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I SIMBOLI DEL SOGNO DELLE ARMI DI GIOTTO

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Quante volte un sogno può essere premonitore? Lo fu per Francesco Il Sogno delle armi, la terza delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, realizzata da Giotto tra il 1295 e il 1299.

La vicenda, tratta dalla Legenda maior di san Francesco e rappresenta l'episodio della sua vita in cui dopo essersi rimesso da una malattia e avendo donato il proprio mantello a un povero cavaliere, sognò un palazzo pieno d'armi, e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo.



Credendo che Dio gli chiedesse in sogno di combattere per lui, decise di mettersi in viaggio verso le Puglie per arruolarsi come Crociato e combattere in Terrasanta.

Giunto però a Spoleto, un nuovo sogno gli fece capire che non doveva servire il "servo" (l'uomo), bensì il "padrone" (Dio) e lo invitò a tornare ad Assisi per restare "in attesa della volontà divina".


Questo sogno provocò un cambiamento radicale nella vita di Francesco; fu cioè un sogno "memorabile". A sua volta, quel cambiamento individuale svolse, e svolge tuttora, un ruolo importante nella storia della civiltà.

Molata attenzione viene posta alle categorie cromatiche. Il mantello del Santo è giallo, per evocare la percezione di cambiamento, alludendoalla sua vita che stava per mutare completamente, in seguito a questo sogno.

Il cielo è blu, come altri elementi, anche se più chiari, per dare l'idea della calma, tranquillità del riposo di Francesco mentre sogna il suo futuro.

Il palazzo è simbolodi quello che sarà l'ordine francescano, fatto di gerarchie e regole, come un esercito, ma un esercito consacrato alla pace, all'amore, alla carità, alla misericordia.


Le armi sono simbolo del combattimento contro il male, in difesa del bene e delle persone.

La croce è iconadel crocifisso, simbolo di Cristo e della Sua Buona Novella, che annuncia pace, salvezza e perdono.

Vi è una dicotomia nell'affresco, che crea una antitesifra il baldacchino dove riposa Francesco e il Palazzo: sono rispettivamente simboli di concetti quali il presente e il futuro, la realtà e il sogno, la causa e l'effetto, il progetto e la realizzazione.

Interessante la similitudine formale tra il letto ove posa il corpo di Francesco e il portico nella terrazza al primo piano del palazzo, ove sono posate armature con la croce impressa e fra il baldacchino e il palazzo. Così come il baldacchino ospita per il riposo attuale Francesco, l'allegoricoPalazzo ospiterà la sua azione futura.

scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco
Vi è anche una similitudine fra il baldacchino di Francesco e quello della scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco nel registro superiore della basilica.

Interessante notare che non appaiono armi di offesa come spade, lance o mazze, ma solo di difesa, come armature, scudi e vessilli con il segnodi Cristo, a indicare che a Francesco veniva richiesta in sogno, allegoricamente, una ossimoricabattaglia pacifica, uno scontro caritatevole, una difesa agguerrita dei principi, ma priva di violenza, aggressività.

Possibile colorazione originale dell'opera
Le aureole sono simboli di santità. Quella di Gesù è formata anche da raggi di luce che formano una croce, per renderlo immediatamente riconoscibile. I suoi codici gestualisono una muta esortazione ad agire, con funzione conativa, e una indicazione di quello che sarà il futuro per Francesco, se egli lo accetterà, con una chiara funzione referenziale.

La natura allegorica dell'affresco svela anche l'uso della funzione metalinguistica da parte dell'autore.

SIMBOLI DEI VIZI E VIRTÙ UMANE NEL MOSAICO DI OTRANTO

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Uno dei capolavori dell'arte musiva medievale si trova a Otranto.

Il Mosaico della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto ricopre il pavimento delle tre navate ed è opera del monaco Pantaleone, eseguito su commissione del Vescovo di Otranto, fra il 1163 e il 1165.


Elemento unificante e fondante dell'opera è l'Albero della vita, lungo il quale si dipanano vicende umane da un punto di vista spaziale, temporale e simbolico.


Al di sopra del vertice dell'albero della Vita, appaiono le immagini del Peccato originale con  Adamo ed Eva dal giardino dell'Eden e il serpente, simbolo del peccato

All'altezza del presbiterio, immediatamente sopra la narrazione del Peccato Originale appaiono, incorniciate da medaglioni, sedici figure simboliche.


Eccone la spiegazione:

Un Toro, simbolo di ingordigia e violenza, situato accanto ad Eva, dovrebbe simboleggiare la superbia.

Un Behemot, che i Padri della chiesa interpretano come simbolo degli spiriti infernali.
In questo caso, posto da Pantaleone alla destra di Adamo, è simbolo dell'azione del maligno nel cuore del primo uomo.



Un Leviatano che inghiotte una lepre e viene a sua volta assalito da un leone che ne addenta la coda sbilanciandosi sulle zampe posteriori. E' simbolo di Satana, re della superbia. Viene raffigurato con un corno in fronte, con due occhi terrificanti e con una lepre in bocca che può simboleggiare l'uomo, in quanto la velocità della sua corsa intende rappresentare il tentativo di fuggire dal peccato, che non sempre riesce.

Un Dromedario rampante, che, come il cammello, simboleggia l'orgoglio.

Un Elefante con stella a cinque punte.
In generale l'elefante è considerato simbolo di castità e di temperanza. Spesso inserito di fronte all'albero della vita tra raffigurazioni di vegetazione rigogliosa. Si diceva che mentre l'elefantessa partoriva il suo piccolo nell'acqua di una palude, il maschio faceva la guardia per scacciare il drago minaccioso, simbolo del male. La figura dell'elefante è anche un simbolo del battesimo, che salva l'anima dall'inferno.

Una Lonza con volpe insanguinata.
La lonza, simbolo di lussuria (la ritroviamo anche nella Divina Commedia) assalta la volpe, simbolo di astuzia, rappresentando la supremazia della lussuria nei confronti dell'astuzia.

Un'Antilope, che nei bestiari medievali simboleggiava il peccatore intrappolato nei suoi vizi come accade all'antilope, le cui corna si impigliano nei rami bassi degli alberi.

Un Centauro, un Cervo ferito.
Il centauro è simbolo delle passioni sfrenate, della forza bruta, della vendetta e del male attacca un Cervo, simbolo di Cristo. Ad Otranto Pantaleone nell'animale raffigura la lotta antitetica tra  Cristo e Satana, tra il Bene e il Male.


Un Unicorno (affiancato dall'immagine di Pantaleone).
L'unicorno rappresenta Cristo Salvatore. Nel Physiologus, piccola opera redatta  tra il II e il IV secolo d.C. che contiene  descrizioni simboliche di animali e piante che rimandano a significati relativi alle realtà celesti o al comportamento umano, si legge: "Così anche nostro Signore Gesù Cristo, come unicorno spirituale, scende nell'utero di una vergine, attraverso la sua carne ed è catturato dai Giudei".


La Regina di Saba.
La sovrana, di pelle nera, amata da re Salomone fu simbolo medievale prediletto dagli alchimisti. Antiche leggende islamiche narrano che la sovrana aveva un piede d’asino. In Francia il piede asinino divenne una zampa d’oca, come spesso appare sui portali delle cattedrali gotiche francesi. Il segno dell’oca è raffigurato graficamente da una Y con una terza asta nel mezzo e simbolizza la superiorità dello spirito sulla materia.

Questa Y era la rappresentazione schematica dell’arbor vitae, l’Yggdrasil, albero cosmico di origine nordica che univa il cielo con la terra.

Re Salomone.
Era simbolo criptico di Melchisedec, antico personaggio biblico che sarebbe stato il più grande dei sacerdoti, il cui nome nasceva dall'unione di due parole ebraiche: meh'-lek (Re) tsaw-dak (Giustizia), elementi che caratterizzarono anche il grande sovrano d'Israele.


Una sirena che stringe le sue due code.
La sirena è un mostro mitologico, simbolo della voluttà e dell'avarizia.

Un Leopardo e un Ariete.

In questo tondo appare il monogramma PASCA che compone un acrostico: P = Pardus (Leopardo); A = Alatus (Alato = figura di Alessandro); S = sternit (abbatte); C = Cornutum (cornuto); A = Arietem (ariete = Dario il persiano). Infatti nella ruota è rappresentato un leopardo che avvinghia l'ariete.

