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ACTA DIURNA E DI MARTEDI DI FLORIS

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La puntata odierna di "Acta Diurna" continua il suo viaggio alla scoperta degli elementi e meccanismi inconsci di persuasione o di influenza della percezione del pubblico di telespettatori presenti nelle più note trasmissioni di approfondimento giornalistico e talk show.

Oggi andiamo a scoprire i meccanismi e le strutture del programma di Martedì, condotto da Giovanni Floris su La7, concentrando la nostra attenzione sulla puntata del 27/11/2018 




SCENOGRAFIA 

Simboli, categorie eidetiche, cromatiche e codici prossemici

Lo studio è ellittico, quindi una forma circolare chiusa, che richiama l'idea della chiusura, elite, privilegio di esserci, di essere presenti per assistere a un determinato evento.

E' organizzato in più livelli, per inviare l'inconscia idea di poter osservare un avvenimento da più punti di vista.

Rimanda anche all'immagine del teatro romano, anzi a una contaminazione fra teatro e anfiteatro, alludendo al fatto che in studio si dia origine a una particolare rappresentazione del mondo e della realtà, ma anche che quello sia luogo deputato a scontri, come avveniva nell'arena romana..

Il colorepreminente all'inizio della puntata è il blu, tinta che evoca l'idea della affidabilità, riflessione, autorevolezza, calma. Il colore cambia in giallo ai tre quarti della puntata, per inviare un messaggio di variazione, cambiamento, sino a essere rosso verso la fine. Questo stratagemma aumenta la dinamicità della scenografia.

Il pubblico è parte integrante della rappresentazione, divenendo sineddoche del Pubblico a casa e in senso lato della popolazione italiana.

La sigla, volutamente semplice, con tratti quasi infantili, crea un metatesto in cui la parola Marte, in bianco è accompagnata a ogni lato dalla preposizione "di".

Si evoca il dio della guerra, Marte, per alludere al fatto che in studio ci sarà battaglia con discussioni accesa tra esponenti di parti avversarie, implicando quindi che il programma sia animato da nobilissimi intenti di dare voce a tutti, alla luce del perfetto pluralismo democratico.

Il concetto del dio Marte è rimarcato dal personaggio, di cui appare solo il viso con l'elmo in testa, icona del dio della guerra.

Tutto intorno al titolo, ruota un sistema solare estremamente semplificato, alludendo che il programma è una sorte di Sole, di stella intorno cui tutto ruota.

Al centro dell'arena sono disposte due poltrone di legno, spartane e schematiche. Al centro vi è un cubo di legno quale sedile destinato a Floris, sorta di arbitro della competizione.

Le  due poltrone, che secondo i codici prossemici, trovandosi una di fronte all'altra, inviano l'idea inconscia di agone, dibattito fra forze antitetiche, sono destinate agli ospiti.

In seguito aumentano le postazioni a sedere, man mano che arrivano i nuovi ospiti (che sono tutti di idea politica contraria a Di Maio, che viene posto in minoranza numerica).



DINAMICHE PRESENTI IN STUDIO

Soggetti, aiutanti, opponenti

Gli ospiti della puntata sono i vicepresidenti del Consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio, Maurizio Martina del Pd, Pier Luigi Bersani fondatore Mdp, Claudio Durigon, sottosegretario Ministero del Lavoro, Cesare Damiano del Pd, Claudia Segre, presidente Global Thinking Foundation, Francesca Donato, progetto Eurexit, Antonio Maria Rinaldi, economista, i direttori Mario Calabresi (La Repubblica), Maurizio Molinari (La Stampa), Alessandro Sallusti (Il Giornale), Massimo Giannini (Radio Capital), Lucia Annunziata (Huffington Post), Alan Friedman, giornalista e scrittore, Maria Latella conduttrice Sky, il giornalista Roberto Cotroneo, l’avvocato Aduc Emmanuela Bertucci, il fisico Carlo Rovelli, il presidente di Ipsos, Nando Pagnoncelli. In copertina Gene Gnocchi.


Il conduttore tende inizialmente a mettersi in disparte e a governare in silenzio la "tenzone" tra le posizioni antitetiche dei due ospiti in studio, al minuto 4,30, Di Maio e il direttore di Repubblica, organo di stampa avverso al governo gialloverde, Mario Calabresi.

Ognuno dei due contendenti è sia soggetto che la lo scopo di far valere il suo punto di vista, sia opponente dell'altro ospite.

Tale antitesi è sottolineata dall'uso pressoché continuo del monitor diviso in due sezioni in cui una occupata da un ospite e l'altra dal suo interlocutore opponente.

Poi però, già intorno al min. 7,30, Floris interviene nella discussione, comportandosi più da opinionista che da conduttore, e con battute e domande retoriche tende a indebolire la posizione di Di Maio, denigrando le motivazione che il ministro va ad esporre sul contestatissimo reddito di cittadinanza.

Diviene quindi opponente di un ospite e aiutante dell'altro, magari finendone le frasi, o suggerendo il termine esatto che in quel momento sfugge, come accade al minuto 30,55 con l'Annunziata, abbandonando la posizione neutrale dell'arbitro.

Durante la trasmissione poi tende a parlare sopra le dichiarazioni di Di Maio, con il quale non è d'accordo e non interviene mai e men che meno si sovrappone a quelle di Calabresi.

Si arriva a un punto in cui Di Maio è messo chiaramente in minoranza e deve subire l'attacco, giustificato e comprensibilissimo, da parte del suo opponente Calabresi, ma anche quello meno sportivo, almeno dal punto di vista di una competizione con arbitrato, dell'arbitro stesso.

La trasmissione continua vedendo Di Maio sempre attaccato da vari ospiti in quella che più che a una "singolar tenzone" sembra trasformarsi in un processo in cui il ministro è l'imputato.

Lo schema cambia con l'arrivo di Bersani, cui Floris fa una intervista pacata e tranquilla e gli permette di esprimere completamente e senza alcun contraddittorio le sue idee, anzi, fungendogli talvolta da aiutante.

Si ricrea un momento di minoranza numerica quando entra in studio Rinaldi, economista controcorrente rispetto al mainstream, che si deve confrontare non solo con Giannini, Sallusti e Bersani, aspri opponenti del governo gialloverde e quindi anche delle idee economiche da Rinaldi propugnate, ma anche con il conduttore, che tende a esprimere le sue opinioni continuamente e tali opinioni sono manifestatamente a favore di quello che potremmo definire "l'Ancient Regime".

Floris al 1h32 accoglie in studio Salvini e gli fa un'intervista in cui lo incalza, con domande e commenti che rivelano il fatto che il suo personale modo di interpretare la realtà è diametralmente opposta a quello del ministro dell'Interno.

Giornalisticamente parlando è un'ottima intervista, peccato però che il medesimo trattamento non sia stato riservato a Bersani per propugnava tesi gradite al conduttore.




CODICI PARALINGUISTICI

Tono e volume di voce, velocità di dizione, sovrapposizioni, codici mimetici, gestuali e prossemici.

Gli applausi del pubblico sono una variabile percettiva fenomenale del programma per orientare da una parte o dall'altra l'opinione pubblica.

Il fatto che il pubblico sottolinei con applausi determinati passaggi nella discussione, aumenta il valore delle parole appena pronunciate, rendendole percettivamente encomiabili e ricche di buonsenso a chi segue dalla tv la trasmissione.

Ricorda la tecnica delle risate che si sentono in sottofondo durante gli episodi di "Mr Bean", serie comica inglese famosissima in tutto il mondo.

Naturalmente non ci è dato sapere se gli applausi sono pilotati dalla regia o nascono spontanei nel pubblico.

Se fossero pilotati dalla regia, il lavoro sarebbe comunicativamente encomiabile, in quanto il fatto di far applaudire, talvolta, anche alle affermazioni che chi, in una trasmissione condotta da un giornalista dichiaratamente di sinistra, non è in linea con la filosofia di quella parte politica, rende ancora più valide e ammanta di veridicità le affermazioni fatte dagli ospiti "amici".

La strutturazione della trasmissione "a doppio schermo", che inquadra sempre due contendenti per volta, serve innanzitutto a creare le antitesi e la percezione delle opposizioni, poi permette di osservare i codici mimetici dell'ospite nel momento in cui non parla, aumentano significativamente la densità comunicativa della trasmissione con "non detti", che vengono percepiti dallo spettatore più eclatanti e sonori delle parole stesse.



CONTAMINAZIONE DI GENERI

Presenza o meno di contaminazione, quindi di infotainment

Tranne per quanto riguarda i due siparietti di Gene Gnocchi, a metà puntata, che irride e deride fatti e personaggi, nel suo momento comico, non appaiono elementi che facciano pensare a un caso di infotainment, a meno che non si voglia considerare questa trasmissione una contaminazione solo perché si usano tutti gli elementi trattati in questa analisi (codici mimetici, figure retoriche, simbologie, categorie cromatiche e via dicendo) usati per rendere più avvincente la discussione in studio.



USO FIGURE RETORICHE

Metafore, similitudini, allegorie per rendere più efficace la veicolazione del proprio messaggio

Calabresi, abile comunicatore, al min. 5.02 usa la metafora del padre che promette al figlio di comprargli la bicicletta nuova, fargli fare splendide vacanze, regalargli il televisore nuove ma che poi ha un grande debito da ripianare con la banca per parlare della attuale situazione in Italia e al messaggio politico del governo, pieno di promesse che poi si riveleranno disattese.

Bersani, maestro di metafore, ne usa una , "l'idrovora" per accennare al timore di un balzo gigantesco del debito pubblico per spesa corrente dopo la manovra economica del governo, intorno al minuto 44,20.

Parla poi della "diplomazia del sorriso", "è un rubinetto che non si chiude più" o "devo farmi il segno di croce","non è che si piglia si somiglia, ma chi si somiglia si piglia" (un chiasmo)  usando espressioni metaforiche che rendono i concetti che intende esprimere estremamente più chiari, avvincenti e quindi efficaci.

Sullo sfondo, un maxischermo mostra l'immagine di una bimba, prosopopea dell'Italia, riconoscibile dalla corona a forma di mura turrite,che cammina in equilibrio su un filo teso, allegoria della condizione del nostro Paese che deve sempre fare equilibrismi per mantenersi in piedi.



USO DI MESSAGGI SUBLIMINALI

Inferenze, impliciti, presupposizioni

Al minuto 13,24 Floris esclama "è il lavoro mio. Vuole farlo lei dal Ministero?" rispondendo a Di Maio che osservava che il conduttore facesse il lavoro di regia, indicando all'operatore di inquadrare le copie delle prime pagine di Repubblica.

In questa affermazione, detta in tono scherzoso, vi è una non troppo velata allusione al dubbio della Sinistra che Di Maio intenda  regolamentare la stampa al punto da imbavagliarla, dirigendola dal Ministero che rimanda all'istituzione del MinCulPop di fascista memoria.

Interessante l'esclamazione di Floris a 1h34,20 "Abbiamo la regia leghista" perché non appaiono al momento previsto i cartelli in maxischermo con gli articoli della Costituzione da usare contro Salvini e il suo operato, che implica che visto che di solito tutto è organizzato perfettamente in trasmissione è perché "Di martedi"è una trasmissione libera che non è manovrata dal governo che altrimenti, se prendesse in mano la Rete, come si dubita stia facendo con la Rai, toglierebbe libertà e imbavaglierebbe la libera informazione.



USO DI MAXISCHERMI METATESTUALI

Interventi ospiti da esterni, sovradimensionati e quindi iperbolici. Si sottolinea la bontà o l'inanità delle opinioni degli ospiti inquadrando i maxischermi per catturare spesso le loro espressioni facciali o i gesti.

Come in tutte le trasmissioni di questo genere, anche in Dimartedi, il maxischermo è presente. Durante il primi 15 minuti di discussione tra Di Maio e Calabresi, viene inquadrata Lucia Annunziata, sempre ripresa mentre osserva e ascolta con estrema attenzione la parole dei contendenti.




CONCLUSIONE


Floris è un conduttore brillante, preparato e capace, ma, per essere coerente con lo spirito che anima la trasmissione, dovrebbe evitare di manifestare così chiaramente il suo orientamento politico, limitandosi a fare da arbitro fra i vari contendenti.

A parte le sue "simpatie" e "antipatie" esplicite che lo portano a  fare opposizione agli ospiti portatori di idee "sgradite" all'emittente, all'editore e probabilmente anche a lui, la trasmissione è tutto sommato sufficientemente pluralista.

E' vero che c'è sempre un ospite in minoranza costretto a sostenere un dibattito in cui ha tutti contro, anche il conduttore, ma, considerato il "modus operandi" di molti suoi colleghi, nella trasmissione Di Martedi è comunque possibile, per tutti, esprimere la propria visione del mondo senza eccessive denigrazioni o manipolazioni.

Anche il fatto che si siano tenuti divisi i momenti "seri" da quelli "comici" crea un buon equilibrio ed evita di generare eccessiva contaminazione di generi, dando vita a un buon talk show giornalistico.

Insomma, è di parte, ma con un certo rispetto per le idee degli altri.

LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: PAOLO ERCOLANI

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Nuovo appuntamento a "5 domande",  la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.

Oggi risponde alle 5 domande Paolo Ercolani, filosofo, scrittore e saggista. Docente dell'Università di Urbino «Carlo Bo»,  ha scritto  per varie testate, tra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera», «il manifesto» e «MicroMega» e ha collaborato con il canale filosofia di Rai Educational.



Cura il blog dell' Espresso «L'urto del pensiero» e collabora con il canale filosofia di Rai Educational. È fondatore e membro del comitato scientifico dell'Osservatorio filosofico (www.filosofiainmovimento.it). E' autore di varie pubblicazioni tra cui: "L'ultimo Dio. Internet, il mercato e la religione stanno costruendo una società post-umana" e "Qualcuno era italiano. Dal disastro politico all'utopia della rete".



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?

     L'unico dato certo è che i nuovi partiti al governo si sono spartiti, come peraltro avevano fatti i loro predecessori, le poltrone del comando. Almeno la I Repubblica, con i tre canali Rai divisi fra democristiani, socialisti e comunisti, garantiva una pluralità di offerte.

