguardi, da quanto tempo concedono a un ospite rispetto a un altro ecc.

Uno dei problemi della TV pubblica non è tanto la censura, quanto il modo in cui vengono trattate certe tematiche, attraverso gli stessi conduttori o la scelta calibrata degli stessi ospiti che ricoprono il ruolo di “cecchini”: si occupano cioè di denigrare, silenziare, screditare coloro che cercano di porsi fuori dal pensiero unico e dalla narrazione mainstream.

Oggi è inutile andare in televisione a parlare di tematiche “scomode” perché si finisce semplicemente per essere ridicolizzati. Il modus agendi di questi conduttori (e degli autori) serve semplicemente ad ancorare nell'opinione pubblica gli slogan della propaganda, a fare terrorismo su alcune tematiche e a spostare l’attenzione dalle tematiche “intoccabili”.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Punterei su meritocrazia e contenuti culturali di livello. Da un punto di vista prettamente commerciale, la svecchierei: dai talk show ai telegiornali (soprattutto quelli regionali) è un modo vecchio e noioso di fare TV, sono pochi i programmi che riescono a strizzare l’occhio anche a i giovani. Si deve anche essere più presenti sul web: la rete rappresenta la sfida maggiore per la televisione oggi.

La RAI dovrebbe fare informazione in modo più capillare e immediato anche su internet e arrivare con i programmi ovunque, dal tablet ai cellulari, in modo più semplice e diretto. Dovrebbe però mantenere la qualità dei contenuti audiovisivi (dalle riprese al montaggio) che invece mancano su altri canali.

Più in generale vorrei una RAI con meno raccomandati e più persone capaci e motivate (ce ne sono, ne conosco molte che però si trovano a combattere con i baroni dell’informazione o i dinosauri che si aggirano da decenni nell'azienda). Vorrei un servizio pubblico pluralista in grado di offrire programmi culturali e approfondimenti interessanti, documentari, inchieste giornalistiche e dibattiti pacati in cui non venga anteposta la spettacolarizzazione (i litigi, le urla, il gossip) al contenuto.

Alcuni ospiti/tuttologi che vengono invitati (chiedetevi perché sono sempre gli stessi!) per creare tensione e caos in studio andrebbero evitati. E soprattutto, basta reality: sono l’esaltazione della mediocrità. Credo si possa tornare a offrire un servizio pubblico obiettivo, leale, di buon gusto e di livello ma per farlo ci vogliono anni e ci vogliono persone che ci credano e siano pronte a rimboccarsi le maniche, andando incontro a guerre intestine, bracci di ferro e reazioni scomposte da parte di quel vecchio sistema che non vuole certo abbandonare la postazione che così a lungo è riuscito a conservare.


L'ALLEGORIA DELLA TERRA DI LEANDRO BASSANO

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L'Allegoria della Terra, dipinto dell'artista rinascimentale veneziano Leandro Bassano nel 1580 circa e conservato al Walters Art Museum di Baltimora, presenta una forte connotazione simbolica tipica del periodo in cui l'opera è stata creata e del relativolettore modello.

Nel XVI secolo si pensava infatti che il mondo fosse composto da quattro elementi, ciascuno associato alle quattro stagioni.

L'aria era simbolo della primavera, al fuoco dell' estate, alla terra spettava all'autunno mentre l'acqua era destinata all'inverno.



Nel 1648, nella raccolta di biografie di pittori veneti, Carlo Ridolfi riporta che il padre di Leandro Bassano, Jacopo, dipinse una serie di allegorie dei quattro elementi per un principe, collocata probabilmente in un palazzo o una villa del committente. Da questo si presume che l'opera di Leandro sia da riferire a quella realizzata in precedenza dal padre.

In ogni caso Jacopo Bassano e i suoi figli furono i tra i primi nell'arte figurativa italiana a rappresentare nelle loro opere soggetti comuni e dettagli naturali, donando ad essi un ruolo e una dignità considerevoli, che nelle allegorie autunnali potevano ovviamente risaltare ulteriormente.

In questo lavoro la Terra viene rappresentata in tutte le sue valenze e declinazioni: diversi lavoranti sono intenti a raccogliere e trasportare i suoi prodotti, sotto forma di frutta, verdura e selvaggina.