Fra alcuni medaglioni sono anche presenti figure animali, fra cui un asino (o meglio, onagro).

Simboleggia l'orgoglio, Satana, gli eretici e gli idolatri.

LA SIMBOLOGIA DELLO SCORPIONE NELL'ARTE E NELLA STORIA

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I segni zodiacali hanno sovente dato luogo a varie simbologie, generate sin dagli albori della Storia e poi interpretate dall'Arte in vari capolavori.

Fra i vari esempi abbiamo quello del segno dello Scorpione, che riguarda il periodo compreso tra il 23 ottobre e il 22 novembre, simbolo intrigante di concetti spesso in antitesi, come morte e vita eterna, distruzione e rigenerazione, guerra e fecondità.


Lo ritroviamo nei rilievi del Portale dello Zodiaco nella Sacra di San Michele, in cui è unito alla Bilancia che tiene con le chele e su uno degli estradossi della cattedrale di Chartres. In tali casi il simbolo è riferito unicamente alla costellazione collegata al mese corrispondente, durante l'anno, cioè ottobre, e ai lavori condotti dal popolo in tale periodo.


Appare, con la medesima valenza semantica, anche nel Mosaico di Otranto in cui appare come un animale nero che fugge la luce, (il nero è simbolo del demonio) pur evocando il periodo della festa di Ognissanti e dei Defunti. La scena è accompagnata dall'indicazione del mese (No/ve[m]/ber). La collocazione di questa fase del lavoro agricolo nel mese di novembre è specifico di Otranto. Altri cicli dei mesi, infatti, assegnano questa attività al mese di ottobre.


La sua iconaè presente su un bordo del sepolcro nel Trionfo della Morte affrescato da Giacomo Borlone de Buschis nell'Oratorio dei Disciplini a Clusone, in cui è chiaro il suo significato originario di simbolo di morte.



Beato Angelico lo dipinse sulle uniformi dei soldati dell'Andata al Calvario (Armadio degli Argenti; Museo Nazionale di San Marco, Firenze), quale simbolo dell'antigiudaismo, inteso come nemico del Cattolicesimo in quanto fu a causa dei Giudei che venne condannato a morte Gesù.

Crocifissione di Giovanni Boccati 
La medesima simbologia la si trova nella Crocifissione di Bernardo Luini in Santa Maria degli Angeli a Lugano o nella Crocifissione di Giovanni Boccati del XV secolo.

La dualità dello scorpione si manifesta attraverso le diverse culture, che lo associano alla dea madre, la babilonese dea della guerra e fertilità Ishtar, che diviene la fenicia Astarte, si trasforma nell'egiziana Iside divinità che poi, perdendo un po' la carica letale, si addolcisce nel piacere e nella fecondità, nella greca Afrodite e nella romana Venere.


Gli antichi Egizi erano inoltre convinti che il simbolo dello scorpione rappresentasse il male, e nello stesso tempo, con la testa dello scorpione si raffigurava la dea, patrona della morte Selket.

Per gli egizi era indubbio che la morte altro non fosse che una porta verso la vita eterna e per questo lo scorpione, nelle vesti di Selket, guardiana della trasmigrazione delle anime, assunse il significato di vita dopo la morte. Selket proteggeva inoltre i vasi canopi e i vari riti del processo di mummificazione, procedura indispensabile, per gli egizi, per accedere alla transizione dalla vita mortale a quella immortale.

Nel libro di Ezechiele vengono indicati con il nome di questo animale coloro che sono nemici della parola di Dio . Lo scorpione diviene, nel popolo ebraico, simbolo di colui che sfida con la parola il Verbo divino, che discute il dogma e che mina la legge dei Profeti.


Narra una leggenda della mitologia greca che la dea Artemide fu offesa da Orione e aizzò un grande scorpione affinché uccidesse con il suo veleno il gigante Orione. La dea, in segno di riconoscenza, trasformò lo scorpione in una costellazione e poiché anche il gigante fu trasformato in costellazione da Zeus, da allora e per sempre Orione è costretto a sfuggire, nei cieli, allo Scorpione che lo insegue, inteso come simbolo di vendetta.

Questo animale, nel cristianesimo, fu considerato come simbolo del tradimento e identificato con Giuda. Era inoltre simbolo di eresia, odio e invidia.

Nel Medioevo, come ricorda  l'apologeta Tertulliano nello Scorpiace, lo scorpione simboleggia l'eretico, colui che con la sua lingua velenosa insinua dubbi e maldicenze, avvelenando la comunità cristiana con dispute ed apostasie.


Molto diverso il significato del simbolo dello scorpione in mano a una giovane, prosopopea della dialettica, per esprimere il potere talvolta pungente e velenoso delle parole, arma letale di combattimento nell'opera "Giovane introdotto alle arti liberali", affresco di Sandro Botticelli, databile al 1486 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi

LE FUNZIONI DI PROPP

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Il linguista e antropologo russo Vladimir Jakovlevič Propp, nella sua opera "Morfologia della fiaba" identificò 31 funzioni, note anche come Sequenze di Propp, che compongono ogni racconto.

Ogni funzione rappresenta una situazione tipica nello svolgimento della trama di una fiaba, riferendosi in particolare ai personaggi e ai loro precisi ruoli (ad es.  l'eroe o l'antagonista).

Ciò che caratterizza lo svolgimento della trama è l'azione che il protagonista compie e non le sue caratteristiche fisiche.

Vladimir Propp

Nell'analisi di Propp non è importante chi è il personaggio, drago, fanciulla o principe, ma  quello che fa.

Le funzioni seguono un ordine prestabilito e variano dall'Allontanamento al Divieto (funzioni 1 e 2), passando per Funzione del donatore e Reazione dell'Eroe (funzioni 12 e 13) per arrivare, via via alla Punizione e al Matrimonio o Incoronazione (funzioni 30 e 31).



Tali funzioni si ritrovano usate, consapevolmente o meno, in tutti i più famosi racconti e l'utilizzo di tale schema aiuta a costruire una vicenda, una trama, una pubblicità, una qualunque narrazione, che risulti più coinvolgente e "logica" nella mente dei nostri destinatari, quindi più efficace nella trasmissione del messaggio che vogliamo inviare.

Ecco l'elenco delle funzioni


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1. Allontanamento


2. Divieto


3. Infrazione


4. Ricognizione


5. Ottenimento


6. Raggiro


7. Connivenza


8. Danneggiamento o Mancanza


9. Mediazione


10. Consenso


11. Partenza


12. Funzione del donatore


13. Reazione dell'eroe


14. Fornitura dell'oggetto magico


15. Trasferimento


16. Lotta


17. Marchiatura


18. Vittoria


19. Rimozione


20. Ritorno


21. Persecuzione


22. Salvataggio


23. Arrivo in incognito


24. Pretese infondate


25. Prova


26. Superamento


27. Identificazione

28. Smascheramento


29. Trasfigurazione


30. Punizione


31. Matrimonio o Incoronazione


LA SIMBOLOGIA DEI PIANETI NEL MANOSCRITTO DE SPHAERA

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Da sempre gli artisti hanno rappresentato le relazioni esistenti tra pianeti, stelle, costellazioni e comportamenti e attitudini umane.

Sovente tali rappresentazioni sono state arricchite da una fitta simbologia.

Uno di tali esempi è il De Sphaera, un manoscritto miniato su pergamena, per la corte di Milano, da Cristoforo de Predis, raffinato artista di scuola lombarda, nel 1470.

E' attualmente conservato presso la Biblioteca Estense di Modena.

L'opera nasce quale commentario al trattato medioevale De Sphaera Mundi di Giovanni Sacrobosco.



Il capolavoro giunse a Ferrara probabilmente come parte della dote di Anna Sforza, prima moglie di Alfonso d’Este.

L'opera è composta da quindici illustrazioni miniate e nove disegni astronomici.

Il contenuto è di 16 carte o folii per un totale di 32 pagine.Vengono descritti eclissi, maree, costellazioni e aspetti dei pianeti.

La parte artisticamente interessante che andiamo ad analizzare è quella in cui appaiono le personificazioni (dette anche prosopopee) dei sette pianeti dell'astrologia allora conosciuti, accompagnati dai segni zodiacali corrispondenti alle attività umane che essi governano:



Saturno

Appare la prosopopea del mese, incarnato nell'archetipo della divinità greco-romana.