Da una decina di anni a questa parte, invece, chi vince prende tutto. Ma non è tanto questo il problema, quanto il fatto che non si profilano all'orizzonte riforme disposte a incidere sul dato in assoluto più sconfortante: la qualità pessima della programmazione, sottomessa alle logiche del gossip, del chiacchiericcio, dell'audience a tutti i costi, degli ospiti sempre uguali.

L'imperativo categorico del profitto, la logica quantitativa degli ascolti e l'incapacità di elaborare idee nuove per programmi che lascino un segno culturale, salvo rarissime eccezioni costituisce la cifra portante di una Rai che ormai è stata ridotta a "disservizio pubblico".

Non dico che la Tv pubblica, come anche quella in generale, debba svolgere un ruolo pedagogico. Però non c'è dubbio che oggi stia svolgendo un ben preciso ruolo di degradazione del discorso pubblico, di lobotomizzazione del pubblico e di omologazione piegata alle logiche del mercato e di uno star-system ego-riferito e scarsamente professionale.

Non è certo in Rai, al momento, che si percepisce insomma il governo del cambiamento.



L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

    Non esiste a mio modo di vedere una cosa come la gestione obiettiva dei telegiornali. Cosa vuol dire essere obiettivi, chi può davvero prescindere del tutto dal proprio punto di vista nel dare una notizia o nel costruire la scaletta di un telegiornale?

Anche la veridicità è un concetto fumoso e buono per facili propagande. Il pluralismo, invece, sarebbe garanzia quantomeno della compresenza di diverse posizioni, diversi modi di intendere le notizie e molteplici modalità di conseguire la "verità".

Per le ragioni che abbiamo detto sopra, proprio il pluralismo risulta essere ciò che si è voluto eliminare, e non solo con questo governo. In un contesto tale, paradossalmente intrattenimento e fiction diventano l'unico motivo per guardare una televisione di questo genere.

Cosa che la dice lunga sul livello medio dell'opinione pubblica che si sta costituendo.



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

   La cultura in televisione si può fare e bene. Anche in quella generalista. Nelle rare occasioni in cui ciò è avvenuto, tali tentativi sono stati anche premiati dagli ascolti. Ma purtroppo stiamo parlando di un settore sempre più disprezzato e sminuito.

Del resto, tanto il potere finanziario quanto quello politico hanno interesse a che il Pubblico non solo sia incapace a cogliere elementi di verità, ma che ne risulti perfino disinteressato. Un'opinione pubblica mediamente disinteressata, ignorante e facile da manovrare è ciò che interessa tanto a chi deve vendere prodotti commerciali tanto a chi è in cerca di consenso politico.

Da questo punto di vista, il nuovo governo non sembra intenzionato ad apportare alcun miglioramento culturale nella televisione italiana (e non solo nella Tv). Anche perché i due partiti che lo compongono devono molto del loro successo proprio a quel Pubblico mediamente pauperizzato nelle sue facoltà cognitive e privato di quegli strumenti culturali con cui cogliere gli errori di chi lo governa.

La cultura e il sapere sono strumenti che formano teste autonome e critiche. Esattamente ciò che chi controlla le stanze dei bottoni vede come il fumo negli occhi.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Quasi 25 anni il filosofo Karl Popper propose una "patente" per fare la tv. Non potevi lavorare in televisione se non mostravi di possedere certe competenze, compreso il senso dell'etica, della responsabilità e della deontologia verso il pubblico.

Quell'idea rimase lettera morta, e oggi il livello infimo della gran parte della televisione è sotto gli occhi di tutti.

Non è un'esclusiva della Tv, ci mancherebbe, ma vi sono pochi dubbi sul fatto che proprio lì si concentri gran parte di quella "mediocrazia" di cui oggi parla il filosofo canadese Alain Deneault.

In pochi altri posti come nella Tv si lavora perché sei figlio di, raccomandato da, vicino a quel partito o movimento etc..

Il fil rouge che unisce tutto e tutti è l'assoluta genuflessione al sistema commerciale: bisogna vendere gli spazi pubblicitari. L'audience è l'unica stella cometa, a cui sacrificare ogni cosa. A cominciare dal rispetto della verità, della dignità dell'uomo e della salvaguardia di un Pubblico a cui viene propinata perlopiù immondizia culturale.

Magari fosse una questione di tecniche più o meno subliminali, come ai tempi de "I persuasori occulti" di Vance Packard. Oggigiorno non v'è alcun bisogno di ricorrere a strategie comunicative tanto sottili. La filosofia e i contenuti della televisione sono palesemente ispirati alla logica commerciale: se fai audience e produci soldi vai bene.

Altrimenti sparisci. Lo sanno tutti quelli che vi lavorano, e si adeguano in nome di quel fardello antico e inevitabile che si chiama "pagnotta".

Occorrerebbe una rivoluzione culturale da realizzarsi a molteplici livelli, e la televisione rappresenta soltanto uno di questi livelli.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Non ho competenze tali da poter decidere da solo, per di più in merito a un obiettivo tanto alto. Da filosofo posso soltanto dire che va modificata l'impostazione di fondo.

La logica quantitativa deve essere sostituita da quella qualitativa, e ciò soprattutto nelle reti del cosiddetto servizio pubblico. Altrimenti che servizio pubblico è? Perché pagare il canone?

A partire dalla stella cometa della qualità occorrerebbe ridisegnare tutta la programmazione, eliminando i programmi trash, il pettegolezzo e in generale tutte quelle trasmissioni che usano la cronaca e l'essere umano per creare scalpore e ottenere facili ascolti.

Senza contare il dato più rilevante: tornare ai professionisti della Tv. Quelli in grado di scrivere programmi e trasmissioni originali, senza riprodurre i format della televisione americana, mediamente la più barbara e volgare del mondo.

Un governo del cambiamento dovrebbe utilizzare il servizio pubblico televisivo per questi scopi. Ma nessun cambiamento, come dice la parola stessa, può prescindere da un cambio delle menti.

E le "menti" che vediamo occupare i posti di comando del potere politico, oggi come nelle scorse legislature, sono lo specchio più triste e al tempo stesso fedele di un popolo mediamente imbarbarito anche da un sistema mediatico mediamente rozzo e votato al profitto.

Ditemi voi se non si tratta di una situazione "ambientale" per la quale i meteorologi parlerebbero di tempesta perfetta in corso...

SIMBOLI DEL NATALE NELL'ADORAZIONE DI GENTILE DA FABRIANO

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Il Natale si avvicina e questo evento è ricco di una affascinante simbologia, usata e tramandata per secoli da scrittori e artisti. Ne è un esempio l'Adorazione dei Magi, dipinto a tempera e oro su tavola di Gentile da Fabriano, del 1423 conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.



La vicenda si snoda in un percorso sequenziale diviso in 4 momenti, tre dei quali raccontati nelle tre lunette superiori, mentre il momento clou dell'evento, l'incontro dei Magi con il Bambino, si svolge in tutta la sua magnificente semplicità o semplice magnificenza nella parte inferiore del dipinto, che occupa quasi tutta la superficie della tavola.



Vediamo infatti che nella prima lunetta i tre saggi orientali osservano stupefatti la stella cometa dall'alto del monte Vettore, raffigurato come una rupe a picco sul mare;  Nel secondo "modulo" il ricco corteo arriva a Gerusalemme, e nella terza lunetta entra in città.



Il luogo dove il Bimbo accoglie i tre Magi è simbolo della povertà che Dio ha scelto per condividere la sua esistenza terrena fra gli uomini, scegliendo la libertà che essa assicura. Tale povertà è anche metaforica, intendendo con essa la condizione umana rispetto a quella divina che Gli appartiene.

Grande è l'antitesi fra la povertà regale espressa dal Bambino e l'opulenza dei Magi, ben espressa dai codici dell'abbigliamento.

I vestiti dei Magi sono di incredibile sfarzo, con broccati d'oro finemente arabescati.

Quelli della Sacra Famiglia sono semplici e dignitosi, ma ben lontani dalla ricchezza delle stoffe dei Magi.

Eppure i tre ricchi potenti della Terra si inginocchiano adoranti dinanzi a un bimbetto appena nato in una mangiatoia poiché la loro sapienza, illuminata dalla Sapienza divina, ha riconosciuto in Lui il Signore dell'Universo, figlio del Creatore, forma umana del Principio di tutte le cose, visibili e invisibili.

In questo contatto tra sapienza e Sapienza, tra splendore e Splendore, tra ricchezza e Ricchezza, vi è la dimostrazione che è possibile, anche se difficile, per l'Uomo, riconoscere la presenza e la potenza di Dio con l'aiuto della propria intelligenza, il proprio talento e i propri mezzi che, se non usati in modo improprio, possono giungere alle medesime conclusioni cui giunge la Fede.

Inoltre, il fatto che il Bimbo li benedice implica che la ricchezza e lo splendore non sono un male in sé, se adoperati per la gloria di Dio e se non usati solo per egoistico narcisismo.

Il numero tre  allude all'omaggio a Gesù Cristo delle tre parti del mondo allora conosciute: l’Africa simboleggiata da Baldassarre, l’Asia da Melchiorre e l’Europa da Gasparre.



I tre Magi appaiono in tre età differenti, grazie agli indici dati dal colore del capelli, dai lineamenti del viso e dall'invecchiamento della pelle: rappresentano quindi i diversi periodi della vita dell’uomo: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia.

I Magi porgono adoranti i loro doni al Bambino. si tratta di oro, incenso e mirra.

I tre doni hanno precisi significati: l'oro è simbolo di regalità, che i tre saggi riconoscono a Gesù; l'incenso rappresenta la Sua divinità, la dimensione  soprannaturale da cui Egli proviene; la mirra, rappresenta l’umanità, alludendo  alla morte che la affligge, e alle ferite che tale resina cura. Allude anche alla morte di Gesù, prova della Sua reale umanità e mezzo attraverso il quale è destinato a far trionfare la Vita, risorgendo.

Inoltre, essendo l’incenso il profumo che ancora si utilizza in oriente per purificare l’aria e, nella liturgia, intorno all'altare, è simbolo di purezza.

L'oro rappresenta la regalità, il potere, che si riveste qui di caratteristiche divine.

La mirra è simbolo della cura, del medicamento, della carità.

Il blu della veste della Vergine rappresenta il Cielo ma anche la purezza; il giallo della veste di Giuseppe, il cambiamento che è appena avvenuto nel mondo.



L'uomo col falcone in mano, è icona del committente Palla Strozzi, mentre quella accanto, che guarda verso lo spettatore, è l'icona di suo figlio primogenito Lorenzo.

Vi sono numerosi animali che se da una parte intendono alludere al fatto che i Magi provengono da Paesi lontani, sono anche elementi simbolici.

Il falcone è simbolo della caccia signorile, quindi di potere.



Il leopardo rappresenta la forza, il coraggio ed il comando.

Il levriero in quanto usato per la caccia alla lepre, simboleggia l'animo costante nel seguire un'impresa.



Il cavallo e' un simbolo di forza, vitalità, nobiltà e bellezza.

Il dromedario è simbolo di sopportazione, di pazienza ma anche, per i popoli sahariani, di gloria, eterna, prestigio e ricchezza.

La Madonna della Scimmia - 1498 

Le scimmie legate sul dorso del dromedario sono simbolo di menzogna e peccato però tenuti a bada dalla corda e rimandano per similitudine a una incisione del 1498, La Madonna della scimmia di Dürer, quindi di oltre settanta anni dopo, in cui la Madonna, tenendo ai propri piedi il piccolo animale, non solo blocca una creatura di natura demoniaca, ma impedisce all’Uomo il ritorno al peccato originale.



Il bue e l'asinello, tipici dell'iconografia della Natività, evocano le parole del Profeta “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”, simboleggiando la Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio gli uomini erano come buoi ed asini, privi di intelletto e conoscenza. Il Bambino nella mangiatoia è venuto sulla Terra per essi riconoscessero la voce del Signore.



Infine è presente nell'opera la cometa, simbolo di evento divino, segno del cielo, simbolo di speranza, luce che proviene dall'alto.

Gli astri penetrando con la loro luce nell'oscurità erano espressione dell’eterna lotta tra bene e male, tra luce ed ombra.



Non va dimenticato che nel Vecchio Testamento con il nome stella fu chiamato l’atteso Messia,  simbolo del Principio da cui tutto parte.

Infatti l’evangelista scrive “abbiamo visto la sua stella” ovvero la luce che illumina la mente e la vita dell'Uomo.

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Di seguito una rassegna dei più bei dipinti, realizzati dai più grandi maestri, aventi come tema l'Adorazione dei Magi, dal Trecento al Manierismo.



SIMONE PEROTTI E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO

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Senso Comuneè la rubrica dedicata alla ricerca del senso perduto della comunicazione nell'odierna società.

Attraverso interviste a intellettuali, scrittori, filosofi, artisti e pensatori, cercheremo di comprendere cosa sta accadendo e come e se sia possibile porre rimedio all'insostenibile inconsistenza del segno, delle parole, dei messaggi e delle immagini che ci circondano e ci bombardano quotidianamente.



Oggi risponde alle nostre domande Simone Perotti, scrittore e marinaio. Oltre a numerosi racconti su riviste letterarie cartacee e on-line, ha pubblicato manuali, saggi e romanzi fra cui: "Zenzero e Nuvole" , "Uomini senza vento","L'equilibrio della farfalla" e "Dove sono gli uomini".

Ha collaborato e collabora con riviste e giornali «Il Fatto Quotidiano», «Yacht & Sail», «Fare Vela», «Dove», «Style», «Corriere della Sera»



Perotti è inoltre l'ideatore e co-fondatore di Progetto Mediterranea, una spedizione nautica, culturale e scientifica della durata di 5 anni (2014-2019) con cui sta girando il Mediterraneo per intervistare scrittori, artisti, intellettuali dell'area e svolge ricerca oceanografica in collaborazione con università e istituti di ricerca.