L'antica dea romana Cibele, simbolo di fertilità, attraversa il cielo su un carro trainato da leoni. La struttura a sinistra allude a un ambiente della villa di un nobile, diventandone, nella sua rappresentatività, una sineddoche.

Il tavolo è drappeggiato, alla moda rinascimentale, con un tappeto orientale e ricoperto di dolci, frutta e vino. La presenza di questi oggetti indica che il terreno lavorato dai servi non appartiene a loro.



Diversi animali sono rappresentati in tutto il dipinto e sono mostrati in coesistenza nonostante la loro varietà.

Gli ideali classici, la mitologia e gli elementi architettonici rappresentati nel dipinto suggeriscono che è il dipinto sia stato creato per un pubblico (lettore modello), in grado di comprendere la concezione umanistica del mondo antico, su cui si poggia quello rinascimentale.

La coesistenza di differenti specie animali, di cui si accennava in precedenza, non suscita quindi meraviglia o stupore, ma viene ricondotta immediatamente all'armonia delle creature e degli elementi presente nel giardino dell'Eden.

Per quanto riguarda le categorie cromatiche lo scenario dominato da un forte chiaroscuro, tipico dei Bassano, permette alla celebre bottega di artisti di esaltare, nel gioco di luci e ombre, ogni singolo elemento presente nella raffigurazione.

LA CADUTA DEGLI DEI DI VISCONTI E I SUOI SIMBOLI

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La caduta degli dei è un film del 1969 diretto da Luchino Visconti. È il primo capitolo della "trilogia tedesca", che continua con Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1972).

Il film è ispirato alla tragedia di Shakespeare Macbeth e alla famiglia Thyssen.

La saga familiare è allegoria della vicenda nazista in Germania e degli sconvolgimenti che attraversarono le vite dei tedeschi e di tutti gli europei.

I protagonisti sono a loro volta simboli delle compagini sociali che si dibattevano in Germania durante l'avvento del Nazionalsocialismo e dei comportamenti e conseguenze dei vari strati sociali.



L'anziano barone Joachim von Essenbeck è simbolo della nobiltà tedesca, dei suoi valori, con i suoi riti e liturgie, con la sua ricchezza e il suo ruolo sociale, che, pur di mantenere i propri privilegi, decide di allearsi con il nuovo protagonista della scena politica, non rendendosi conto di accogliere una mostruosità avida che finirà per divorare tutto e infine se stessa.



La famiglia che egli presiede è simbolo dell'industria pesante tedesca, delle infrastrutture, della ricchezza della Nazione, non solo materiale, ma anche di competenze, che viene abbandonata alle brame di potere di un uomo malvagio che con il suo folle pensiero sconvolgerà l'Europa e il mondo.



Martin è simbolo dell'alta borghesia, priva di valori che non siano il soddisfacimento delle proprie brame, depravata, lussuosa e lussuriosa, pronta a cedere su ogni principio pur di ottenere potere, successo, ulteriore ricchezza.

Per avere ciò che brama, attira, illude e poi violenta e istiga all'autodistruzione il popolo, i figli della Germania, simboleggiati dalla bambina che si suicida dopo aver subito lo stupro da lui commesso.



Non contento, si accanisce contro la Patria, simboleggiata da Sophie, madre ambiziosa di Martin, la violenta in uno stupro incestuoso, la denigra, la umilia e la abbandona in preda alla vergogna e all'angoscia.

Aschenbach è simbolo del sorgente regime nazista, della sua determinazione a impossessarsi di tutto, dalle ricchezze materiali a quelle spirituali, della sua mancanza di scrupoli e di coscienza.



In questo contesto altamente negativo, emerge solitaria la figura di Herbert Thallman, simbolo dell'opposizione interna al Nazismo, e della memoria storica, che ha il dovere di non far dimenticare l'orrore,  icona del dissidente che non accetta la deriva del proprio Paese e che prima fugge in esilio e poi torna, disposto a sacrificarsi in prima persona pur di lasciare scampo alle nuove generazioni, liberandole dal giogo dell'oppressione.

Herbert Thallman impersona inoltre l'archetipo del Martire, del Guerriero, dell'Orfano e del Viandante, così come la bimba e Sophie sono archetipo dell'Innocente, dato che avevano tutto e tutto hanno perduto, diventando archetipo dell'Orfano, e il barone Essemback, creatore dell'azienda di famiglia è archetipo del Mago.