Porta la falce, simbolo dell'agricoltura che secondo la leggenda il dio insegnò agli uomini, e un bastone su cui appoggiarsi, poiché era zoppo. Le gambe appaiono legate con bende di lana, che in occasione dei Saturnali, nell'antica Roma, venivano sciolte, in segno di libertà e ritorno all'Età dell'Oro.

Governa i segni del Capricorno ed dell'Aquario

La scena che si svolge ai piedi del pianeta, esplicata dal testo in volgare, rappresenta il comportamento violento delle persone influenzate da Saturno.



Giove

La prosopopea del pianeta rappresenta un giovane con la faretra e le frecce, simbolo delle tempeste, dei lampi inviati da Giove e con un bastone del comando, uno scettro, simbolo del potere del capo degli dei.

Pesci e Sagittario sono i due segni zodiacali governati dal pianeta.

Ai piedi di Giove appaiono i commercianti, che insieme ai sapienti, i medici, i filosofi sono influenzati dal pianeta, intenti nelle loro attività.



Marte

Un soldato con armatura, spada e vessillo, simbolo di guerra, è la prosopopea di Marte, pianeta che governa i segni dell'Ariete e dello Scorpione.

Ai suoi piedi scene di battaglia.


Sole

Un vecchio canuto con la corona, lo scettro e un libro, simboli di potere e saggezza è la prosopopea della nostra stella, che anticamente era creduta un pianeta.

Il Sole governa il segno del Leone e influenza il comportamento e le attività di coloro che aspirano alla gloria, all'onore e alla grandezza. Ai suoi piedi scene di allenamento e addestramento.



Venere

Una giovane bellissima che si ammira in uno specchio, simbolo di vanità e porta un mazzo di fiori, simbolo di rigenerazione, fecondità, primavera è la prosopopea del pianeta e icona della figura archetipica della divinità, Afrodite, conosciuta dai romani come Venere.

Il pianeta governa i segni del Toro e della Bilancia.

Ai suoi piedi scena bucoliche di innamorati che conversano, suonano e danzano.



Mercurio

Uno splendido giovane uomo, che porta in mano il caduceo, simbolo di prosperità e di pace e attributo dei messaggeri, come il dio Mercurio, è prosopopea del pianeta. Nell'altra mano tiene un sacco pieno, simbolo di abbondanza.

Governa i segni di Gemelli e Vergine e influenza gli oratori e gli uomini d'ingegno.

Ai suoi piedi appaiono scene di lavoro nei campi, che alludono al lavoro e alla prosperità che esso porta.


Luna

Una fanciulla porta in mano una torcia e un corno, simboli della illuminazione che tale corpo celeste dona alla terra, durante la notte, e delle fasi lunari, in cui appare di forma arcuata.

Governa il segno del Cancro.

Ai suoi piedi appare il mare pieno di naviganti che sono aiutati nella loro attività dalla Luna, che ha il dominio sulle maree.

Ogni pianeta è inserito all'interno di una linea circolare, sia per evocare il "cielo" della volta celeste in cui era inserito, sia, tenendo conto delle categorie eidetiche, per sottolineare, con la circolarità, il senso di appartenenza, di stretta relazione, tra il pianeta, i segni zodiacali che ne subiscono l'influenza e i comportamenti e attività umane collegate.


È interessante la similitudine tra questo manoscritto e l'iconografia degli affreschi del Salone dei Mesi di palazzo Schifanoia a Ferrara, di cui abbiamo scritto in questo articolo.

I pochi versi letterari, le cui miniature sono in scrittura semigotica libraria, sono attribuiti a Francesco Filelfo. Eccone il testo.

Saturno huomini tardi et rei produce
Rubbaduri et buxiardi et assasini
Villani et vili et senza alchuna luce
Pastori et zoppi et simili meschini.

Benigno e Jove e de virtu pianeta
Produce mathematici e doctori
Theologi et gran savij ne divieta
Alchuna gentil cosa o grandi honori.

Il bellicoso Marte sempre infiama
Li animi alteri al guerreggiare et sforza
Hor questo hor quello ne satia sua brama
In l'acquistar ma piu sempre rinforza.

Il Sole ad honor l'uhomo et gloria sprona
Et d'ogni leggiadria si dilecta
Di sapienza porta la corona
et di religion produce secta.

La gratiosa Vener dil suo ardore
Accende i cuor gentili onde in cantare
Et danze et vaghe feste per amore
L'induce col suave vagheggiare.

Mercurio di ragion lucida stella
Produce d'eloquenza gran fontana
Subtili ingiegni et chiaschun'arte bella
Et e nemico d'ogni cosa vana.

La Luna al navigar molto conforta
Et in peschare et ucellare et caccia
A tuti i suoi figliuoli apre la porta
Et anche al sollazzare che ad altri piaccia.

IL CODICE SEGRETO DEI DEMONI NELL'ARTE

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L'arte ha da sempre utilizzato una ricca e complessa simbologia nel raffigurare il demonio.

Anche innocui animaletti sono nel tempo diventati simbolo del diavolo, come il cervo volante, che troviamo in Georg Flegel (Natura morta con pesce e cervo volante, 1635), in cui è antitetico al pane, al vino e al pesce, simbolo di Gesù, figlio di Dio.

Georg Flegel, Natura morta con pesce e cervo volante, 1635
Il cervo volante è presente anche nel dipinto di Albrecht Dürer (Cervo volante del 1505).

Albrecht Dürer, Cervo volante, 1505
Si voleva rappresentare in questo modo la nera presenza del  Maligno, così diffusa da inquinare ogni angolo di mondo.

Celebre poi la rappresentazione del demonio come serpente, in riferimento alla tentazione di Eva nel Giardino dell'Eden.

Il serpente bronzeo nella milanese basilica di san'Ambrogio

Viene poi rappresentato con la coda, le orecchie animali, la barba caprina, gli artigli e le zampe da capro, icona di un satiro greco o latino, per simboleggiare la deformità spirituale della natura umana e angelica dovuta al peccato.

Papa Silvestro II e il diavolo, in una pagina miniata del 1460
Altro innocuo animale simbolo del demonio è il gatto, che spesso appare ai piedi del traditore Giuda nelle scene dell'Ultima Cena.

Il gatto fa capolino in basso a destra ne L'Ultima Cena di Jacopo Bassano del 1542
Vi sono poi il forcone, la croce invertita, il numero 666, il pavone e il simbolo di astaroth.

Un comune ciondolo con il simbolo di astaroth lo si trova facilmente in vendita su Alibaba

Nell'iconografia sacra il diavolo viene rappresentato come un'iperbole dell'orrore, delle bruttezza, della deformità, spesso usando elementi uniti per accumulazione (ghigno, corna, zampe di capra, coda, enorme fallo, ali da pipistrello, fauci acuminate.

I celebri diavoli che assalgono le anime dannate nel Giudizio Universale di Luca Signorelli, 1499-1502

Il termine "diavolo" deriva dal latino diabŏlus, traduzione del greco Διάβολος, diábolos, ("dividere", "colui che divide", "calunniatore", "accusatore")

L'ebraico Satan significa "avversario", "nemico", "colui che si oppone", "accusatore in giudizio", "contraddittore".

Lucifero è invece il nome latino dell'angelo caduto, colui che era il principe di tutte le gerarchie angeliche, il più bello, splendente e intelligente, che poi tradì il suo Creatore ribellandosi a Lui.

San Michele sconfigge Satana, opera di Raffaello e Giulio Romano, del 1518 
Il suo nome in latino significa "portatore di luce". Il profeta Isaia scrisse di lui: "Tu, portatore di luce, figlio dell'aurora, perché sei caduto dal cielo?"

Secondo le parole di San Giovanni: "Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno".

VERTUMNO E POMONA, DIVINITÀ DEL CAMBIAMENTO E DELLA RIGENERAZIONE

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Vertumno e Pomona sono due divinità romane.

Vertumno, di origine etrusca era chiamato anche Veltuna. Era la personificazione (o prosopopea) del mutamento delle stagioni e poteva trasformarsi. Il suo stesso nome deriva da verbo latino vertere, cioè mutare, cambiare, girare.