Per i suoi articoli e reportage di viaggio ha vinto, nel 2016, il "Premio Montale Fuori di Casa - Sezione Mediterraneo


1) Parole come "matrimonio", "padre e madre", "maschio", "femmina", "uomo", "donna", "sesso", "genere", "razza", "libertà", "vita", "morte", "diritto", "marito", "moglie", "amore", sono nella nostra società in una fase di metamorfosi, in cui il significante e il significato stanno perdendo il solido legame avuto in millenni di civiltà. E' d'accordo con questa affermazione? In tal caso, quali le conseguenze?

Non so se queste parole stiano mutando il loro significato. L’uomo stupisce sempre per la sua straordinaria capacità di cambiamento rimanendo sostanzialmente lo stesso. Se leggiamo Platone, Seneca o Epicuro, Sant’Agostino, Hegel o Heidegger, trovandoci dentro pienamente la nostra vicenda umana, evidentemente l’uomo non cambia di molto nei millenni.

Eppure, la donna di Dante e Petrarca era molto diversa da quella che i più immaginano oggi pensando a una moglie, a una compagna, a una collega di lavoro, a un’amante, a un'amica. Come se fossimo i protagonisti di un continuo cambio d’abito, di casa, di scenario ma nel corso delle nostre vite, secoli dopo secoli, dovessimo comunque fronteggiare il medesimo destino di uomini e donne.

Tutto è andato più o meno così, fino ad oggi… perché quel che è capitato negli ultimi cinquant’anni sembra in grado di sconvolgere questa regola.

La tecnologia, cioè la relazione tra l’uomo e il sistema naturale intorno a lui, è radicalmente mutata. Anche questa volta l’uomo al mutare del layout rimarrà il medesimo in grado di riconoscersi nelle parole di Seneca? Anche a fronte degli sconvolgimenti planetari, biotecnologici, bioetici, resterà l’essere capace di una resistenza straordinaria e al tempo stesso di una fragilità interiore sofisticatissima?

La mia impressione è che la massificazione, l’omologazione, la riduzione progressiva della libertà, la coercizione coatta del sistema del  denaro/lavoro/consumo stiano portando l’uomo nel punto inferiore della sua potenzialità di sentimento e dunque espressiva. Mai come oggi il coraggio di azioni anche minime scarseggia. Mai come oggi, nonostante l’innalzamento della qualità complessiva della vita sembriamo impauriti e senza troppe speranze. E purtroppo, quasi tutti i termini tra virgolette qui sopra costituiscono valori per vivere per i quali occorre coraggio, saldezza, tenuta psicologica, tensione morale, ispirazione, fermezza.

Da questo punto di vista la mia risposta è sì, dunque: quelle parole stanno perdendo per la maggior parte di noi la relazione solida con le nostre esistenze. Ma ripeto, l’uomo ha attraversato fasi molto complesse, e non mi stupirei che di fronte all’ultimo miglio della sua stessa sopravvivenza non ci stupisse riscoprendo tutto il valore dell’avventura individuale e relazionale della vita. E dunque del linguaggio con cui la esprime.



2) Il termine "negro" oggi percepito con accezione fortemente negativa e lesiva della dignità umana, un tempo non molto lontano si trovava sui libri di scuola per descrivere, senza un filo di volontà offensiva, persone di ascendenza africana con la pelle scura, con lo stesso valore referenziale che oggi si darebbe al termine "caucasico". Si tratta secondo lei di un processo temporale fisiologico della lingua o di intromissioni da parte di una sorta di neolingua "polically correct"?

Ciò che conta della lingua non è tanto che una parola muti di significato o venga sostituita da un’altra, ma l’attinenza tra la percezione del significato di quella parola con l’uso che se ne fa. Intendo dire che se sostituiamo nel corso dei decenni “negro” con “nero”, questo pertiene solo al codice.

Ma il problema del linguaggio resta sempre nel duplice ambito di chi lo usa e della percezione che ne ha. Oggi abbiamo perduto qualunque ritrosia nell'esprimerci in modo razzista. Il paradosso è dunque che percepiamo come razzista la parola “ negro” (e dunque apparentemente ci siamo raffinati nel rispetto dell’altro) ma siamo assai più razzisti, mediamente, di come eravamo quando definivamo un nero “Negro”.

Inoltre, assistiamo ogni giorno alla restrizione del vocabolario da parte delle persone, che non hanno (mediamente) quasi più alcuna cognizione di alcun linguaggio specialistico, e anche all'interno del linguaggio generale dimenticano progressivamente moltissime delle parole più precise per definire situazioni o concetti anche correnti.

Il risultato è un’imprecisione terminologica, dunque semantica, dunque espressiva, straordinaria. Il "qui pro quo" tra chi usa il linguaggio in modo esteso e chi ne usa solo una parte è dietro l’angolo di qualunque dialogo, perché il significato che diamo alle parole è polarizzato in modo estremo: da un lato l’enorme quantità di persone che usa sempre meno parole e con significato impreciso e generico; dall'altro un'assoluta minoranza che usa molte parole con significati estremamente precisi.

Intendersi dunque sui valori, su ciò che si sta dicendo, e sul significato che diamo alle nostre affermazioni, è sempre più difficile. In presenza di una deriva analfabetica così violenta il problema del “politically correct” passa in secondo piano pesantemente, perché capirsi (cioè lo stadio precedente) è già terribilmente difficile.

Conosco persone che non capiscono concetti anche semplici, se devono ascoltare o leggere, ma se fai vedere loro un breve video comprendono più o meno tutto. Salvo poi non saperlo esporre o sintetizzare o ripetere (o vivere) in modo corretto.



3) Ritiene che nella nostra società stiamo assistendo a un progressivo perdersi di senso? In altre parole, quando un termine o un simbolo perde di senso, quando vi è uno scollamento fra significato e significante e i simboli non sono più convenzioni universalmente accettate nella medesima cultura, su quali presupposti può generarsi e basarsi una sana comunicazione e una vera condivisione di ideali e progetti nella società?

Credo che la faccenda vada inquadrata capovolgendola. Io sono un fermo sostenitore del fatto che "nomina sint consequentia rerum” (non è un refuso della citazione, ho messo “sono" al congiuntivo: “siano”. Ndr).

Il problema delle parole è sempre “le cose”. Donne e uomini confusi, senza meta, senza la tempra morale per opporsi all'omologazione, incapaci di elaborare pensieri originali sostenendone la responsabilità, orientati tutti insieme verso un’autodistruzione ormai evidente… come dovrebbero esprimersi? Ciò che perde di senso qui non sono le parole, ma le persone.

Le parole le rappresentano soltanto, e assai fedelmente purtroppo. La famosa citazione morettiana: “Chi parla male pensa male e vive male” ("Palombella Rossa”) è tanto bella quanto sconclusionabile. Qui il problema è che si pensa male, dunque si vive male, dunque si parla male.



4) Gorgia, antico filosofo greco, affermava che "la realtà non esiste; se esistesse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile". Si evoca, in pratica, uno sfasamento tra significato e significante, che implica la creazione di terminologia e iconografia sciolte da ogni vincolo, poliedriche ma incapaci di comunicare, di inviare un messaggio univoco. Pensa che si tratti dello scenario attuale o ritiene che questa sia una preoccupazione infondata?

Assolutamente no.

Io leggo l’affermazione di Gorgia come una constatazione sulla natura della nostra esistenza: troppo simili a Dio per non capire le domande, troppo diversi da lui per conoscere le risposte.

Ed è la base su cui si fonda l’arte, perché la scienza è lo strumento perfetto per conoscere tutto ciò che è misurabile, la fede è l’unico strumento per conoscere ciò che non è dimostrabile, ma ciò che sta in mezzo, cioè le nostre vite, dunque l’unica cosa interessante, è indagabile solo con l’arte.

Nella caverna di Platone nasce il concetto di investigazione artistica della vita dell’uomo, perché nasce il concetto di rappresentazione, di “finzione", che guarda caso usiamo ancora in letteratura e nelle arti audiovisive: la fiction.



5) Umberto Eco, parlava di "semiosi illimitata", ovvero la narrazione di un mondo in cui è impossibile comunicare, in quanto, in un processo di costruzione di significato, operato in collaborazione da emittente e da destinatari, ognuno inserisce nel contenitore "testo comunicativo" il senso che preferisce, non quello che effettivamente l'emittente intende comunicare attraverso quel testo. Lei pensa che oggi la comunicazione attuale si sia inserita in questo vicolo cieco?

Beh, Eco si riferiva all’intrinseca difficoltà della comunicazione tra esseri che, anche quando hanno un codice comune, corrono il rischio costante della distonia per la differenza profonda del valore attribuito da ognuno allo stesso codice. La comunicazione oggi corre un rischio assai meno raffinato, e assai meno inevitabile. Poco pensiero, poco studio, pochi strumenti di analisi, generano una comunicazione povera, meccanicistica, in cui il livello simbolico è atrofizzato. Basta vedere cosa scrivono e come scrivono gli scrittori dei libri che vanno per la maggiore.

Oggi chi “scrive per gente che legge” è candidato al minoritarismo commerciale, dunque all'emarginazione editoriale. Quando allunghi una frase di tre parole o calchi la pericolosissima palude di un’incidentale, sai che stai perdendo migliaia di lettori in un colpo.

Non vorrei citare la nota battuta del Grande Freddo, quando uno dei protagonisti, al mattino, in cucina, risponde alla domanda: “E cosa scrivi?”…. Ecco.

AMULETI E TALISMANI NELL'ANTICA ROMA

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Gli antichi romani erano molto superstiziosi. Credevano nell'esistenza di potenze benevole e malevole che governavano o almeno influenzavano pesantemente la loro vita e quella dei loro cari.

Per arginare gli effetti malevoli e propiziare la buona sorte, usavano svariati amuleti e talismani, con numerosi e diversi significati e simbologia.

Vi è una differenza sostanziale tra amuleto e talismano, infatti: l'amuleto è un oggetto che ha valore apotropaico, ovvero allontana la sfortuna, il talismano invece è inteso come oggetto portafortuna.

Il termine amuleto deriva da  “amoliri”, allontanare, oppure dal greco amulon, un "specie di focaccia" che si soleva offrire sugli altari o sulle tombe per allontanare l'ira degli spiriti dei trapassati.

Talismano deriva invece dal termine greco telesma che significa «rito (religioso)» di aiuto e di propiziazione, e in alcuni casi di protezione

Il valore magico di amuleti e talismani era dato, secondo i romani,  sia dalla materia sia dalle iscrizioni o dai simboli incisi.



Come riportato da Plinio, l'agata, nei suoi vari colori, aveva effetto contro i morsi degli scorpioni e dei ragni e rendeva un atleta invincibile; il diamante aveva influenze benefiche e scacciava la melanconia; il cristallo propiziava la divinità; il corallo portava fortuna,  l'ambra proteggeva dalle malattie, scongiurava il malocchio ed era un’utile rimedio per sgonfiare le tonsille,  l’ametista allontanava le tempeste e i veleni

Apparivano le immagini di Eracle che soffoca il leone, simbolo della protezione contro il mal di stomaco, come dimostrano iscrizioni quali "digerisci!", o: "per lo stomaco", o anche: "digerisci, o stomaco". Altre di  Ares simbolo della protezione contro i mali di fegato: l'immagine dell'eroe Perseo era simbolo della protezione della cistifellea, e la figura di un uomo curvo che miete era simbolo della protezione contro la sciatica e il male di reni.

Si riteneva che l'immagine di una lucertola fosse simbolo di guarigione delle affezioni degli occhi e l'immagine dello scorpione (preferibilmente incisa su diaspro giallo) doveva proteggere contro il veleno mortale di questo temuto animale.

Alcuni amuleti erano decorati con una figura femminile stante, ignuda, con una mano alla bocca, e con l'altra dietro, simbolo della preservazione da ogni parola imprudente che potesse attirare una sorte malvagia. Si trovano pure figure virili nello stesso atteggiamento ed altre con una doppia testa rappresentante, da una parte, una faccia umana, dall'altra quella di un leone.

Altri amuleti hanno forma di teste di animali feroci, come il leone, simbolo di potenza o  il lupo, simbolo guerriero di protezione e sostegno.

Le monete di Alessandro Magno, erano talismani che simboleggiavano (e quindi propiziavano) successo nelle imprese



La famiglia romana faceva indossare a ogni figlio maschio, trascorsi nove giorni dalla nascita,  la bulla, un astuccio di cuoio o di metallo di figura lenticolare, che si portava appeso al collo e conteneva vari piccoli amuleti o talismani.

Era inizialmente simbolo dei bambini patrizi, ma il suo uso fu esteso poi a tutti i nati liberi: i figli dei patrizi l'avevano d'oro, gli altri di cuoio, ma poteva anche essere d'argento, di bronzo e di ambra. Solo i figli degli schiavi ne erano sprovvisti.

La bulla veniva indossata per tutta la fase dell'adolescenza, portato al collo come un medaglione. Il suo scopo principale era proteggere il bimbo da forze e spiriti maligni.

Un ragazzo  indossava la bulla fino a quando non avesse vestito la toga virile, intorno ai 16 o 17 anni. La sua bulla veniva poi gelosamente conservata, e in certe particolari occasioni nuovamente indossata. Tra gli adulti pare che fosse portata dai trionfatori, durante la pompa trionfale, come amuleto contro l'invidia

All'interno della bulla venivano custoditi i praebia, i turpicola o i tintinnabula, piccoli oggettini  di ambra, corallo, ferro o d'oro, rappresentanti organi genitali che erano sia talismani che amuleti, ovvero erano simboli contro la malasorte e propiziatori di fortuna per il bambino che li indossava.



Nella cultura romana l'amuleto fallico chiamato fascinus- spesso alato - era una costante, sotto forma di gioielli o campanellini, al punto che anche le sobrie matrone patrizie portavano il fallo come monile al collo e al braccio per propiziare la fecondità.

Alle bambine veniva fatto indossare un talismano d'oro o d'argento, la lunula, icona di una luna crecente, simbolo della femminilità che richiamava la dea egiziana Iside e avrebbe dovuto portare fortuna; questa veniva portata fino all'età del matrimonio, quando veniva tolta insieme agli altri oggetti tipici dell'infanzia. Da quel momento la ragazza dismetteva gli abiti infantili ed iniziava ad indossare il vestiario adatto ad una donna romana.