Martin e Aschenbach rientrano nella categoria dell'antieroe, esponenti del ruolo negativo di distruttore, senza anima né coscienza, il cui scopo è annichilire il mondo per primeggiare in esso.



Il film termina con la blasfema cerimonia nuziale che prelude al suicidio immediatamente dopo imposto agli sposi, Sophie e Friedrich Bruckmann, allegoria del mortale matrimonio della Germania con l'ambiziosa ma cieca borghesia tedesca, celebrato con simbologia e rito nazista, nuova religione dell'orrore che si è abbattuto con tutta la sua violenza nella vita dell'Europa e del mondo.

I SIMBOLI SUGLI SCUDI DELL' ANTICA GRECIA

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Quali erano e cosa significavano i simboli che apparivano sugli scudi degli antichi popoli della Grecia?

Gli opliti spartani decoravano i loro scudi con una lambda maiuscola (Λ; λ), iniziale del nome di Lacedemone, figlio di Zeus e della Pleiade Taigete che sposò la fanciulla Sparta e fu re della Laconia, fondando la città di che porta il suo nome.



I guerrieri Ateniesi venivano facilmente identificati dalla civetta, simbolo della loro déa Athena, divinità guerriera:

I Tebani preferivano decorare i loro scudi con la sfinge, mostro con il corpo di leone e testa umana, di falco o di capra dotato di ali.



Il suo nome significa "la strangolatrice". Era un demone di distruzione e mala sorte.  Eschilo afferma che mangiasse uomini vivi. A Tebe si usava anche lo scudo con la clava di Eracle, realizzata da un enorme ulivo sradicato per uccidere l'indistruttibile  leone di Nemea, che simboleggiava la forza e il potere.

Gli argivi adottarono scudi bianchi con impressa un'idra, grande serpente marino dotato di nove teste, di cui quella centrale era immortale, simbolo di invulnerabilità e di rigenerazione delle forze a ogni colpo ricevuto.



Vi erano poi la Gorgone, con il suo pietrificante orrido sguardo, con la testa irta di serpenti velenosi e  il Dokana, simbolo dei Dioscuri ed emblema dell'esercito spartano in marcia. Le linee orizzontali e parallele poste tra i gemelli erano la rappresentazione della tomba dei Dioscuri a Sparta  o forse schematizzazione della spalliera di un trono.



Altri simboli sono due anfore gemelle, su cui sono arrotolati due serpenti; anche queste avrebbero un significato funerario e, come i Dokana, simboleggerebbero dunque le sepolture a Sparta, sacre ai gemelli Dioscuri, che dovevano proteggere il possessore dello scudo su cui era impresso l'emblema.

Il Galletto da combattimento  era un simbolo usato in quanto caro ad Eracle e  sacro ad Ares , tanto da ispirare l’emblema del coraggio militare.



Lo Scorpione, era un altro simbolo di Ares, dio della guerra e di Ade, dio degli inferi, e simboleggiava l'uomo che non perdona.

Vi erano poi il Serpente, emblema di astuzia, di dominio, di eternità e anche di prudenza e il motivo a Raggiera su sfondo rosso che, richiamandosi al sangue versato in battaglia, rappresentava il valore, l'audacia, la nobiltà ed il dominio.

La rocca era simbolo di nobiltà antica.



Nella tragedia di Eschilo, i Sette contro Tebe, vengono descritti i simboli degli scudi dei guerrieri, fra cui spicca quello con l'effigie di Tifone, il figlio di Gea e Tartaro. Aveva membra smisurate,  testa d'asino, le ali da pipistrello ed era più alto della più alta montagna del mondo.Sulle spalle aveva 100 serpenti . Ognuna delle gambe era formata da due draghi attorcigliati, dagli occhi fuoriuscivano lingue di fuoco e lui sputava di continuo massi incandescenti. Una volta cresciuto, Tifone salì fino al Monte Olimpo e incusse una tale paura agli dèi che questi si trasformarono in animali e si rifugiarono in Egitto. Tifone era la personificazione dele forze vulcaniche e i venti impetuosi.