Arcimboldo, L'imperatore Rodolfo II in veste di Vertumno (1591), Skoklosters slott di Stoccolma
Ovidio  nelle sue Metamorfosi, narrò la storia d'amore tra Vertumno e Pomona, la dea romana dei frutti.



In tale mito Vertumno si trasformò in una vecchia per poter avvicinare la dea Pomona.

Conquistò la sua fiducia, ammirò la sua bellezza e quella del suo giardino e osservò un forte e maestoso olmo avvolto da uno splendido e rigoglioso tralcio di vite.

Francesco Melzi - Vertumno e Pomona (1518/22) Berlino, Gemäldegalerie
L'anziana donna disse alla ragazza che la vite, se non si fosse allacciata all'albero sarebbe rimasta per terra, afflosciata e il tronco dell'albero, senza l'abbraccio della vite sarebbe stato spoglio, senza poter vantare alcuna bellezza.

L'olmo era simbolodi Vertumno, la vite di Pomona.

Con tale allegoriaVertumno intendeva spiegare alla giovane, restia a concedersi a chiunque, che se avesse accettato di unirsi in giuste nozze con un degno giovane, tale unione avrebbe beneficato sia lei che il suo sposo, donando bellezza, gioia e prosperità a entrambi.

Camille Claudel, Museo Rodin, Parigi, 1905
A questo punto si trasformò in se stesso e Pomona, vedendo la bellezza sfolgorante del giovane dio fu sedotta dal suo aspetto e dalle parole dette poco prima, e così si unì a lui.

Vertumno e Pomona di Luca Giordano (1682–1683), collezione privata
Tale unione, metaforadei cambi di stagione che generano sempre nuovi frutti, diversi in ogni periodo dell'anno, ma anche di ogni rinnovamento che genera cambiamenti positivi nella vita delle persone,  fu celebrata in numerosi dipinti a partire dal Rinascimento.

LA SIMBOLOGIA DEL CALCIO

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In questa era di globalizzazione si tendono a perdere gli elementi fondanti delle varie identità sociali e civili, cadono nell'oblio i simboli di unificazione che creano i popoli, le tradizioni, gli usi e i costumi, dimenticando, insieme ai segni, anche le proprie radici.

Però, anche se in pochi ormai, ricordano colore e stemma delle città italiane, quasi tutti sono in grado di riconoscere l'identità di una squadra di calcio vedendone colori e stemma.

Gli stemmi delle squadre di calcio di Genova sono più riconoscibili rispetto a quello della città 
Insomma, pare che ormai, uno dei pochi elementi unificatori, stratificato nella memoria collettiva, sia il calcio, che è molto più che un gioco, è una sorta di liturgia, con codici che rimandano alla simbologia araldica, a sua volta custode delle credenze, tradizioni e culture antiche dei popoli.

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In pratica accade che il calcio sia divenuto elemento unificatore di un gruppo sociale, sostituendosi a quelli che erano gli antichi simboli di aggregazione.

Se in pochi al giorno d'oggi sentono afflato per la propria bandiera nazionale, sono in molti ad amare appassionatamente i colori e lo stemma della squadra del cuore.

Ormai è d'obbligo il minuto di silenzio dei commentatori per l'inno della Champions League
Addirittura l'inno delle squadre (quello della squadra di casa, ma anche l'inno della Champions League o del Campionato) diventa parte integrante della liturgia calcistica, anch'esso elemento sacralizzante e unificante di un preciso gruppo sociale, che è appunto quello dei tifosi.


LA CATTEDRALE DI NOTRE DAME DE PARIS, CALEMBOUR SIMBOLICO

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Un testo è una successione coerente e ordinata di concetti tra due punti della comunicazione.

Da questo punto di vista Notre Dame a Parigi è un testo plastico ricco di simbologia e polisemantico, ovvero con molteplici significati.

Vista nel suo insieme la facciata occidentale, affiancata dalle torri campanarie gemelle, è metafora della lettera H.

Nell'alfabeto ebraico la hêt (H) è composta graficamente dall'unione di altre due lettere, una wâw e una zaîn, unite da un piccolo ponte. La prima allude al collegamento tra terra e cielo mentre la seconda simboleggia la sovranità divina sul mondo fenomenico.

È inoltre l'iniziale della parola hayìm (vita) e di Havvà (Eva). Allude quindi all'idea della madre, e per i credenti la Madre per eccellenza è Maria, madre di Dio.

Questo codice architettonicoè un prototipo che si allaccia all'archetipo della Madre e verrà stereotipato da altre chiese costruite a partire dal XIII secolo dedicate al culto mariano.

A Notre Dame le icone inviano un messaggio, i simboli un altro
L'intera cattedrale, pur essendo com'è ovvio un testo religioso, dedicato a illustrare iconicamente la vita e la figura di Maria e di altre identità sacre, oltre che del demonio, è anche un testo con ulteriori significati cabalistici e alchemici.

Quindi, le icone hanno un significato, ma i simboli rimandano ad altro.

Un esempio di tale polisemia lo si trova sulla misteriosa dedica del transetto sud in cui appare la scritta:

«Anno Domini MCCLVII mense Februario idus secondo hoc fui inceptum Christis genitus honore kallensi lathomo vivente Johanne Magistra.»

La traduzione letterale di questo motto è la seguente:

«Nell'anno del Signore 1257, il secondo giorno delle idi di Febbraio, quest'edificio è stato dedicato alla Madre di Gesù Cristo da Mastro Giovanni, il cavapietre di Chelles.»

Applicando la cabala fonetica, nota agli ermetismi, secondo lettore modello, oltre ai fedeli della Chiesa, si scopre un testo nascosto.

Notre Dame è stata creduta per secoli un testo per iniziati al'alchimia
La parola "anno" designa l'anello o il cerchio metallico, emblema del Sole. La parola "Domini" lo indica dominante, alto sull'orizzonte.

Le lettere "MC" sono acronimo di Medium Coeli. "CLVII"è la coniugazione del verbo cluere, che può essere tradotto  "esaltare, essere illustre, brillare".

"Mense" oltre a essere tradotto con "mese"è anche derivazione da mensio, "pesare, misurare". "Februario" oltre a tradurre il mese di Febbraio, indica l'azione di purificare. "Idus" non significa solo Idi, cioè il 15 di ogni mese, ma potrebbe essere una storpiatura del verbo "iduo", che potrebbe significare "separazione".

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Così, di traduzione in traduzione, attraverso il ricorso allafunzione metalinguistica, si ottiene infine un possibile altro senso alla iscrizione:

«A mezzogiorno pesa e misura (la materia prima). Purifica e separa. Consacra il crogiolo generatore, libera con prudenza lo spirito imprigionato nella materia. Vivificalo con il fuoco e (tramite lui) giungi alla Grande Natura.»

Una lettura polisemantica delle raffigurazioni della cattedrale
Forse tale traduzione, un calembour, nata dall'applicazione della cabala fonetica è eccessivamente di parte, ma per secoli fu tenuta in considerazione da generazioni di alchimisti che videro nella casa di Dio dedicata a Sua Madre, un testo iniziatico, comprensibile pienamente solo agli adepti.

Il calembour è un termine preso a prestito dalla lingua francese che indica un particolare gioco di parole, basato sull'omofonia di parole che si scrivono in maniera identica o simile ma hanno significato diverso.

LA PREGHIERA DI SAN DAMIANO, ICONA DEL PARADOSSO

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Continua il nostro viaggio alla scoperta dei significati delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto.

La Preghiera in San Damiano o Miracolo del Crocifisso è la quarta scena. Fu dipinta tra il 1295 e il 1299

San Francesco è rappresentato in preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano entro la chiesetta diroccata nei pressi di Assisi, alla quale sono crollati una parte del muro e della copertura del soffitto.



L'episodio è tratto dalla Legenda Aurea e ricorda il momento in cui Gesù parlò materializzandosi nel crocifisso e invitò Francesco a riparare la Sua Chiesa, in rovina.

I codici dell'abbigliamento ci indicano che Francesco non ha ancora abbracciato la vita monastica, ma è ancora nella fase giovanile in cui stava per cambiare tutta la sua esistenza.

I codici gestuali e mimetici ci raccontano la sua sorpresa al momento del miracolo, avvenuto durante la preghiera nella chiesetta abbandonata di san Damiano.