I neonati, sia maschi che femmine, portavano i crepundia, pendaglietti, di materia preziosa, che venivano appesi a una catenella al collo o trasversalmente sul petto dei bimbi.  e che riproducevano in piccole proporzioni oggettini domestici come  tenaglie, falci, coltelli, cesoie, un'ancora, una mano, una scarpa, una barchetta, oggetti che simboleggiavano l'azione di tagliare o allontanare ogni eventuale energia negativa.




I SOSPIRI DEL MIO CUORE E IL 'QUADRATO SEMIOTICO DI FORMAZIONE'

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Quali strutture si nascondono e sorreggono l'impalcatura creativa del bellissimo film d'animazione "I sospiri del mio cuore"?

Whisper of the Heart, è stato prodotto dallo Studio Ghibli del 1995, diretto da Yoshifumi Kondō e scritto da Hayao Miyazaki.


È la storia di due ragazzi, Shizuku e Seiji, che vogliono diventare una scrittrice di romanzi lei e perfezionarsi nel suonare e costruire violini lui. I due intraprendono la strada per realizzare i propri sogni, finendo per avvicinarsi sempre di più.

Il quadrato semiotico presente nella storia riflette il percorso di formazione dei due protagonisti della vicenda ed è articolato sull'antitesi ADULTO e BAMBINO.


Quindi abbiamo le seguenti relazioni di contraddizione, opposizione e complementarietà.

  • ADULTO - il nonno di Seiji, i genitori di Shizuku, ormai completamente cresciuti
  • BAMBINO - i compagni di scuola di Shizuku, ancora piccoli e senza pensieri
  • NON ADULTO - Baron, il gatto Moon, la sorella di Shizuku, che sembrano adulti ma non lo sono ancora
  • NON BAMBINO - Shizuku e Seiji, che sono in una fase di crescita

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Attraverso l'impiego del quadrato semiotico, molto ricorrente nella filmografia di Miyazaki, la narrazione risulta più dinamica e avvincente e di conseguenza ci invia un messaggio, che anche non viene immediatamente percepito a livello cognitivo, risulta assimilato implicitamente a livello inconscio.

Nel video proposto l'analisi curata da Cinzia Ligas.

IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON E LA PROSOPOPEA DELLA LIBERTÀ

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Il gabbiano Jonathan Livingston è un romanzo breve di Richard Bach del 1970.

Qual è il suo più profondo significato?

La narrazione è allegoria del percorso verso la conoscenza, simboleggiata dal cielo e dalla capacità di volare con maestria.

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Gli altri gabbiani sono prosopopee della gente "comune" che si accontenta di vivacchiare e non ambisce a conoscere, raggiungere la sapienza, la piena consapevolezza, ma usa tutto il tempo della propria vita schiava della preoccupazione di cosa mangiare per sopravvivere.

Jonathan è simbolo e prosopopea della libertà, del desidero di apprendere, dell'auto-realizzazione ottenuta con tenacia, impegno e fatica.

L'edizione italiana del romanzo, pubblicata da Rizzoli

Il quadrato semioticopresente nel romanzo, giocato sui termini opposti ribelle e sottomesso, è il seguente:
  1. Ribelle - Jonathan
  2. Sottomesso - tutti i Gabbiani dello stormo
  3. Non ribelle - Sullivan, che lo guida alla scoperta di una maggiore perfezione. Sarebbe stato un ribelle come Jonathan nel mondo dello stormo, ma ora, nell'altra dimensione, è solo uno che desidera progredire
  4. Non sottomesso - Il gabbiano Fletcher Lynd, anch'esso reietto per le medesime ragioni di Jonathan e che come lui vuole ascendere a maggior perfezione.
La dedica italiana al romanzo è: "Al vero gabbiano Jonathan, che vive nel profondo di noi"

ACTA DIURNA E PORTA A PORTA DI BRUNO VESPA

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Sempre alla scoperta degli elementi e meccanismi inconsci di persuasione o di influenza della percezione del pubblico di telespettatori presenti nelle più note trasmissioni di approfondimento giornalistico e talk show, continua l'indagine di "Acta Diurna".

Oggi l'analisi si concentra su Porta a porta, programma di approfondimento della seconda serata di Rai 1 giunto alla ventiquattresima edizione.Andiamo ad analizzare la  puntata del 06/12/2018



SCENOGRAFIA 

Simboli, categorie eidetiche, cromatiche e codici prossemici

Il colore preminente in studio è il blu, che evoca rispettabilità, affidabilità, calma, raziocinio. E' anche il colore di brand di Rai 1, rete che trasmette il programma.

Lo studio è circolare, per evocare, secondo i principi delle categorie eidetiche,  l'idea di privilegio dei partecipanti (facendo intendere che vi partecipa solo l'élite intellettuale del Paese) circondata a semicerchio dal Pubblico in sala, che creando una linea circolare non interamente chiusa, invia l'idea di accoglimento.

Vi è un personaggio, l'attore Paolo Baroni che è icona del maggiordomo che apre la porta bianca, dopo il rumore di campanello, simbolo della trasmissione, che si chiama appunto "Porta a Porta".

Lo studio è quindi metafora del salotto di casa, della casa di ognuno dei telespettatori, in cui vengono invitati gli ospiti di riguardo.

Il televisore nel salotto di casa diviene dunque luogo deputato di questi incontri virtuali che avvengono tre volte alla settimana nel salotto di ciascun telespettatore, come se gli ospiti siano invitati nelle case degli italiani, direttamente, anche se virtualmente.

Non vi è una vera e propria sigla, ma essa viene generata dai movimenti delle camere di studio che inquadrando il pubblico dalle spalle da varie posizioni, evocano metaforicamente e per similitudine il fatto che ogni fatto, ogni avvenimento sarà sviscerato da punti di vista differenti.

Gli argomenti sono presentati simbolicamente, e per sineddoche, attraverso le icone dei protagonisti dei fatti accaduti durante la giornata, sui maxischermi.





DINAMICHE PRESENTI IN STUDIO

Soggetti, aiutanti, opponenti

La puntata inizia da un sommario fatto da Vespa.

Gli ospiti in studio sono Renato Brunetta, Alessandro Sallusti, Gustavo Piga,docente di economia, Peter Gomez e Claudio Tito.

Nella seconda parte sono invitati Miriam Leone e Riccardo Scamarcio, il magistrato Simonetta Martone e la criminologa Roberta Bruzzone per parlare di un film in uscita, Il testimone invisibile", in cui, come afferma il conduttore "passeremo dalla realtà al film e dal film alla realtà" al minuto 2,04.

Durante la puntata vi sono alcuni servizi filmati, che rappresentano quelli che dovrebbero essere i "fatti", i dati a supporto delle tesi presentate in studio.

Vespa è un arbitro perfetto della situazione. Lascia totalmente libero campo agli interventi degli ospiti, non commenta mai o quasi, e mai comunque con l'intento di denigrare o ridicolizzare le opinioni dell'ospite. Non si sovrappone mai alla voce dell'ospite ma regola perfettamente i tempi e i modi di esposizione di quanti dibattono nel suo studio.

Perfetto padrone di casa con quanti invita, ospiti ai quali dà possibilità di esprimersi.

Vespa è il protagonista della scena pur nel suo estremo riserbo, e intende raggiungere lo scopo di far dibattere i suoi ospiti su vari argomenti.

Non ne diviene né aiutante opponente. In effetti gli ospiti sono aiutanti di Vespa nello scopo da lui prefisso, il dibattimento pacato e critico.

Gli ospiti sono a loro volta critici riguardo le scelte governative e quindi sono opponenti di un convitato di pietra, rappresentato preferibilmente dall'icona di Di Maio che campeggia nel maxischermo, simbolo e sineddoche del governo in carica.

Un momento in cui nasce un vivace scambio di idee fra conduttore e ospite è al minuto 58,48, in cui il magistrato e Vespa sono chiaramente opponenti, in quanto una accusa l'altro di superficialità, e lui, offeso, sbotta con un "siete autoreferenziali, presuntuosi, pieni di convinzioni, voialtri magistrati, anche quando sbagliate"





CODICI PARALINGUISTICI

Tono e volume di voce, velocità di dizione, sovrapposizioni, codici mimetici, gestuali e prossemici.

Pochissimo uso di codici paralinguistici in questa trasmissione. Il viso del conduttore è una maschera impenetrabile e il più della volte i suoi codici mimetici o gestuali sono scevri da ulteriori significati.

La regia evita di inquadrare i volti degli ospiti quando parla un altro ospite, evitando di inserire nel discorso i codici paralinguistici a sostegno o meno dell'opinione espressa.






CONTAMINAZIONE DI GENERI

Presenza o meno di contaminazione, quindi di infotainment

La trasmissione è divisa in due momenti, una giocata sull'indagine delle vicende politiche, l'altra sull'indagine del comportamento umano, in una analisi antropologica che prende spunto da un film e dalle vicende narrate.

E' un modo molto corretto di trattare in maniera quanto più neutrale possibile la trasmissione di notizie o di opinioni, evitando la contaminazione dei generi.




USO FIGURE RETORICHE

Metafore, similitudini, allegorie per rendere più efficace la veicolazione del proprio messaggio

Vi è la metafora "nata nel caldo del primo autunno e sorpresa da una gelata invernale che sembra appena iniziata" al minuto 21,17 per parlare della manovra e dei cambiamenti del governo nel servizio filmato.

Altra metafora "che è l'anima nera del povero Riccardo Scamarcio, che viene portato sulla cattiva strada dalla sua amante" viene usata  da Vespa per raccontare il film e introdurre gli attori al min. 48,35

La seconda parte del programma è giocata sulla similitudine tra il film di Scamarcio e la vicenda di Yara e di Bossetti, quindi tra la fiction e la realtà, al min. 52 e di altri delitti italiani, come quello di Sara Scazzi o di Rudy Ghedè e l'omicio di Meredith a Perugia o di Alberto Stasi assassino della fidanzata Chiara a Garlasco o quello commesso da Rosa e Olindo o quello di Annamaria Franzoni.

"Questo è il modo di sparare un sacco di cavolate"è la metafora usata dal il magistrato al minuto 58,07 mentre rimprovera Vespa per non aver letto gli atti del processo dalla prima all'ultima pagina, con una preterizione (figura retorica che dice di non voler dire una cosa mentre in realtà la afferma proprio in quel momento) che Vespa coglie subito e sottolinea, in modo bonario ma offeso.





USO DI MESSAGGI SUBLIMINALI

Inferenze, impliciti, presupposizioni

Uso di connotazioni nel servizio filmato, come quando si parla di Cosima che uccide "la nipotina" Sara Scazzi, per sottolineare al pubblico l'orrore di quell'omicidio perpetrato in famiglia, con una zia che uccide la nipote quindicenne.

In genere poco uso di connotazione, impliciti, inferenze e presupposizioni, privilegiando un linguaggio più denotativo, quindi descrittivo.





USO DI MAXISCHERMI METATESTUALI

Interventi ospiti da esterni, sovradimensionati e quindi iperbolici. Si sottolinea la bontà o l'inanità delle opinioni degli ospiti inquadrando i maxischermi per catturare spesso le loro espressioni facciali o i gesti.


L'uso dei maxischermi è iperbolico. Tutto lo studio ne è pieno. Addirittura ce ne è uno circolare che appare sul pavimento, al centro dei due semicerchi che compongono lo studio.

Come sempre i maxischermi servono ad aumentare la ridondanza e a sottolineare l'importanza delle opinioni di coloro che intervengono in studio, cercando di equilibrare con la taglia dei protagonisti la loro distanza dallo studio.





CONCLUSIONE

Non si può parlare di neutralità, ma senza dubbio di correttezza.

In altri termini è evidente che il programma di Vespa dà voce a una ben definita parte politica, il centrodestra, ma questo non impedisce che gli argomenti vengano trattati, nei limiti possibili alla comunicazione tra esseri umani, in maniera obiettiva, con rispetto, anche se non condivisione e accettazione, per le opinioni altrui.

Grande garbatezza e stile in studio.

Anche i servizi filmati raccontano la realtà da un particolare punto di vista, che può essere condivisibile o no, ma non ha mai la tendenza alla manipolazione.

Se un neo c'è, è la mancanza in studio di opponenti, che sono esterni alla trasmissione, ed evocati attraverso immagini, e che forse andrebbero ospitati in studio per avere un contradditorio.

Vespa può piacere o no, ma è un grande comunicatore e un ottimo e garbato padrone di casa, vero arbitro del programma e incontrastato protagonista, pur senza mai andare oltre il ruolo di neutralità che si è imposto, di poche parole ma sempre presente e pressante, anche quando tace.


LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: MAURIZIO BLONDET

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Nuova puntata di 5 domande, la serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.

Oggi risponde alle nostre 5 domande Maurizio Blondet, giornalista e conferenziere che ha collaborato a Gente, il Giornale, l’Avvenire e La Padania, sia come autore ma anche come inviato. E’ stato inviato speciale de Il Giornale (di Montanelli) , in seguito di Avvenire–  occupandosi delle guerre balcaniche e altri teatri di conflitto. ha contribuito al volume “Gli antenati insospettati della rivoluzione”, sulla “fabbricazione” artificiale del movimento della rivoluzione culturale (che ha mirato non tanto alla presa del potere, quanto alla sovversione dei costumi e della morale), “11 Settembre, colpo di stato in Usa”, “Chi comanda in America” e “Cronache dell’Anticristo”. Cura il blog Blondet & Friends.


Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è" ?

La Rai non è un'azienda. E' una  concrezione fossile ripugnante, una stratificazione geologica di stipendiati di diverse stagioni politiche, strato sopra strato:  ci sono  comunisti, cattocomunisti,  persino democristiani, pidiessini, radicali, berlusconiani di sinistra, sessuomani vari, vecchie amanti di capi delle brigate rosse... tutta gente che ha costituito conventicole di potere e alleanze interne, potenti, inamovibili.