Erano poi riprodotte le Erinni,  le tre sorelle Aletto, Megera e Tisifone, donne alate con capelli di serpenti con la bocca spalancata nell'atto di cacciare urla terribili che recavano tra le mani delle armi che usavano per torturare chi colpiva la propria famiglia e i parenti.

Vi erano poi scudi in cui non apparivano simboli guerrieri ma rappresentazioni del cosmo, come in quello di Achille, descritto da Omero o quello raccontato da Eschilo in cui  appariva un cielo stellato con in mezzo la luna, oppure la prosopopea della Giustizia che guidava un uomo.

Lo scudo talvolta era lasciato liscio, con la superficie riflettente, con lo scopo di rimandare contro l'avversario la malasorte ed i suoi propositi omicidi e a spaventarlo con la sua stessa immagine riflessa mentre attaccava con tutto il suo furore.


CENT'ANNI DI SOLITUDINE E IL QUADRATO SEMIOTICO

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Cien años de soledad è un romanzo del 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel García Márquez che narra le vicende di 7 generazioni della famiglia Buendía, il cui capostipite José Arcadio fonda alla fine del XIX secolo la città di Macondo.

Una saga appassionante e che è considerata tra le opere più significative della letteratura del Novecento.

Macondo, spazializzazione della vicenda, sineddoche del mondo latino-americano


Uno dei motivi che hanno decretato il successo dell'opera è, come al solito, il sapiente uso delle strutture semionarrative.

Qui ci siamo limitati a scoprire il quadrato semiotico ideato da Márquez per fare interagire i vari personaggi creando dinamiche ed equilibri di contraddizione, contrarietà e complementarietà tra loro, il loro modo di essere e di agire nella vicenda.

Il quadrato semiotico di cent'anni di solitudine

Abbiamo quindi

VIVI Aureliano, Pilar Ternera, Meme, Nonna Ursula
MORTI Remedios, Pietro Crespi, Arcadio, Aureliano Buendìa
NON VIVI Amaranta, Fernanda
NON MORTI Lo zingaro Melquiades, Remedios la bella

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Non si può sbagliare.

Se c'è il successo, la semiotica è sempre in zona.

L'EMITTENTE, IL DESTINATARIO E IL MESSAGGIO

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In un qualunque episodio di comunicazione (una lezione, un articolo, un telegiornale, un film, un romanzo, una chiacchierata e così via) vi sono sempre due elementi imprescindibili, che sono l'Emittente e il Destinatario, che producono, veicolano e interpretano un messaggio.

l'Emittente è il responsabile del senso trasmesso; il Destinatario è colui al quale il messaggio è inviato, che deve interpretarlo.

Emittente e Destinatario devono insieme e simmetricamente produrre segni che stanno “insieme nel contesto” e che interagendo per completarsi, formano un tutt'uno, un testo, frutto del flusso comunicativo.

Anche al bar emittenti e destinatari creano un testo
Quindi questi due complementari attanti della comunicazione (emittente e destinatario) produrranno segni e codici adatti al linguaggio scelto per formare il testo, adoperando presupposizioni e impliciti per costruirlo insieme.

Non dimentichiamo l’assunto che ci lancia Umberto Eco: “Il testo è macchina pigra e ha bisogno di lavoro cooperativo  tra i due attanti”.

Per Umberto Eco il testo è una macchina pigra
Occorre decodificare, interpretare i segni che ci vengono inviati e i codici che li reggono, occorre poi rispondere utilizzando segni e codici condivisi per essere compresi e a nostra volta interpretati.

L'emittente ed il ricevente, tacitamente si impegnano ad osservare una sorta di patto, un principio di collaborazione tale per cui il contributo di ognuno dei due partecipanti a tale scambio comunicativo sia quello richiesto dallo scopo che deve raggiungere questo scambio linguistico, né di più, né di meno.

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L'autore di un fumetto richiede ai suoi lettori una partecipazione alla creazione del messaggio che vuole veicolare molto diversa dalla collaborazione richiesta dall'autore di un testo universitario di chimica ai suoi studenti.

Per comprendersi occorre cooperazione comunicativa
In altre parole, chi scrive si aspetta dal suo lettore una collaborazione, un contributo, alla creazione del testo che sta leggendo.
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