La chiesa, che appare in rovina, è icona di come doveva essere il luogo di culto abbandonato al momento del miracolo ed è metafora della Chiesa intesa come assemblea ecumenica dei fedeli, che era in quel periodo storico in rovina e aveva bisogno di un riformatore che la riportasse alla purezza delle origini. Quindi necessitava di un ossimorico rinnovamento verso la tradizione, di una origine rinnovata.

La croce è icona stilizzata, non strettamente fedele all'originale, attualmente appesa nella basilica di Santa Chiara ad Assisi. I francescani curano questa croce come simbolo della loro missione datagli da Dio.


Il Crocifisso di San Damiano
Gesù è rappresentato contemporaneamente ferito e forte, con un paradosso.

Egli non è morto, i codici gestuali ce lo mostrano dritto e risoluto. Si tratta del Christus triumphans (che trionfa sulla morte), e la sua aureola include già l'immagine della croce glorificata, simbolo della Sua resurrezione e quindi della Sua gloria immortale, nel corpo e nello spirito.



I codici prossemici ci mostrano Francesco al centro della scena, in basso, con il Crocifisso che è più in alto di lui, ma non lo sovrasta maestosamente, ma anzi gli è vicino, indicando un colloquio in cui il Creatore si accosta alla creatura, cercando una relazione con essa, quasi che vi fosse una parità tra di loro, evocando il concetto dell'Uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio.

UN MONDO A COLORI

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Si legge che i colori complementari sono colori opposti tra loro. Il complemento di ogni colore primario è un colore secondario. Infatti il complemento del giallo è il violetto, il complemento del rosso è il verde ed il complemento dell'azzurro è l'arancione.

Ma opposti in che senso?


Esiste quella è definita Ruota dei colori, in cui i colori diametralmente opposti sono denominati colori complementari sottrattivi. (YRB)

Ci sono poi le ruote dei colori complementari additivi (RGB).



In pratica viviamo immersi in due sistemi, uno naturale, percettivo, intuitivo e l'altro convenzionale, artistico.

Complementari naturali sono rosso e ciano e si basano sulla sintesi additiva.

Complementari artistici sono rosso e verde e funzionano con la sintesi sottrattiva.

Sommando le luci complementari additive gialla e blu (intendendo con blu l'indaco di Newton) si arriva ad ottenere un colore chiaro, fino ad un bianco abbagliante, mentre mescolando due pigmenti colorati (con colori ad olio, acquarelli, pastelli, ecc...) giallo e blu/indaco si ottiene un colore scuro.

Il motivo è che, quando si ha a che fare con i pigmenti il loro mescolamento produce risultati che sono regolati dalla legge della cosiddetta sintesi sottrattiva.



In pratica se ognuno dei due colori del miscuglio filtra (cioè attenua o elimina) delle componenti della luce incidente e riflette la rimanente, col mescolamento queste capacità assorbenti (sottrattive) si sommano tra loro facendo sì che alla fine la luce riflessa dal miscuglio (e quindi il colore percepito) sia data dalle componenti residue che restano dopo le due sottrazioni.

In pratica ogni pigmento può assorbire delle componenti di luce che l'altro riflette, per cui l'esito di un mescolamento è sempre un colore che è più scuro del più luminoso dei due di partenza.

L'uso dei colori complementari produce inconsciamente una sensazione di contrasto, di dinamismo.



Tale percezione la si ottiene in modo artistico usando la sintesi sottrattiva, attraverso l'uso di verde e rosso, e in modo naturale, quando osserviamo la luce rossa e ciano accostate.



Il bianco, è unione di colori, totalità, creazione divina, e si crea per sintesi additiva

Il nero è assenza di colori, costruzione umana, e paradossalmente si produce per sintesi sottrattiva.

Ogni aggiunta di pennellata di colore sottrae una particolare gradazione di luce, sino all'annullamento della radiazione.

Quindi, partendo da una tela bianca, l'artista agisce per sottrazione di energia cromatica.

Invece dal nulla assoluto, nero e buio, il "fiat lux" creatore di luce bianca, fu inevitabilmente creatore anche di tutti i colori.



Ogni colore produce una emozione.

L'attimo della creazione, come raccontato nella Bibbia, coincide con l'esistenza di emozioni e percezioni.

Non sono gli occhi a vedere, ma il cervello. L'occhio è solo uno strumento di acquisizione di radiazioni luminose.



Il cervello "vede" e interpreta forme e colori, tonalità e livello saturazione.

Che certezza possiamo avere che ognuno di noi veda i colori esattamente come gli altri individui?

La composizione organica di ogni cervello umano deriva da ciascun originale e inimitabile DNA, e fa sì che ogni cervello sia unico, come unica è la percezione del mondo di ogni individuo.



I bambini vedono in modo più saturo i colori. Vivere in un ambiente caldo, saturo, influenza la percezione e il comportamento: si tende probabilmente a essere più teneri, affettuosi, di buon umore, pieni di speranza e fiducia.

Il cervello di molti individui invecchia rapidamente dal punto di vista percettivo, e senza rendersene conto, anno per anno, tendono a vedere l'ambiente meno saturo, quindi più grigio, triste, freddo e questa variazione potrebbe influire con la loro percezione della realtà nel suo insieme e con il personale comportamento.



L'essere umano è immerso nei colori. Non ne può percepire alcune gamme di radiazioni, come infrarosso e ultravioletto, che sono invece evidenti per molti animali, come gatti e insetti.

Abbiamo una visione policroma, a differenza per esempio di cani e tori, che percepiscono il mondo in bianco e nero o con minime variazioni cromatiche, tanto che i cani sono incapaci di percepire la differenza tra due palle colorate, una in verde e l'altra in rosso.

Molti di noi si curano con la cromoterapia.

Non si può escludere quindi che i colori e soprattutto la loro percezione, siano determinanti per la salute mentale di ciascun individuo.


L'ALLEGORIA DEL CATTIVO GOVERNO DI AMBROGIO LORENZETTI

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Da sempre i popoli hanno avuto governanti che hanno donato loro prosperità e benessere, quando erano animati da buoni propositi e si interessavano del bene comune, o che hanno inflitto dolore, tasse esagerate e inique, guerre, povertà, quando erano spinti da biechi interessi personali, familiari o di parte.

Un artista che ha rappresentato simbolicamente il Cattivo Governo, è stato Ambrogio Lorenzetti, con un'opera densa di elementi allegorici e simbolici, di grande effetto e bellezza.

L'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governoè un ciclo di affreschi eseguiti da questo genio della pittura medievale, conservato nel Palazzo Pubblico di Siena e databile al 1338-1339.

Gli affreschi si trovano nella Sala del Consiglio dei Nove, detta anche Sala della Pace.



Furono commissionati dal Governo della Città di Siena, che in quegli anni era governata da nove cittadini, che rimanevano in carica un periodo di tempo limitato, per lasciare poi il posto ad altri nove.

Al centro siede in trono la prosopopea della Tirannide, mostro deforme con corna e zanne,



Ai suoi piedi vediamo una capra nerasimbolo del demonio e del male, in antitesi con l'icona della lupa che allatta i gemelli, che appare nell'affresco dirimpetto, l'Allegoria del Buon Governo. Nel caso della lupa allattante, l'icona oltre a essere simbolo di Siena, lo era anche della civiltà, dell'ordine, del rispetto delle regole. La capra rappresenta invece, il male, il disordine, il disprezzo per l'organizzazione pacifica statale.


In cielo, sopra il capo dell'orrenda Tirannide, volano le prosopopee dell'Avaritia (termine latino traducibile in italiano con avidità), della Superbia e della Vanagloria.



L'Avaritia ha in mano un uncino, simbolo di predazione, di furto dei beni altrui da parte dello Stato, e due borse con le aperture strette, simbolo dell'accaparramento dei beni che poi non vengono ridistribuiti per il bene comune, ma incamerati dallo Stato e resi infruttuosi.

La Superbia porta con sé una spada, simbolo di aggressione, di guerra e un giogo, simbolo di oppressione del popolo.

La Vanagloria porta uno specchio, simbolo di vanità dei governanti che invece di pensare al bene comune si auto-elogiano, e una fronda secca, simbolo sia di volubilità, di indecisione, ma anche di vana infruttuosità, di inutile orgoglio.