Non comandano i direttori, specie se di  fresca nomina; comandano questi strati geologici. Anche perché hanno stipendi così spropositati - sopra i 100 mila quasi tutti, un centinaio anche sopra i 200  mila, come la Botteri e la Berlinguer - che persino mandarli via (posto che ci si riuscisse) costerebbe miliardi  allo Stato. di sole liquidazioni.

Ci vorrebbe non Foa, ma una dittatura spietata che li fucilasse  senza indennizzo, e li seppellisse in terra sconsacrata. Siccome questo non è ritenuto possibile, la Rai resterà quella che è. Un truogolo stratificato di ex tesserati di partiti scomparsi.


L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

Il pubblico italiano, specie quello che si  guarda la tv (spesso lasciandola accesa per 10 ore al giorno) è molto ignorante e  anziano -  in generale non sa distinguere  bene nemmeno fra informazione e fiction; della informazione gli importa poco e capisce poco, appena si  tratti di cose un po' complesse,  politica estera, Unione Europea.

Naturalmente gli strati  geologici di parassiti grande-stipendiati di cui sopra ,  che sono poco meno ignoranti del pubblico, sono ben felici  di mantenere questa vecchia plebe nel solco del conformismo e del politicamente corretto vigente: che in questi ultimi tempi è ovviamente pro-gay,  gender, pro-lgbt, pro-immigrati negri e strappacuore, pro  "Francesco" papa.....

In tv non si pratica "giornalismo", il massimo sforzo sta nel sopprimere informazioni (che sono in gran numero) per darne solo 2 o 3  comode nella lunghissima mezz'ora dei tg. "Notizie" ovviamente che questi parassiti non sono andati a cercare, ma hanno letto dalle agenzie di stampa.

Grande spazio è dato all'ultima produzione del cantante X e  dell'ultimo film: si tratta di pubblicità occultamente pagata dai medesimi a qualcuno della cosca, che intasca



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine  la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

Un tempo effettivamente - un tempo risalente alla direzione generale di Bernabei o alla stagione di Sergio Zavoli per le grandi inchieste  - la tv di Stato si pose il compito di istruire il popolo ignorante, di elevarlo all'altezza che occorre per vivere nella complessità moderna.

Voi giovani non potete nemmeno immaginarlo.  Scuole elementari per adulti (il maestro Manzi) corsi di inglese, francese e tedesco con graziose professoresse (io stesso imparai il francese lì), grandi servizi scientifici e storici.

Sceneggiati come "Delitto e Castigo" di Dostojewski,  o "l'Orlando Furioso"; o "la Gerusalemme Liberata"; racconti letti d un grande  attore (Albertazzi),  pot-pourri di recitazione che andavano da Omero  ad Euripide, da Shakespeare  a Beckett  (Gasmann)  erano appuntamenti serali settimanali - a cui il popolo ignorante si appassionava, come oggi si appassiona alle cialtronerie sporchellone e le troie che la cosca televisiva gli ammannisce, con la scusa che il popolo o non solo è ignorante ma anche volgare, e quindi è questo che vuole.

Ciò perché i volgari sono loro, e con la loro potenza hanno espulso ed espunto tutto ciò  - persone e programmi  - che li superava e metteva in luce la loro bassezza.

Ciò li rende  imperdonabili, perché responsabili dell'abbassamento del popolo italiano. Perché il popolo,. come una spugna, accetta il meglio se lo vede. Io stesso posso testimoniare di un "Orlando Furioso" a puntate, in versi di Ariosto, con la regia  sofisticatissima di Luca Ronconi, che appassionò mie vecchie zie di Toscana, di nascita contadine.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Ovviamente i conduttori ("giornalisti" pagati 5 volte più dei normali giornalisti: è la prova che è gente dello spettacolo) esercitano  il tipo di abilità che dice lei, per questo sono "bravi" e pagati: interrompere l'avversario se dice una cosa intelligente, deriderlo con la mimica facciale, parlargli sulla voce, "mandiamo il servizio", eccetera.



Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

Quello che manca a questo governo per migliorare la tv (e non solo) sono: squadre armate al suo servizio, o (in mancanza)  magistrati  aderenti  al progetto di miglioramento e rinnovamento dell'Italia - che facciano letteralmente paura a queste cosche (non solo in tv), le convincano a dimettersi (magari dopo aver fatto bere loro i regolamentari due litro di olio di ricino), li tolga dal video,  l'inquisisca - insomma li tolga dal potere (non solo televisivo)  a cui si aggrappano con i denti e gli artigli di sciacalli che  sono.

Penso a questo tutte le volte che sento e vedo uno di questi in tv  dire che questo governo è "fascista". Fosse fascista, sarebbero sul cesso per via dell'olio di ricino, o tremanti di paura chiusi in casa o all'estero a rifarsi una vita.

Purtroppo questo governo, ogni giorno più deludente,  con Salvini che canta in programmi tv, stappa bottiglie o addenta panini dicendo banalità, non fa paura. Fa solo pena e sempre più rabbia.

Un governo che sfida l'Europa e non sa prendere il potere dei mezzi di comunicazione, della magistratura e della banca centrale, finirà assai male.

SIMBOLOGIA DELLA NATIVITÀ DI GESÙ DI GIOTTO

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L'arte rappresenta la scena della Natività sempre su due distinti livelli, quello iconico e quello simbolico.

Uno dei capolavori che segue questa convenzione è la Natività di Gesù di Giotto, affresco databile al 1303-1305 che si trova nella Cappella degli Scrovegni a Padova.



Giotto si ispirò, per la sua opera, ai Vangeli, al Protovangelo di Giacomo e alla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.

Molto interessanti nella scena sono i codici gestuali e mimetici dei protagonisti.



Maria osserva rapita il bambino e gli tende le braccia, amorevole.

Il suo gesto ha un significato duplice: da una parte di accoglimento e protezione, ma dall'altra di offerta del proprio Figlio al mondo, rappresentato per sineddoche dalla levatrice, che con cura tocca il Neonato.



Ai piedi del letto, trasognato, in disparte, seduto, sta Giuseppe, per simboleggiare la sua partecipazione passiva all'evento, non solo della Nascita ma soprattutto del concepimento, essendo solo il padre putativo di Gesù ma non quello vero.

La presenza degli angeli, riconoscibili dall'elemento sia iconografico che simbolico delle ali, per significare la loro leggerezza, incorporeità, essendo spiriti, la loro libertà, velocità e il loro ruolo di messaggeri divini, è un implicito riferimento al fatto che il Bambino è speciale, è sovrannaturale, è divino.



I loro gesti, che rappresentano la preghiera al Cielo e al Bimbo, sottolineano questo legame tra la materia, il corpo umano del Bimbo e la Spiritualità divina che Gli vengono direttamente dal Padre, Dio Creatore.

Il quinto angelo è invece il tramite tra la Divinità e l'Umanità, simboleggiata dai pastori, ammirati e sbigottiti dinanzi a tale manifestazione luminosa e spirituale.



Anche gli animali presenti sono simbolici, oltre che iconografici: il bue e l'asinello rappresentano Ebrei e Gentili che assistettero alla venuta di Cristo senza comprenderla, come ottusi animali.

Il piccolo gregge simboleggia la Chiesa novellal'umanità che verrà redenta dal suo Buon Pastore, seguendo le sue indicazioni e venendo da Lui guidata e protetta.



La greppia in cui il Bambino sta per essere deposto è simbolo della povertà in cui ha deciso di calarsi, ma non intendendo con questo termine la miseria economica (Giuseppe era un artigiano, lavorava e manteneva agevolmente la famiglia), quanto piuttosto la misera condizione umana in cui si era inserito volontariamente per riammetterla, con il Suo sacrificio, alla gloria immortale da cui proveniva e che aveva perduto con il Peccato Originale.

Anche i colori sono adoperati non solo per l'appagamento della vista, ma per simboleggiare determinati concetti.



L'azzurro lapislazzulo del manto di Maria, ormai quasi scomparso, simboleggia la Grazia divina, il mondo sovrannaturale che la Vergine ha deciso di accogliere nella sua vita, la sua calma e imperturbabilità, il rosso della sua veste il sangue di Gesù che sarà versato per l'umanità e il dolore che Lei dovrà sopportare.

Il giallo di cui è vestito Giuseppe evoca che lì, in quella stalla, è appena avvenuto un cambiamento epocale, che trasformerà la Storia e il destino dell'Uomo, o almeno di coloro che lo accetteranno. Il giallo è in effetti il colore del cambiamento, della trasformazione, e questo elemento rende lo statico Giuseppe uno degli elementi più dinamici dell'opera.

Infine le aureole intorno al capo degli angeli, di Maria e di Giuseppe simboleggiano la loro santità, la loro condizione perfetta, superiore, quasi ormai completamente proiettata in una dimensione altra, sovrannaturale.

Quella del Bambino è cruciforme, per evidenziarne la natura e il futuro, sia di mortale sacrificio cruento ma soprattutto di sfolgorante vita gloriosa ed eterna.


PIETRO RATTO E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO

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Nuova puntata di Senso Comune,  rubrica di approfondimento dedicata alla ricerca del senso perduto della comunicazione nell'odierna società.

Attraverso interviste a intellettuali, scrittori, filosofi, artisti e pensatori, cercheremo di comprendere cosa sta accadendo e come e se sia possibile porre rimedio all'insostenibile inconsistenza del segno, delle parole, dei messaggi e delle immagini che ci circondano e ci bombardano quotidianamente.



Oggi risponde alle nostre domande Pietro Ratto, scrittore, saggista, filosofo, insegnante e musicista italiano. I suoi scritti trattano di storia, filosofia, didattica, scuola e attualità.

Ha scritto vari saggi tra cui "La passeggiata al tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant", "L'Honda anomala. Il rapimento Moro, una lettera anonima e un ispettore con le mani legate", "I Rothschild e gli altri" e "Il Gioco dell'Oca", vincendo anche parecchi premi letterari.

Cura il blog Bosco Ceduo




1) Parole come "matrimonio", "padre e madre", "maschio", "femmina", "uomo", "donna", "sesso", "genere", "razza", "libertà", "vita", "morte", "diritto", "marito", "moglie", "amore", sono nella nostra società in una fase di metamorfosi, in cui il significante e il significato stanno perdendo il solido legame avuto in millenni di civiltà. E' d'accordo con questa affermazione? In tal caso, quali le conseguenze?

In linea di principio io non sono per nulla contrario alle trasformazioni. Ben vengano, anzi.

Naturalmente, però, alla riflessione sulla trasformazione dei significati va associata quella sul significato delle trasformazioni.

È evidente che questi mutamenti semantici costituiscano il riflesso di altrettanti, profondi cambiamenti sociali, e che la riflessione su di essi non possa prescindere dalla domanda intorno al valore e al senso di questi cambiamenti. In altre parole, la nostra valutazione sulla variazione semantica di un segno non può che dipendere dal modo con cui consideriamo e valutiamo il rinnovamento prodottosi nel fenomeno che esso denota.

La questione quindi, così come mi viene posta, mira indirettamente (ma essenzialmente, mi sembra), a chiedermi di esprimere una valutazione sulle grandi trasformazioni sociali e politiche in atto in questo tempo. Temi caldi, molto dibattuti, che attengono a dinamiche complesse come quella delle unioni civili, “dell’ufficializzazione” delle coppie non eterosessuali, dell'immigrazione e della complessità che questo fenomeno comporta, soprattutto in termini di relazioni con la realtà “autoctona", eccetera. Per non parlare di questioni di capitale importanza, come la degenerazione di concetti come quelli di “amore” o di “morte”, di cui in gran parte si è resa - e costantemente si rende - responsabile la sfera dei Mass media.

Dal mio punto di vista, però, valutazioni di questo tipo non possono che esser soggettive. In linea con un'interpretazione heideggeriana, condivido quella nozione di “Valore” che Nietzsche esprime proprio in termini di “punto di vista”, nel senso quindi dell'angolazione da cui si osserva il mondo, della personalissima posizione da cui si mira al bersaglio.

Bisogna rendersi conto, infatti, di come questo sia uno snodo fondamentale della discussione. Il modo con cui viene inteso il concetto di “valore”. È proprio questo il punto. Nell'attribuzione di un valore a una trasformazione, infatti, non può non esser tenuta saldamente e costantemente presente l’ambiguità con cui lo stesso concetto di “valore” viene impiegato.

Semplificando, chiedersi il valore (positivo o negativo che sia) della trasformazione di senso di una parola significa porre la domanda circa il valore della trasformazione relativa al fenomeno che essa stessa denota.

Ma questo domandarsi tira necessariamente in ballo - anzi: più probabilmente implica - il problema della trasformazione (in termini soggettivi, oltre che temporali) del termine stesso “valore”. Con tutta la ricorsività che ciò, drammaticamente e intrigantemente, comporta.

In pratica, la mia risposta cambia radicalmente se considero il concetto di valore un costrutto mentale granitico, universale, che so: addirittura innato, in relazione al quale ogni mutamento, quindi, si traduce in “disvalore” collettivo, o se al contrario lo reputo un “punto di vista relativo” a una certa posizione. Una posizione sociale, culturale, religiosa, politica e via di seguito. Tanto più se, coerentemente con questa seconda opzione, non stabilisco alcuna gerarchia tra le diverse “posizioni”.

Nel primo caso, per esempio, il concetto di “matrimonio” può esser reputato in serio pericolo dalle nuove istanze omosessuali o dalle esigenze di chi reclama pari dignità per le unioni “non ufficializzate". Nel secondo caso si può invece accettare serenamente questa trasformazione senza scandalizzarsi e urlare al “disvalore”. O, addirittura, ricorrere semplicemente a parole diverse senza stabilir priorità di “valore” di una rispetto a un’altra. Soprattutto in termini di diritti.

Personalmente, infatti, lavoro costantemente per uno Stato in cui si verifichi un fenomeno di massimizzazione dei diritti e di minimizzazione dei doveri. In quest'ottica, per quel che mi riguarda, sono disponibilissimo a qualunque trasformazione di significato, qualora ad essa possa corrispondere un incremento di diritti in tutte le direzioni possibili. Molti dei termini che lei elenca, quindi, dal mio punto di vista possono tranquillamente subir delle variazioni, se questo può servire a render le persone più felici.

E proprio qui mi ricollego a quanto prima ho sostenuto circa la “degenerazione” di alcune nozioni fondamentali. Una cosa, infatti, è assistere al cambiamento del concetto di “matrimonio” (che, se ci pensa, non crea nessun problema se non a causa della forte componente confessionale che ad esso è stata sovrapposta), altro è la banalizzazione dell'amore o la spettacolarizzazione della morte.

Atteggiamenti mediatici, questi, estremamente gravi perché, sull'altare di logiche commerciali e di profitto, sacrificano l’approccio profondo ad aspetti essenziali alla comprensione esistenziale di ogni condizione umana.

E, così facendo, tragicamente producono infelicità.





2) Il termine "negro" oggi percepito con accezione fortemente negativa e lesiva della dignità umana, un tempo non molto lontano si trovava sui libri di scuola per descrivere, senza un filo di volontà offensiva, persone di ascendenza africana con la pelle scura, con lo stesso valore referenziale che oggi si darebbe al termine "caucasico". Si tratta secondo lei di un processo temporale fisiologico della lingua o di intromissioni da parte di una sorta di neolingua "politically correct"?

Anche in questo caso, si tratta di una trasformazione lessicale e semantica che ha a che fare con un fenomeno molto delicato.

Personalmente non ho nulla contro le parole in se stesse, perché è vero: non è certo sull'occorrenza di una consonante all'interno di un dato vocabolo che si misura un atteggiamento razzista.

Resta il fatto, però, che se quella “g” può provocar risentimento e senso di discriminazione, se è in grado di far soffrire un uomo, allora non esito un solo istante a eliminarla dal mio vocabolario.

Personalmente, poi, smetterei di parlare di “politically correct” e, più in generale, di politica.

Stiamo imparando a valorizzare troppo la politica e sempre meno la sfera Morale. Ed è proprio con questo trucco che ci stanno sottraendo libertà. Qui, appunto, si tratta di Morale, di rispetto per l'individuo. Di sensibilità.

E, come le dicevo, l'Uomo viene prima della parola. L’Uomo, e i suoi diritti.





3) Ritiene che nella nostra società stiamo assistendo a un progressivo perdersi di senso? In altre parole, quando un termine o un simbolo perde di senso, quando vi è uno scollamento fra significato e significante e i simboli non sono più convenzioni universalmente accettate nella medesima cultura, su quali presupposti può generarsi e basarsi una sana comunicazione e una vera condivisione di ideali e progetti nella società?

La perdita di senso è sotto gli occhi di tutti.

Ma questo smarrimento, come dicevo, è indotto dal clima di generalizzata distrazione prodotto dai media, da una scuola degenere, da una politica corrotta, da un azzeramento della dimensione morale.

Al di là degli aspetti semiotici, quel che conta davvero è ricominciare a domandare, a chiedere. Dobbiamo riprendere a chiederci il senso. Dipende da noi, solo da noi, ricominciare a domandare.

Quella Domanda sul significato, sulla direzione, sul “valore” della nostra vita, non può ottenere altra risposta che da noi stessi. Una risposta individuale, personalissima, assolutamente unica.

Non serve altro. Invertir la rotta. Far silenzio e ripristinare quella meditazione esistenziale che ci identifica in quanto uomini e che costituisce l'unica via per il raggiungimento della nostra realizzazione individuale. Ossia, della nostra Felicità.





4) Gorgia, antico filosofo greco, affermava che "la realtà non esiste; se esistesse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile". Si evoca, in pratica, uno sfasamento tra significato e significante, che implica la creazione di terminologia e iconografia sciolte da ogni vincolo, poliedriche ma incapaci di comunicare, di inviare un messaggio univoco. Pensa che si tratti dello scenario attuale o ritiene che questa sia una preoccupazione infondata?

Come spiego nel mio recente libro BoscoCeduo. La rivoluzione comincia dal Principio, io sono convinto che con quel suo celebre motto Gorgia intenda dire l’opposto. Normalmente viene interpretata come una posizione antitetica all’eleatismo. Gorgia, insomma, sosterrebbe: “Nulla è come l’Essere descritto da Parmenide”, nulla ha quelle proprietà. O, in altre parole: “l’Essere di Parmenide non esiste”.

Ecco. Io credo invece che il grande sofista stia dicendo proprio che il Nulla è. Che è, appunto, quell’Essere, nel senso che l’Essere parmenideo altro non sia che la nullificazione dell’esistenza, di quella dimensione spazio-temporale in continua trasformazione di cui parla Eraclito.

Gorgia, insomma, ci avverte: quell’Essere parmenideo è un Nulla. Infatti non esiste. Come tale, nullifica ogni esistenza. Ma è un Nulla che è l’unico vero “Tutto”.

Perciò, nella sua trascendenza, non può essere oggetto di alcuna comprensione razionale, così come nessuna parola (che, come tale, è sempre e inevitabilmente spazio-temporale) si presta a poterlo descrivere.

Quanto all’esito di questa affermazione, poi, è evidente che quel “nichilismo semantico” che comporta, quell’abbandono passivo alla “morte di Dio” qui ancora intesa soprattutto come distruzione di una “verità” oggettiva di tipo linguistico, semantico e concettuale, molto assomigli al nichilismo esistenziale e allo spaesamento generalizzato che Nietzsche ha così profeticamente annunciato e che Heidegger riassume in quel suo amaro concetto della “Notte più nera”





5) Umberto Eco, parlava di "semiosi illimitata", ovvero la narrazione di un mondo in cui è impossibile comunicare, in quanto, in un processo di costruzione di significato, operato in collaborazione da emittente e da destinatari, ognuno inserisce nel contenitore "testo comunicativo" il senso che preferisce, non quello che effettivamente l'emittente intende comunicare attraverso quel testo. Lei pensa che oggi la comunicazione attuale si sia inserita in questo vicolo cieco?

Sì, certamente.

Avverto profondamente il “dramma” della comunicazione. Soprattutto di quella esistenziale. Ma anche questo problema può venire accolto in modi diametralmente opposti.

Se da un lato, infatti, l’evidente impossibilità di una comunicazione univocamente decifrabile, resa tale da quell’infinità di “angolazioni” esistenziali da cui ogni individuo osserva il mondo, risulta innegabile, dall'altro lato essa si traduce in meravigliosa sfida per confrontarsi, per procedere incessantemente gli uni verso gli altri, in un dialogo costante, in uno scambio ininterrotto di sguardi, di gesti, di parole, caratterizzati da innumerevoli, diversissime e variopinte sfumature personali.

Quelle misteriose e inoggettivabili sfumature che rendono infinitamente affascinante l’obiettivo, socraticamente inarrivabile, della profonda comprensione tra esistenze diverse.

IL COLOSSEO E I SUOI MISTERI

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Quello che è riconosciuto da tutti come simbolo di Roma, è un edificio interessante a causa di vari elementi che sono rimasti misteriosi per secoli.

Innanzitutto il Colosseo, o meglio, l'anfiteatro Flavio, come venne denominato, fu eretto al di sopra  un bacino d'acqua, quello che fu il laghetto della Domus Aurea di Nerone.

Nella zona sottostante l'anfiteatro vi era precedentemente una conca, una depressione che veniva riempita dalle acque del rio Labicano, che scorreva nella zona dell'attuale via Labicana.



Fu grazie a questa particolare caratteristica che fu possibile, attraverso un sistema idraulico di canali, trasformare saltuariamente il monumento in una immensa vasca, circondata dagli spalti, nella quale avvenivano le celebri naumachie, le finte battaglie navali che deliziavano e riempivano di orgoglio gli antichi cittadini di Roma, simbolo  della loro supremazia tecnologica su tutti i popoli a loro contemporanei. Le cavità sotterranee sono rimaste ricolme d'acque sino ai nostri giorni.

L'imperatore Vespasiano fece sostituire, subito dopo la morte del tiranno che lo aveva preceduto, la testa della statua, raffigurante Nerone stesso, con quella del "dio Sole", su cui pose una corona di sette raggi. Tale statua, insieme al nuovo edificio dedicato ai cittadini, voleva essere un simbolo di cambiamento nel governo dell'Urbe e dell'Impero. Per l'influenza del colosso, raffigurante il dio Sole, il Colosseo venne definito a lungo il "Tempio del Sole"



Tanti sono gli elementi misteriosi del Colosseo: innanzitutto il suo nome che non è certo da cosa derivi: c'è chi dice che fu così chiamato nel Medioevo a causa della statua, in bronzo dorato, icona dell’imperatore Nerone, progettata e costruita dallo scultore greco Zenòdoro, nella prima metà del primo secolo dopo Cristo, alta tra i 30 ed i 35 metri e quindi colossale.

Altri affermano tale nome invece che derivi dalla sua posizione, perché sarebbe stato eretto accanto a un colle dove un tempo si trovava un tempio di Iside (da cui Collis Isei).

Altri ancora sostengono che in epoca tarda le rovine dell'anfiteatro furono occupate da sacerdoti di un culto solare, che mostrando l’icona del loro idolo, solevano chiedere: "Colis eum?" che in latino significa "lo adori?"



Di certo c'è che al tempo dei gladiatori, il Colosseo si guadagnò una fama sinistra, fino a essere ritenuto una delle 7 porte dell'inferno.

In questo luogo furono giustiziati o trucidati migliaia di esseri umani, gladiatori, schiavi fuggitivi, condannati a morte. Al termine delle esecuzioni, che si tenevano all'ora di pranzo, entrava nell’arena un personaggio travestito, icona  di Caronte, simbolo della morte, accompagnato da Mercurio, che con la punta arroventata della lancia si assicurava che tutti i condannati fossero davvero morti. Dopo di che li colpiva con il suo martello e li portava via.



La leggenda racconta che si tenessero riti propiziatori, utilizzando lo stesso sangue dei morti nell'arena.

Nel Medioevo, le rovine dell'anfiteatro furono usate per nascondere i cadaveri dei pellegrini aggrediti e derubati e in seguito furono occupate da maghi e streghe che vi raccoglievano le erbe dai poteri magici che crescevano tra le sue rovine. Infatti, è cosa nota che più di 350 specie diverse di piante abbiano popolato le rovine del Colosseo, fra cui vegetali di origine esotica, portate dagli animali che venivano uccisi dai gladiatori durante le venationes e che provenivano da tutto l'Impero.

Le stesse venationes erano simbolo del dominio sul mondo da parte dei Romani, in quanto gli animali da uccidere provenivano dalle più remote regioni dell'Impero.



E' organizzato in 3 cerchi concentrici e 4 ordini sovrapposti. Nei tre ordini inferiori 80 grandi archi, nell'ultimo ordine, 80 riquadri. Nelle arcate erano collocate 80 statue  di bronzo dorato. Al di sopra dell'edificio, 80 vele formavano il Velarium, telo usato per proteggere gli spettatori dai raggi del Sole. L'edificio fu completato nell'80 da Tito, figlio di Vespasiano.

Subì vari crolli a causa di fulmini, nel 217 e nel 250 e di terremoti, non così infrequenti nella città eterna: nel 442, 470, 484, 801, 847, 1349,1703 e 1806, oltre a innumerevoli spoliazioni per costruire altri edifici e luoghi della città.



Ritenuto per secoli luogo simbolo di messe demoniache, di sabba e di sortilegi, tanto che ne fornì una sinistra descrizione anche Benvenuto Cellini, nella sua autobiografia, fu esorcizzato da Benedetto XIV nel 1744, che vi fece costruire le quattordici edicole della Via Crucis, e nel 1749 dichiarò il Colosseo chiesa consacrata a Cristo e ai martiri cristiani.

E' passata alla Storia  la profezia di Beda il Venerabile, del VIII secolo «Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma; cum cadet Colyseus cadet et Roma; cum cadet Roma cadet et mundus» ovvero «Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo» rendendo di fatto sia il monumento che la città, un simbolo di stabilità fino alla sua durata e di apocalisse al momento della sua caduta.

TEX, DYLAN DOG, MARTIN MYSTERE E GLI ALTRI

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Cosa hanno in comune, dal punto di vista semiotico, Tex Willer, Dylan Dog, Martin Mystere e Zagor?

Innanzitutto lo schema delle loro avventure è sempre costruito sul modello attanzialedi Greimas: c'è un soggetto (Tex, Dylan, Martin, o Zagor),
un aiutante (Carson, Groucho, Java o Cico),
un oggetto (scovare il bandito, eliminare il demone, ritrovare un antico manoscritto o proteggere una tribù indiana),

Java, al centro, svolge il ruolo dell'aiutante del modello attanziale

un opponente (i fuorilegge, Xarabas, Gli uomini in nero, il cattivo della situazione),
un mandante (il capitano dell'esercito amico di Tex, la giovane cliente che chiede a Dylan di aiutarla, il buon vecchio Trevis, un capo indiano che chiede aiuto a Zagor)
e un destinatario (innanzitutto i lettori del fumetto, poi di volta in volta coloro che nella vicenda ricevono benefici dall'azione del protagonista).

Dylan Dog è archetipo dell'Orfano e del Mago


Non dimentichiamo inoltre che ognuno di questi eroi del fumetto incarna un particolare archetipo(o più di uno). Tex è guerriero e viandante; Dylan Dog è orfano e mago; Martin Myster è mago e viandante; Zagor è guerriero e viandante.

Dago incontra sul suo cammino solo opponenti

Vi è poi un personaggio dei fumetti un po' anomalo: Dago.

Non ha mandanti, né aiutanti, ma quasi sempre opponenti.

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Gli archetipi che lo riguardano sono quello del guerriero, del viandante e dell'orfano.

L'avreste mai detto che anche un fumetto nascondesse così tanti piccoli trucchi semiotici?

IL GRANDE GIGANTE GENTILE DI SPIELBERG E I TRE QUADRATI SEMIOTICI

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Nell'ultimo film in tecnica mista di Spielberg, il Grande Gigante Gentile, troviamo, fra gli altri, l'uso di un interessante escamotage semio-narrativo per rendere la vicenda più appassionante e coinvolgente per il pubblico, ovvero l'organizzazione della storia in quadrati semiotici.