Accanto alla Tirannide  si trovano poi la Crudeltà, che mostra un serpente ad un neonato, simbolo della perversione dei governanti che terrorizzano il proprio popolo che false notizie che alimentano la paura, per poterlo meglio angariare.

Vi è poi il Tradimento, con un agnellino con la coda di scorpione, simbolo di falsità, di doppio gioco, di ipocrisia dei governanti che si mostrano al popolo miti e benevoli ma in realtà ambiscono solo al potere e sono disposti a tutto, anche alla rovina collettiva, pur di mantenerlo.

Si continua con la prosopopea della Frode che ha le ali e i piedi artigliati, simbolo di predazione e distruzione, ma che a prima vista sembrerebbe una bella e pacifica donna.



Segue la prosopopea del Furore, bestia chimerica con testa di cinghiale, torso di uomo, corpo di cavallo e coda di cane, simbolo di ira scellerata più che bestiale, che i governanti cattivi nutrono nel proprio cuore e scatenano, per i propri interessi, senza considerare ragionevolmente quale possa essere la soluzione migliore per i popoli che governano e i beni che amministrano. Ha un pugnale appuntito in mano, simbolo di aggressività e distruzione.

La prosopopea della Divisione imbraccia una sega, simbolo appunto della divisione e discordia che i cattivi governanti producono nella società che amministrano, della creazione di contrasti e quindi di prevaricazioni e disordini tra i cittadini. La Discordia indossa una veste a bande bianche e nere verticali per simboleggiare il sovvertimento di quello che era il Buon Governo senese, rappresentato dal simbolo della balzana con bande bianca e nera orizzontali. Il fatto che usi la sega, implica un'antitesi con la pialla, simbolo di livellazione di contrasti e asperità che era usata dalla Concordia, nell'allegoria del Buon Governo.

Infine troviamo la prosopopea della Guerra, con spada e scudo, simboli di combattimento e la veste nera, simbolo di morte e lutto.



Ai piedi della Tirannide la Giustizia, imprigionata, legata con una corda, stesa piangente per terra e con i piatti della bilancia rovesciati, simbolo dell'impossibilità di operare rettamente, simbolo dell'ingiustizia.

Accanto alla Giustizia imprigionata appaiono i cittadini che subiscono gli effetti nefasti del malgoverno e anche coloro che se ne rendono complici.

Questa sezione dell'affresco è purtroppo molto rovinata ed è difficile individuare gli elementi rappresentati e coglierne il significato.



Si intravedono due individui che si contendono un neonato con la violenza, strappandoselo di mano e rischiando di provocarne la morte, probabile rivisitazione negativa che allude antiteticamente alla saggia decisione del re Salomone, che salvò il bimbo che le due madri si contendevano.

Si vedono anche altri individui che lasciano con le mani mozze due cadaveri a terra, probabile allusione alle rozze leggi della faida o del guidrigildo dei barbari, o del taglio delle mani per i ladri, secondo leggi non conformi al diritto romano, giustinianeo e delle civiltà che organizzano lo Stato sulla base delle leggi derivate da Roma, simbolo di ordinata amministrazione giudiziaria.

Altre scene sono troppo lacunose per poter essere interpretate.



La stessa tonalità dei colori, scuri, inviano allo spettatore una sensazione di disarmonia, e i tetri edifici che bloccano la visuale, di oppressione.

L'intero affresco, con le personificazioni delle varie sfaccettature del Male, è antitetico a quello del Buon Governo, che esalta i concetti positivi e il benessere del popolo, grazie alla presenza delle virtù cardinali, della Pace e della Magnanimità.

L'ALLEGORIA DEL BUON GOVERNO DI AMBROGIO LORENZETTI

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Dopo la simbologia presente nell'affresco di Ambrogio Lorenzetti, l'Allegoria del Cattivo Governo, ecco i significati che sono celati nel magnifico e antitetico Buon Governo, anch'esso, naturalmente, nella Sala della Pace di Siena.

L'affresco si articola in due gruppi allegorici con una dicotomia orizzontale e in tre registri teologico/simbolici con una dicotomia verticale.

I due gruppi allegorici sono rappresentati dalla Sapienza e i suoi aiutanti e dal Buon Governo e le sue virtù.

I tre registri teologico/simbolici sono:


  • quello superiore con le componenti divine (Sapienza Divina e Virtù Teologali), 
  • quello intermedio con le Istituzioni cittadine (la Giustizia, il Comune, le Virtù non teologali), 
  • quello inferiore con cittadini ed esercito, il popolo insomma, fruitore e costruttore delle istituzioni.

Il primo gruppoallegorico è formato dalla Sapienza divina, dalla Giustizia e dalla Concordia, posizionati in climax discendente a partire dall'alto.


La Sapienza Divina, con una corona, simbolo di dominio, alata, simbolo della sua superiorità trascendente e con un libro in mano, simbolo di imperscrutabile eterna e immutabile saggezza dovuta alla conoscenza onnisciente del tutto, regge una bilancia, simbolo di giustizia, rettitudine, ordine e imparzialità.



Sui due piatti sono posti gli angeli, messaggeri ed esecutori della volontà di Dio, che amministrano i due rami della giustizia, come insegna Aristotele, ovvero quella che si occupa di premiare e punire, detta distributiva e quella che si occupa dell'equità, detta commutativa.

Vediamo infatti il primo angelo che decapita un uomo e ne incorona un altro, simboli del male punito e del merito premiato, mentre il secondo angelo consegna a due mercanti uno staio per misurare il grano e la "canna" e il "passetto", per la misura delle lunghezze, per stoffe e tessuti, simboli di onesti scambi.

La Giustizia si limita ad amministrare la bilancia che è però retta dalla Sapienza Divina. La simbologia è evidente: la Giustizia umana non è sufficiente a raggiungere l'equità senza affidarsi alla Sapienza di Dio.



Seduta, sotto la Giustizia, appare una giovane, prosopopea della Concordia, che è legata a due corde che promanano dai piatti della bilancia, simbolo di giustizia, e del fatto che la concordia di un popolo dipende dal fatto che la giustizia regni.

La Concordia ha in grembo una pialla, simbolo della sua capacità di limare le asperità e le contraddizioni, ottenendo uguaglianza di diritti e doveri tra i cittadini e livellando gli eventuali contrasti.

Alla medesima corda si aggrappano i ventiquattro cittadini a fianco della Concordia, icone dei funzionari senesi che devono applicare la legge e che, per svolgere bene il proprio compito, senza creare danno con errate o partigiane interpretazioni della legge, devono reggersi alla corda che li unisce alla Giustizia e tramite lei alla Sapienza Divina, altrimenti emetteranno sentenze inique e dannose per il buon andamento della vita sociale.

Nel secondo gruppo allegorico, un anziano notabile è circondato da giovani belle e austere donne.



Il nobile vecchio altero, la barba bianca e con il copricapo di pelliccia di vaio simbolo dei giudici di quel tempo, è la prosopopea del Buon Governo, che indossa una veste bianca e nera che rimanda per similitudine alla balzana di Siena.



La balzana, in araldica, è uno scudo troncato di due smalti pieni, d’argento e di colore oppure il gonfalone, lo stendardo, o la bandiera che a Siena è divisa orizzontalmente in due parti, la superiore argento o bianca e l'inferiore nera.

Indossando i colori simbolo di Siena, il vecchio giudice è anche personificazione del Comune di Siena, e in generale, del bene comune.

Impugna uno scettro, simbolo del potere ed uno scudo con l'immagine della Vergine col Bambino, simbolo di protezione celeste dovuta al fatto che il Buon Governo è al servizio della Sapienza divina.

Al suo polso destro è legata la corda che lo collega alla Giustizia, simbolo del fatto che il bene comune, il Buon Governo, è legato indissolubilmente alla giustizia.


Ai sui piedi vi è la lupa che allatta i gemelli, fondatori della città secondo la leggenda. Attorno al capo, invece, appaiono quattro lettere, CSCV, acronimo di  Civitas Senensis Civitas Virginis , vale a dire Città di Siena, Città della Vergine o forse Commune Senarum Civitas Virginis, cioè Comune di Siena, città della Vergine.

Sul suo capo volteggiano tre giovani munite di ali, prosopopee delle Fede, della Carità e della Speranza, le tre virtù teologali.