Steven Spielberg durante le riprese del GGG
La trama del film è la seguente: Sophie è una bambina orfana che vive in un orfanotrofio a Londra.

Una notte viene rapita da un gigante, che la porta nel suo mondo, dove vivono altri giganti.

L'arrivo di Sophie nella terra dei giganti
Questi giganti  sono antropofagi, amano divorare soprattutto bambini.

Il gigante che ha rapito Sophie non è come tutti gli altri: si nutre solo di centrionzoli, disgustosi ortaggi che crescono sulla sua terra, e per di più è gentilissimo e non sviluppato in altezza come gli altri.

Sophie e GGG diventano amici e la bambina aiuta il gigante a creare e portare sogni belli ai bambini che dormono.

Un giorno, però, quando Sophie e GGG scoprono che gli altri giganti hanno intenzione di fare una nuova strage decidono di avvisare con un incubo la Regina d’Inghilterra della prossima minaccia.

GGG a corte
Cosa ha questa storia di così interessante da essere tanto piaciuta ai bambini di tutto il mondo?

È necessario, affinché un qualunque testo abbia una forza dinamica capace di organizzare i propri equilibri endogeni e acquisire una migliore efficacia comunicativa e incisività agli occhi dello spettatore, realizzarlo tenendo conto di una sorta di forza di coesione interna.

In altre parole, occorre costruire una serie di relazioni non solo tra emittente e destinatario, ma anche tra gli elementi che concorrono a comporla, tra i vari personaggi dell’opera stessa. Per fare ciò occorre utilizzare il modello costruttivo relazionale teorizzato da Greimas.

Questo intreccio di rapporti (il quadrato semiotico mette infatti in relazione coppie di concetti presenti nell'opera, opposti e complementari) è voluto e quindi creato dall'autore del testo per mettere in contrapposizione, in relazione complementare, contraddittoria o contraria delle forze.

Serve a rendere più dinamica e avvincente l’opera e di conseguenza a inviarci un messaggio che non viene immediatamente percepito a livello cognitivo ma che viene assimilato implicitamente a livello inconscio.

Nel film GGG abbiamo tre quadrati semiotici.

PRIMO QUADRATO SEMIOTICO
  • buono - gigante gentile
  • cattivo - altri giganti
  • non buono - direttrice orfanotrofio
  • non cattivo - generali che attaccano paese giganti
Un tratto saliente del primo quadrato semiotico: la contrapposizione tra il GGG e gli altri giganti
SECONDO QUADRATO SEMIOTICO
  • gustoso - colazione offerta dalla regina
  • disgustoso - "cetrionzolo"
  • non gustoso - esseri umani divorati dai giganti
  • non disgustoso - "siroppio" dagli effetti imbarazzanti

La gustosa colazione della Regina: un elemento saliente del secondo quadrato semiotico
TERZO QUADRATO SEMIOTICO
  • grande - i giganti cattivi
  • piccolo - Sophie, piccola di altezza e di età
  • non grande - Il Grande Gigante Gentile, che pur essendo gigante, è il più basso della sua specie
  • non piccolo - la regina, che pur non essendo alta, ha molto potere
I giganti cattivi, "protagonisti" del terzo quadrato semiotico
Come sempre la semiotica agisce nel profondo della struttura narrativa e di conseguenza, della psiche umana, per creare testi interessanti e coinvolgenti.


IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA CHRISTMAS

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La prima volta in cui venne usata la parola Christmas fu il 25 dicembre 1038, in una cronaca dell’epoca, in cui fu usata l’espressione “Cristes maessam”, la messa del Cristo, che con il passare del tempo divenne, accorciato, Christmas.

Spesso si usa il termine Xmas, abbreviazione di Christmas, ottenuta sostituendo al termine Christ ("Cristo") una X, variante latina della Χ (χί, chi) greca, a indicare la prima lettera del nome Χριστός (Christós - "Cristo").



Il termine si ritrova già a partire dal XVI secolo nell'antico inglese X'temmas e, prima ancora, nella forma ancora più antica Xres mæsse.

L’espressione Merry Christmas nasce in Regno Unito.

In inglese antico la parola merry significava "piacevole", "allegro" più che "felice".

La prima volta che questa espressione fu usata risale al 1565 ed è contenuta in un manoscritto della cittadina inglese Hereford: «And thus I comytt you to God, who send you a mery Christmas» («Vi raccomando a Dio, che vi mandi un Buon Natale»).


Contribuì alla fortuna del termine anche il primo biglietto di auguri stampato per il Natale del 1843, che conteneva l’espressione "A Merry Christmas and a Happy New Year to You".

STORIA E SIMBOLI DELL'ALBERO DI NATALE

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Oggi è la vigilia di Natale, periodo ricco di significati che spesso si vanno perdendo, sostituiti da nuovi simboli e diversi valori.

Oltre al presepio, uno dei simboli più intensamente natalizi è l'albero addobbato e illuminato, ai cui piedi si posano i doni che verranno distribuiti o alla vigilia o l'indomani, il giorno di Natale.

Quale simbologia si nasconde tra i rami e le decorazioni dell'albero di Natale?

In effetti l'immagine dell'albero come simbolo della vita ha origini molto antiche.



L'abete, sin dall'epoca egizia fu posto in relazione con la nascita del dio di Biblo, in Fenicia, Baal, che era una divinità che simboleggiava il ciclo morte/resurrezione.

I Greci lo consacrarono ad Artemide, protettrice delle nascite ed era ritenuto simbolo della rinascita rappresentata dal nuovo anno.

I Romani usavano decorare le loro case con rami di pino durante i Saturnali, antiche feste pagane che si svolgevano nella seconda metà di dicembre e durante le Calende di gennaio.

I Celti avevano l'abitudine di decorare alcuni alberi sempreverdi durante le celebrazioni relative al solstizio d'inverno.

I Vichinghi tagliavano e portavano a casa alberi di abete, che poi venivano decorati con frutti, evocando ciò che la primavera avrebbe ridato agli alberi. Tutto ciò accadeva nella settimana precedente e successiva al solstizio d'inverno.



Vi è una grande similitudine dell'albero di Natale con l'Yggdrasill , detto anche Irminsul, il pilastro cosmico dalla mitologia nordica, dalle cui foglie scende l’idromele, fonte della vita, simbolo delle acque eterne, e ai cui piedi si radunano gli dei per decidere il destino degli uomini.

La Chiesa delle origini ne vietò l'uso, perché simbolo pagano e lo sostituì con l'agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo.

In seguito però l'albero divenne simbolo di Cristo, “albero della vita (Ap 2,7)”, oltre che di pace e speranza.

Nella Bibbia il simbolo dell'albero è peraltro presente con vari significati: c'è l'Albero della vita posto al centro del paradiso terrestre (Genesi, 2.9), l'Albero di Jesse e la croce di Cristo, vero albero della vita eterna, qui rappresentato  dal dipinto di di Pacino di Bonaguida (1280-1340)



Il simbolo principale dell'albero natalizio è relativo alla rinascita della vita dopo l'inverno e al ritorno della fertilità della natura. Infatti le palline colorate sono icone dei frutti che in inverno mancano ma che torneranno in primavera e in estate.

Nella cultura cristiana, i rami venivano addobbati con candele, la cui luce era metafora di "Cristo luce del mondo". In tale accezione l'albero si mescola spesso con il candelabro, anch'esso ramificato e portatore di luci che sconfiggono le tenebre.

Nel Medioevo si diffuse la tradizione degli "Adam und Eva Spiele" (giochi di Adamo ed Eva) che prevedevano la ricostruzione nelle chiese dello scenario del Paradiso Terrestre,  con alberi di frutta, simboli dell'abbondanza e della rinascita della vita dopo le tenebre e il gelo invernale, allegoria della morte corporale. Tali feste si tenevano proprio il 24 di dicembre, alla vigilia di Natale.



Il primo albero di Natale di cui si abbia notizia in tempi relativamente recenti, nel 1441, è quello nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, a Tallin, in Estonia, in cui giovani uomini e donne ballavano attorno ad un albero per trovare l’anima gemella.

Una cronaca di Brema del 1570 racconta di un albero che veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta.

Una cronaca di Strasburgo, in Alsazia, annota nel 1605: "Per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti, li mettono nelle stanze, li ornano con rose di carta di vari colori, mele, zucchero, oggetti di similoro".

Con "I dolori del giovane Werther" di Goethe l'albero di Natale compare per la prima volta anche nella grande letteratura.

In Italia la prima ad addobbare un albero di Natale fu la regina Margherita, nella seconda metà dell’Ottocento al Quirinale.

Papa Giovanni Paolo II introdusse l’usanza di allestire un grande albero di Natale in piazza San Pietro a Roma.



L'albero di Natale, presente in milioni di abitazioni e di luoghi pubblici, è diventato il simbolo più usato durante le celebrazioni del Natale, riunendo, sotto i suoi rami, gran parte delle culture del mondo, almeno per questo periodo dell'anno.

I SIMBOLI DELLA NATIVITÀ MISTICA DI BOTTICELLI

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Nel giorno di Natale cosa di più appropriato di una Natività?

Il termine Natale deriva dal latino "natalis" aggettivo che si riferisce alla nascita. Quindi il "Dies natalis"è letteralmente "il giorno natale", "il giorno della nascita".

La nascita in questione è quella di Gesù, Figlio di Dio, incarnato.

Una delle opere più significative che ne celebra l'avvenimento è la "Natività mistica", dipinto a tempera su tela di Sandro Botticelli, datato 1501 e conservato nella National Gallery di Londra.



L'opera è interessante perché particolarmente intessuta di simbologia.

L'iconografia è tradizionale: la Sacra Famiglia, in una stalla, circondata da angeli.

Sono però degni di nota i codici prossemici e cromaticiusati nella sacra rappresentazione.



A sinistra un angelo vestito di rosa accompagna i tre re Magi; I Magi sono riconoscibili dalle corone di alloro, simbolo di sapienza. Il colore rosa dell'abito dell'angelo lo fa riconoscere come arcangelo, rappresentando la sua autorità sugli altri spiriti purissimi che lo circondano.

A destra un angelo vestito di bianco, simbolo di purezza, indica il Bambino a due pastori.

Entrambi gli angeli tengono in mano rami d'ulivo, simbolo della pace che il Bimbo divino è venuto a portare agli uomini di buona volontà.



Come al solito il bue e l'asino sono simbolo degli Ebrei e dei Pagani che non sono stati in grado di riconoscere il Cristo appena giunto in Terra, ottusi come due animali.

San Giuseppe accovacciato, con i suoi codici gestuali allude alla sua passività riguardo il concepimento del Figlio di Dio, di cui lui è solo padre putativo.

Il Bambino allarga le braccia per essere accolto dalla Madre, sineddoche dell'umanità per la quale è sceso dal Cielo.



Sopra la tettoia tre angeli indossano una veste bianca, una rossa e una verde, simboli delle tre Virtù teologali, rispettivamente Fede, Carità e Speranza.

Questi tre angeli reggono un libro, probabilmente l'Apocalisse, perché in questa Natività Mistica, il momento della venuta del Cristo Bambino è un modo simbolico di alludere alla Sua Seconda Venuta, la Parusia, quando il mondo finirà e Dio darà all'Umanità "cieli e terra nuova".

L'apocalisse è ulteriormente evocata nel cartiglio in alto in cui la scritta recita, in greco "Questo dipinto, sulla fine dell’anno 1500, durante i torbidi d’Italia, io, Alessandro, dipinsi nel mezzo tempo dopo il tempo, secondo l'XI di san Giovanni nel secondo dolore dell’Apocalisse, nella liberazione di tre anni e mezzo del Diavolo: poi sarà incatenato nel XII e lo vedremo […]come nel presente dipinto".



Il cerchio degli angeli al di sopra della capanna è allegoria della danza della vita, simbolo di rigenerazione spirituale e icona dell'uroboro, mitico serpente che mordendosi la coda forma un cerchio senza inizio né fine e che simboleggia la totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.

Gli angeli danzano recando cartigli e serti d'ulivo, simboli di pace, da cui pendono le corone, simboli della regalità del sovrano dell'universo che in quel momento giace in una mangiatoia.

Sulle loro teste una semisfera dorata è icona delle sfere celesti e simbolo della perfetta dimensione divina da cui giunge il Neonato.

La capanna è circondata da un boschetto in cui gli alberi abbracciano con una linea circolare non interamente chiusa il luogo in cui staziona la Sacra Famiglia, evocando, secondo le categorie eidetiche, l'idea di protezione.



Gli angeli vestiti di verde, bianco e rosso, prosopopee delle tre virtù teologali abbracciano, alla base del dipinto, tre personaggi le cui tempie sono ornate di alloro, icone di uomini letterati, simbolo di arte e cultura che incontrano la virtù, e della completa riconciliazione finale tra umanità e Dio.

In basso, sul terreno alcuni grotteschi diavoli, fuggendo, trafiggendosi coi loro stessi forconi, si infilano nelle profondità della Terra, sprofondando all'Inferno, allegoria della definitiva cacciata del Male, ormai ridotto a caricatura di se stesso, travolto dalla sfolgorante bellezza dell'Era finale di pace ed eterna felicità di cui la Natività diviene lieta anticipazione.


La redazione di Polisemantica augura a tutti voi un Natale sereno.

SANTO STEFANO DI LORENZO LOTTO E I SUOI SIMBOLI

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Il 26 dicembre, giornata di festa e di atmosfera natalizia, è ricordata la figura di Santo Stefano, il primo martire cristiano.

Il suo sacrificio, la sua testimonianza di fede è rappresentata magistralmente ne La Lapidazione di santo Stefano, dipinto a olio su tavola di Lorenzo Lotto, del 1516 circa, conservato nella pinacoteca dell'Accademia Carrara di Bergamo.

In tale opera, ricca di simbologia, vediamo il santo, inginocchiato, al centro.


Accanto a lui un uomo, i cui codici mimeticici suggeriscono che lo stia insultando, regge un'alabarda che, proprio al centro della tela, forma una croce ideale con una verga portata da un individuo riccamente vestito con un abito di foggia orientale.

La verga, simbolo del martirio, non incrocia casualmente l'alabarda. Tale stratagemma è inserito dal Lotto nell'opera per sottolineare che Stefano è pronto a morire in nome di Cristo.



Il santo, riconoscibile dall'aureola, veste di rosso, coloredel sangue, simbolo del martirio che lo attende.

La sua posizione forma una immaginaria linea ascendente diagonale, che secondo i dettami delle categorie eidetiche, evoca l'idea di salita, di crescita, di miglioramento, quello verso il Cielo verso cui il martire è diretto.


Tale concetto è rinforzato dalle numerose alabarde che formano anch'esse varie linee ascendenti diagonali e dalle braccia dei carnefici che stanno per lapidarlo, che mentre credono di distruggerlo, annientarlo, con il loro gesto lo aiutano a raggiungere la dimensione di perfetta felicità il più rapidamente possibile.

Il cane, posto accanto a Stefano, è simbolo di fedeltà, lealtà, quella dimostrata dal santo, con la sua testimonianza di amore fedele nei confronti di Gesù.

Vi sono icone di soldati. I loro codici dell'abbigliamento ci rivelano che sono di luoghi diversi, stranieri.



Nel tempo della pittura della tela, Bergamo era invasa dall'esercito francese, da quello dei Visconti e da quello della Repubblica di Venezia, eserciti stranieri di cui i soldati sono sineddoche.

Il dipinto era dunque anche simbolo del martirio subito dalla popolazione orobica ad opera di molti popoli stranieri.

Santo Stefano diviene quindi anche simbolo del giusto, del pacifico, che è tormentato dal Male, ma che proprio per mezzo dell'ingiustizia subita ascende alla liberazione e alla libertà eterna.

Il suo martirio (in greco significa "testimonianza") è il suggello della sua definitiva vittoria.

MARCELLO VENEZIANI E SENSO COMUNE - ALLA RICERCA DEL SEGNO PERDUTO

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Nuova puntata di Senso Comune, rubrica dedicata alla ricerca del senso perduto della comunicazione nell'odierna società in cui con  interviste a intellettuali, scrittori, filosofi, artisti e pensatori, si cerca di comprendere come e se sia possibile porre rimedio all'insostenibile inconsistenza del segno, delle parole, dei messaggi e delle immagini che ci circondano e ci bombardano quotidianamente.

Oggi offre il suo contributo alla conversazione Marcello Veneziani, scrittore, giornalista e filosofo.



Ha fondato e diretto riviste, ha scritto su vari quotidiani e settimanali fra cui Repubblica, La Stampa, Il Giornale. l'Espresso e Panorama. È stato commentatore della Rai.

Ha scritto diversi saggi fra cui "Di Padre in figlio", "Elogio della Tradizione", "Lettera agli italiani", "Alla luce del Mito" e "Imperdonabili". Cura il blog omonimo.




1) Parole come "matrimonio", "padre e madre", "maschio", "femmina", "uomo", "donna", "sesso", "genere", "razza", "libertà", "vita", "morte", "diritto", "marito", "moglie", "amore", sono nella nostra società in una fase di metamorfosi, in cui il significante e il significato stanno perdendo il solido legame avuto in millenni di civiltà. E' d'accordo con questa affermazione? In tal caso, quali le conseguenze?

E’ in atto una revisione radicale e globale del nostro lessico e in generale dei codici linguistici finora usati, dei loro significati tradizionali, comuni e storicamente consolidati e accettati.

Il politically correct si accanisce in modo particolare sul linguaggio, è una forzatura ideologica correttiva della realtà e di tutto ciò che derivava un significato dalla vita corrente, dalle relazioni storiche e sociali, naturali e culturali.

Vorrebbe essere la premessa per una trasformazione reale della società, ma allo stato attuale ha un significato opposto: non potendo cambiare la realtà si cambiano i nomi per indicarla. La rivoluzione lessicale come risarcimento della fallita o mancata rivoluzione politica, economica, sociale.





2) Il termine "negro" oggi percepito con accezione fortemente negativa e lesiva della dignità umana, un tempo non molto lontano si trovava sui libri di scuola per descrivere, senza un filo di volontà offensiva, persone di ascendenza africana con la pelle scura, con lo stesso valore referenziale che oggi si darebbe al termine "caucasico". Si tratta secondo lei di un processo temporale fisiologico della lingua o di intromissioni da parte di una sorta di neolingua "polically correct”?

E’ la neolingua in azione, col suo principio di negare la realtà e l’evidenza, negare la differenza e la provenienza, e costruire un universo artificiale, forgiato sulla base di un rococò d’ipocrisia e di moralismo ideologico.

Più volte ho sottolineato che negro come zingaro non ha alcuna connotazione spregiativa; era ed è anzi il modo con cui essi stessi preferiscono chiamarsi.

La connotazione negativa è dato dal tono, dal contesto, dalle parole che vi si aggiungono.

Ma vale anche nell’indicare i disabili o i mestieri ingrati.




3) Ritiene che nella nostra società stiamo assistendo a un progressivo perdersi di senso? In altre parole, quando un termine o un simbolo perde di senso, quando vi è uno scollamento fra significato e significante e i simboli non sono più convenzioni universalmente accettate nella medesima cultura, su quali presupposti può generarsi e basarsi una sana comunicazione e una vera condivisione di ideali e progetti nella società?

Nessuna società può reggere alla lunga se si perde il nesso tra significato e significante, se si dice una parola per intenderne un’altra, se si sottopone un nome a una specie di inquisizione ideologica e di depurazione etica; se si separa il mondo delle parole dal mondo reale.

Non bastava la babele multilinguistica e multietnica, la tendenza alla solitudine incomunicante, la tendenza ad abbandonare le lingue nazionali e originarie: se si perverte anche l’uso comune del lessico, ci esprimeremo solo con codici, barre, emoticon, e altri simboli tecno-globali.




4) Gorgia, antico filosofo greco, affermava che "la realtà non esiste; se esistesse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile". Si evoca, in pratica, uno sfasamento tra significato e significante, che implica la creazione di terminologia e iconografia sciolte da ogni vincolo, poliedriche ma incapaci di comunicare, di inviare un messaggio univoco. Pensa che si tratti dello scenario attuale o ritiene che questa sia una preoccupazione infondata?

La preoccupazione, come ho cercato di spiegare finora, è tutt'altro che infondata, il processo non è previsto ma è già in corso. E il suo effetto è la perdita della comunità, della comunicazione attiva, della relazione sociale.

Il paradosso di questa situazione è che la scomparsa della realtà segue alla negazione della verità ma poi curiosamente precede la denuncia e la condanna della diffusione virale di fake news, di post-verità, di falsificazioni soprattutto ad opera dei social.

Non ci si rende conto che se la verità non esiste, la realtà nemmeno, poi la conseguenza è che ognuno si fabbrica una sua realtà e una sua verità, e la fiction prevale sul vero come sul certo. E’ il cattivo uso di Nietzsche, citato fuori contesto, che dice "Non esiste la realtà né la verità ma solo le interpretazioni”, da quelle premesse teoriche le bufale sono le conseguenze inevitabili a livello pop.

Siamo al ritorno sotto altra veste delle superstizioni, le dicerie, le maldicenze, i pettegolezzi.




5) Umberto Eco, parlava di "semiosi illimitata", ovvero la narrazione di un mondo in cui è impossibile comunicare, in quanto, in un processo di costruzione di significato, operato in collaborazione da emittente e da destinatari, ognuno inserisce nel contenitore "testo comunicativo" il senso che preferisce, non quello che effettivamente l'emittente intende comunicare attraverso quel testo. Lei pensa che oggi la comunicazione attuale si sia inserita in questo vicolo cieco?

Quel vicolo cieco ha una precisa matrice: è il relativismo culturale e sullo sfondo il soggettivismo filosofico.

Un processo lungo, secolare, che nella breve storia della nostra epoca potremmo far risalire all’ondata demolitrice del ’68, ai suoi affluenti culturali e artistici, e le sue derivazioni ancora attive.

Se la verità non è il combaciare tra l’intelletto e la realtà, come insegnava un filosofo in origine caro a Eco -  Adaequatio rei et intellectus, dice S.Tommaso d’Aquino - la comunicazione diventa solo frutto del mio stato d’animo, del mio punto di vista, del mio interesse, del mio desiderio.

E’ un vicolo cieco, ma spero che non sia pure a senso unico.

LA NUOVA RAI IN CINQUE DOMANDE: GIANLUCA VACCHIO

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Nuova puntata di "5 domande", serie di interviste a intellettuali, giornalisti, comunicatori e pensatori sul futuro della Rai, sulla sua importanza nella vita sociale e politica e sulla sua influenza sulla percezione della realtà da parte del pubblico di telespettatori.



Risponde alle 5 domande Gianluca Vacchio, giornalista all'agenzia stampa "Il Velino". Cura il blog Lo Specialista, dedicato al mondo dei media.



Cosa promette la Rai che sta nascendo? Si tratta davvero di un cambiamento o stiamo assistendo a una riproposizione, come da gattopardesca memoria, del "che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è"?

Corrado Guzzanti, che mi piacerebbe tornasse a fare un po’ di satira sugli schermi Rai, risponderebbe “La seconda che hai detto”…

Ogni governo ci promette la “Rai del cambiamento”, ma temo proprio che non la vedremo neanche questa volta. La riforma della governance voluta da Matteo Renzi doveva essere più coraggiosa. E nel contratto di governo di Luigi Di Maio e Matteo Salvini (30 capitoli e 57 pagine) all’argomento Rai vengono dedicate quattro righe e mezzo (parecchio generiche) al capitolo 27.

Credo proprio che lo schema di gioco al settimo piano di Viale Mazzini sarà ancora lo stesso. Il governo si sceglie il capo azienda, e il Parlamento gli piazza qualche sentinella alle calcagna. E guardando alle prime nomine ai tg, temo proprio che il nuovo amministratore delegato, Fabrizio Salini, non sarò libero di fare il gioco che preferisce.



L'intrattenimento e le fiction rischiano di alterare la percezione della realtà nel Pubblico o è sufficiente agire sulla veridicità e il pluralismo dell'Informazione, gestendo in modo obiettivo i telegiornali?

Gli italiani non hanno bisogno di format, fiction o tg Rai che alterino la loro percezione della realtà. Sono autodidatti!

Dalle nostre parti, purtroppo, analfabetismo funzionale e ignoranza la fanno da padroni. Il divario tra quello che percepiamo e la realtà dei fatti è enorme: 4 italiani su 5 non distinguono un profilo Facebook o Twitter falso da uno vero; 3 su 5 non riconoscono una fake. E una falsità sui social ha il 70% in più di possibilità di essere condivisa rispetto alla verità.

Alla fine, insomma, non solo percepiamo quello che ci pare ma siamo anche complici della disinformazione e della propaganda. Quello che posso consigliare a chi fa il servizio pubblico è di usare linguaggi semplici e chiari.

Il pubblico al quale si rivolgono (e la cosa riguarda in particolare le nuove generazioni) non legge e non scrive, chatta.



L'aspetto culturale, intendendo con questo termine la divulgazione di sapere relativo all'Arte, alla Storia, alla Letteratura, potrebbe incidere sulla percezione della realtà da parte del Pubblico?

La Rai assolve a questo compito sulle Reti generaliste in particolare con la grande fiction di Rai1 e i documentari di Piero e Alberto Angela. Due generi che a giudicare dal Qualitel, che misura l’indice di gradimento dell’offerta della tv di Stato, riscuotono un discreto successo.

Magari farei a meno di certe fiction giunte alla decima serie e ne implementerei altre che ci raccontano l’arte, la storia e la letteratura del Belpaese. Gli Angela non hanno bisogno dei miei consigli.



Basterà rinnovare i contenuti o occorrerà ripensare il "modus agendi" dei conduttori e presentatori? In altri termini, è possibile influenzare i telespettatori, oltre che con fake news anche con tono di voce, mimica facciale, uso di sinonimi con differente connotazione semantica e altri trucchi del genere?

Non vorrei sembrare disfattista, ma le ricerche ci raccontano uno spettatore dal quale non solo è difficile farsi capire, ma anche farsi semplicemente seguire. Uno spettatore che vuole tutto e subito; ma è distratto e non ha pazienza; allo stesso tempo è esigente e dinamico; si informa su mobile e nei meandri dei social; se accende la tv, si costruisce il suo palinsesto e sempre più spesso lo trova nell’offerta dei big di internet e delle tlc.

È evidente che una Rai che vuole fare servizio pubblico e stare contemporaneamente sul mercato deve scommettere anche sulla formazione dei propri comunicatori. Le parole d’ordine devono essere credibilità, autorevolezza e professionalità. Il tutto declinato con un linguaggio che sappia adattarsi alla piattaforma utilizzata.


Che impronta darebbe alla Rai se fosse lei a poter decidere in modo autonomo?

La prima cosa è recidere il cordone ombelicale che unisce Viale Mazzini e il Palazzo. Se potessi disegnerei una Rai sul modello della “zietta” inglese. La Bbc, intendo, che sa informare, educare ed intrattenere.

Una Rai indipendente, imparziale e autorevole. Ma anche autosufficiente economicamente, con risorse certe e, se necessario, implementate per consentirle di fare investimenti.

Una Rai che rinunci totalmente alla vocazione commerciale (e agli spot) per adottarne una esclusivamente di servizio pubblico.

Una Rai che trasmetta sempre i grandi eventi sportivi, culturali e d’intrattenimento che i cittadini aspettano con trepidazione.

L’audience, dunque, non più come obiettivo ma come naturale conseguenza di una programmazione di qualità. L’informazione poi, andrebbe totalmente ripensata.

Anche qui sul modello inglese, con un’unica newsroom a vocazione digitale, multipiattaforma e operativa 24 ore su 24. E non una manciata di tg in concorrenza tra di loro.

Ma per farlo non basteranno piani editoriali e nuovi direttori. Bisognerà prima abbattere le corporazioni interne a Saxa Rubra...
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