La Fede abbraccia la Croce, simbolo di Gesù Cristo e del suo sacrificio fatto per la salvezza degli uomini e per permettere loro di tornare, dopo l'effimera morte corporale, a godere della vita immortale e felice che tutti avrebbero avuto se non fosse stato commesso il Peccato Originale e l'Uomo non fosse stato contaminato dal virus della caducità e della dissoluzione.

La Carità tiene in una mano un cuore ardente, simbolo dell'amore e della cura disinteressata per chiunque, e nell'altra una lancia, simbolo della necessità di pungolare i cuori induriti dall'egoismo per spingerli a produrre energia positiva.

La Speranza guarda assorta un volto che emerge dalla nuvole, sineddoche della persona del Cristo. I codici mimetici e gestuali della Speranza, sono simbolo del suo completo abbandono al Figlio di Dio, certa nel suo aiuto e nel futuro migliore.

Ai lati dello scranno si cui siede il Buon Governo, sono assise altre Virtù, quali sue consigliere: Pace, Fortezza, Prudenza da una parte e Magnanimità, Temperanza e Giustizia dall'altra.

Ciascuna delle donne, prosopopee delle relative virtù, portano in mano oggetti simbolici e indossano una corona, simbolo del loro potere sui cittadini e i governanti ispirati dalla Sapienza Divina.



La Pace, reggendo un ramo di ulivo e indossando una corona di ulivo, simbolo della sua signoria di tale felice condizione dei popoli, sta mollemente e tranquillamente adagiata, con calma e senza alcun pensiero. I suoi codici mimetici e gestuali sono simbolo dello stato di quiete e tranquillità che i popoli vivono quando non sono afflitti da guerre e distruzione.

La Fortezza, impugna la mazza e lo scudo, simboli di combattimento spirituale contro le debolezze della carne e dell'anima, e di difesa contro le tentazioni.

La Prudenza regge in mano una lampada a olio con tre fiammelle che rappresentano il passato, il presente e il futuro (significato reso esplicito dalle lettere nel cartiglio) che simboleggiano il fatto che il comportamento prudente vive il presente imparando la passato e considerando le conseguenze future dei propri comportamenti.



La Magnanimità regge in mano una corona, simbolo di onorificenza e tiene in grembo un vassoio colmo di pietre preziose, simbolo di ricchezze. Le une e le altre vengono elargite con animo generoso a quanti collaborano per il benessere comune e si prodigano per il Buon Governo del popolo.

La Temperanza osserva la clessidra che regge nella mano, simbolo di tempo ben speso, di moderata fruizione. Si tratta di una similitudine tra il moderato e continuo scorrere dei granelli di sabbia che rendono efficace lo strumento per misurare il tempo e la moderazione nel godimento degli attimi e dei piaceri che rendono giusta l'esistenza e i comportamenti. Il fatto che la Magnanimità e la Prudenza siedano vicine, allude alla necessità di discernere prudentemente nell'offrire onorificenze e ricchezze solo a quanti le meritano.

Infine la virtù della Giustizia che impugna una spada a doppio taglio, una figura simmetrica, che simboleggia l'idea di armonia e ordine che si allarga dal piano giuridico a quello cosmico e metafisico, i concetti di equilibrio ed equità e il fatto che la giustizia si traduce in un dovere e in un diritto. Accanto un capo mozzato, allude al potere della giustizia sulla vita (e la morte) dei cittadini.



Nella sezione inferiore dell'affresco da una parte c'è il popolo di Siena, con i suoi notabili, giudici, avvocati, riconoscibili dai codici dell'abbigliamento e dall'altra i nemici della città, catturati e imprigionati dall'esercito in arme senese.

Un'opera meravigliosa nella sua complessa semplicità, per la sua simbologia e la sua raffinatezza artistica, monito perenne delle caratteristiche e conseguenze delle decisioni dei governanti del mondo.

L'ISOLA DEI MORTI, METAFORA DELL'INACCESSIBILITÀ

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L'isola dei morti (in tedesco, Die Toteninsel) è il più noto dipinto del pittore simbolista svizzero Arnold Böcklin.

L'opera affascinò personaggi come Sigmund Freud, Lenin, Georges Clemenceau, Salvador Dalí e Gabriele D'Annunzio. Adolf Hitler ne possedeva una versione originale, acquistata nel 1933.

Esistono cinque versioni successive della celebre opera.

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Si tratta dell'iconadi un isolotto roccioso, allegoria del regno dei morti, sopra una distesa di acqua scura, metafora del dolore per la separazione.

Una piccola barca a remi, simbolodel trapasso, condotta da un personaggio a poppa, si sta avvicinando all'isola. Lo si presuppone, visto il leggero movimento delle onde. La barca in movimento è la metafora del trapasso, del viaggio dell'anima nell'aldilà.

La bianca icona di un morto con il simbolo della morte
A prua ci sono una figura vestita interamente di bianco, icona di un morto, ed una bara bianca ornata di festoni, simbolo della morte.

L'isolotto è dominato da un bosco fitto di cipressi, indice di un cimitero e simboli del lutto, circondato da rupi scoscese, metafora dell'inaccessibilità per i vivi del regno dei morti.

Le rupi scoscese, metafora dell'inaccessibilità
Nella roccia sono presenti quelli che sembrano essere portali sepolcrali.

Il dipinto ha una connotazionedi desolazione immersa in un'atmosfera misteriosa ed ipnotica.

Pare quasi di avvertire il silenzio che regna sovrano in questo luogo, indice di assenza di vita.

Tutte le opere del grande artista simbolista in questa bellissima virtual gallery.

SIMBOLOGIA E ANTITESI DEI SUPPLIZI NELL'INFERNO DI TADDEO DI BARTOLO

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Taddeo di Bartolo affrescò nel 1393, nella controfacciata della Collegiata di San Gimignano, un Giudizio Universale il cui Inferno appare ancora oggi meraviglioso e temibile, sublime nel suo tormento angoscioso.

La simbologia alla base della narrazione delle pene inflitte ai peccatori è densa e suggestiva.



I sette peccati capitali sono suddivisi in tre registri orizzontali, in un climax ascendente, dal basso verso l'alto.

Nella fascia inferiore sono sottoposti a supplizio gli accidiosi, ovvero i pigri, coloro che hanno sciupato il tempo donato loro durante l'esistenza terrena, e gli iracondi.



Gli accidiosi, ora che vorrebbero agire, muoversi, fuggire, prendere finalmente una decisione per cambiare la propria condizione, sono condannati a subire senza poter reagire, immobili, inerti, le angherie dei demoni che li tormentano senza posa, per l'eternità. I codici mimetici e gestuali dei dannati sono indice della loro sudditanza fisica e psicologica al male e alle sue conseguenze e simbolo della sapiente Giustizia Divina che li colpisce per similitudine con il peccato che è costato loro la felicità eterna.



Gli iracondi sono invece puniti per antitesi. Infatti, tanto sono stati pronti nella vita a reagire in modo iperbolico alle contrarietà, scatenando la propria aggressività contro gli altri e contro se stessi, ora, per l'eternità sono costretti a subire, immobili, le sevizie dei demoni. Il suicida, che ha volto la sua ira contro il suo corpo, è adesso costretto a subire, impotente, l'aggressione dell'orrendo demone, che lo induce a pugnalarsi, in un attimo perpetuo di orrore. Così gli altri dannati vengono violentati, torturati, stuprati, infierendo senza pietà contro di loro che, inermi, possono solo subire e soffrire.

I demoni torturatori sono tinti di nero o colori scuri, simbolo del male, con corna e zampe artigliate, simbolo di bestialità ottusa e malvagia, e impugnano armi o strumenti atti a colpire, simbolo di malvagia aggressione e dolore inferto ai malcapitati.

Nella fascia mediana sono inseriti i dannati che si macchiarono dei peccati della carne. Questo registro è suddiviso in tre gruppi allegorici, dedicati alla gola, all'avidità (denominata in latino avaritia) e alla lussuria.



La prima pena, quella dei golosi, è antitetica al peccato commesso: una tavola riccamente imbandita, simbolo di esagerato desiderio di cibo, è mostrata ai ghiottoni che la bramano ma non possono raggiungerla per divorare il lauto banchetto, come facevano in vita. Numerosi demoni sogghignanti, obbligandoli a guardare le pietanze e annusarne i profumi, li bloccano, ghermendoli alle spalle. La pena allude al tormento di Tantalo, figura mitologica condannata al medesimo supplizio per aver rubato agli dei il nettare e l'ambrosia. Il ventre gonfio e molle dei dannati è indice della loro ingorda mania di ingurgitare cibo, deturpando in tal modo, oltre la propria anima, anche il proprio corpo, ingrassato oscenamente a dismisura e non più armonioso come progettato dal Divino Artefice. La loro obesità è simbolo di disordine, di esagerazione.



Nel secondo gruppo, quello centrale, viene punita l’avidità.

Per similitudine l’avido strozzino che ha soffocato per soldi, con interessi abnormi, la vita degli altri, cui aveva prestato denaro, è adesso strangolato con la corda che regge la sua scarsella di monete, simbolo del suo peccato.

Un secondo usuraio è condannato a ingozzarsi del medesimo sterco del diavolo, simbolo del denaro che tanto ha desiderato e inseguito per tutta la vita,disposto a tutto per possederlo, e per similitudine, così come voleva accaparrarselo e tenerlo nelle sue bisacce, adesso è costretto a ingoiarlo senza posa, rendendo se stesso una enorme oscena bisaccia di quel metallo che credeva tanto prezioso e che adesso è solo troppo pesante.

Un avido mugnaio, che ha rubato durante la sua esistenza parte della farina prodotta dal grano che era tenuto a macinare per i suoi clienti, è adesso, ridotto a uno scheletro, da pingue che era durante la vita.

Viene ingozzato dai diavoli della farina che ha rubato per tutta la vita, ma stavolta non può più ingrassare: come dice il detto, "la farina del diavolo va tutta in crusca". Sulle sue spalle porta il peso dei suoi peccati, simboleggiato dal sacco pesante di farina.


Un altro usuraio è legato a un palo, immobilizzato e pugnalato come lui, durante la vita, ha immobilizzato la vita e ferito l'esistenza, metaforicamente, delle persone che avevano difficoltà a restituire gli esosi interessi del debito.



Nel terzo gruppo allegorico sono puniti i lussuriosi, coloro che hanno abusato del proprio corpo e di quello degli altri, dimenticando che esso era il Tempio dello Spirito e che per questo meritava rispetto.

Qui sono puniti il sodomita, l'adultera e il ruffiano

Il sodomita viene impalato su uno spiedo che termina in bocca al suo amante, evidente allusione alla pratica omosessuale che viene punita con una pena in similitudine al peccato contro natura commesso.

L'adultera che non ha avuto scrupolo a offrire il proprio corpo a uso e consumo di quanti volessero e che non l'ha conservato casto nella fecondità del matrimonio, viene ora palpeggiata e molestata sessualmente da un lubrico e orrido demone che lei detesta e teme.

Il ruffiano che per compenso o interesse personale, ha agevolato amori disonesti di altri, viene frustato insieme alla sua complice, probabilmente una seduttrice. La fustigazione era la pena stabilita per i ruffiani da alcuni statuti comunali.



Infine, nel terzo registro, quello più in alto, appare Lucifero circondato da superbi e invidiosi, che si sono macchiati del suo medesimo peccato contro Dio.

Il principe dei demoni appare rappresentato come trifauce, come in altri capolavori infernali e come appare nella Divina Commedia di Dante, defeca un superbo, stritola altri due dannati e artiglia personaggi noti nei Vangeli o dalla Bibbia per la loro manifesta malvagità quali  Simon Mago, Nerone, Averroè, Massenzio, Nabucodonosor, il Faraone, Erode e Caino.



Nel gruppo della superbia vediamo il bestemmiatore che viene tranciato da una sega, simbolo della lacerazione che ogni bestemmia genera nell'anima che nasce sacra e che viene quindi smembrata da se stessa da ogni parola blasfema indirizzata al suo Creatore.

La peccatrice vanagloriosa si compiace allo specchio, simbolo di vanità mentre un demone, icona di un'arpia, le defeca sulla testa, codice gestuale simbolo di disprezzo.



Nel gruppo dell'invidia un calunniatore che ha dato falsa testimonianza è ricoperto di scorpioni, simbolo di malvagità e costretto a ingoiare un liquido bollente, pena dovuta all'uso smodato e malvagio che ha fatto della sua voce quando era in vita.

Vi sono poi altri due dannati impiccati, per i piedi e per la lingua e un invidioso è sventrato dai demoni che fanno scempio sul suo corpo, per similitudine  allo scempio fatto sulle vite di coloro che invidiava e di cui il dannato ha provocato la rovina.

Possiamo notare che tutta l'opera si ispira alle pene infernali che ritroviamo nella Divina Commedia e che esse si esplicano o per antitesi (per contrappasso direbbe Dante) o per similitudine ai peccati commessi durante la breve ma rovinosa parentesi terrena degli ospiti di Satana.



LA QUADRATURA DELLA POETICA DI LUCHINO VISCONTI

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Qual è stata una delle chiavi di scrittura (e di lettura) della filmografia di Luchino Visconti? Una, senza dubbio, la dicotomia fra il mondo aristocratico, da cui lui proveniva, e quello popolare, che tanto intensamente ha raccontato in molte sue opere.

Ludwig occupa la sua posizione nel mondo aristocratico, anche nel quadrato semiotico
I suoi appassionanti personaggi, da Ludwig a Rocco e i suoi fratelli, dal principe di Salina a Sandra e Gianni, vivono, amano, si tormentano sempre nell'equilibrio delle forze semantiche in gioco.

Il principe Salina e la sua famiglia stanno  nel settore aristocratico

I suoi film, da Bellissima a La Terra trema, da Senso a Lo straniero, trovano tra loro un equilibrio narrativo, contribuendo ad arricchire la poetica di Luchino Visconti e a regalarci opere senza tempo.

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Come, sinteticamente, raccontare quindi le dinamiche di complementarietà, contraddizione e contrarietà che animano i suoi capolavori se non con unquadrato semiotico?



Ecco dunque il quadrato semiotico della filmografia di un grande artista che tanto ha lasciato al mondo della cultura.

IL GATTOPARDO DI LUCHINO VISCONTI

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Era il 27 Marzo del 1963 quando a Roma, al cinema Barberini, veniva proiettato per la prima volta “Il Gattopardo” di Luchino Visconti.

« Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra. » dice il Principe Salina, interpretato dal grandissimo Burt Lancaster quando deve definire chi è e di che genia fa parte.




La figura del protagonista del film, il Gattopardo, si ispira ed è icona di quella del bisnonno dell'autore del
libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che fu un importante astronomo e che nella finzione letteraria diventa il Principe Fabrizio Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia (a Palermo e nel feudo agrigentino di Donnafugata ossia Palma di Montechiaro e Santa Margherita di Belice in provincia di Agrigento).

Il film è metafora di una società feudale in declino, quella dei Borbone, al momento dell'ascesa di Garibaldi e del Regno d'Italia.



Nel 1860 la classe dei nobili è ormai è prossima alla fine della propria superiorità e sono i borghesi la nuova classe sociale in ascesa.

Il Principe Fabrizio Salina, simbolo di tale nobiltà siciliana, osserva con malinconia e distacco il declino della sua classe, pur pensando in cuor suo che "occorre che tutto cambi affinché tutto rimanga così com'è".

Le situazioni resteranno invariate, cambieranno solo gli interpreti.



Il film è allegoria do ogni cambiamento, di ogni rivoluzione, in cui cambiano i potenti, cambiano i padroni, ma non le dinamiche sociali e quelli che subiscono sono e saranno sempre gli stessi.




OSSESSIONE DI LUCHINO VISCONTI E LA METAFORA DELLA PASSIONE

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Ossessione è un film del 1943 diretto da Luchino Visconti, liberamente ispirato al romanzo Il postino suona sempre due volte di James M. Cain. Molti studiosi associano convenzionalmente a questo film la nascita del filone neorealista del cinema italiano.

I personaggi principali sono il vagabondo Gino Costa e Giovanna, moglie di Giuseppe, proprietario dello spaccio.

Gino diviene l'amante di Giovanna ed entrambi uccidono Giuseppe. Braccati dalla polizia, fuggono in auto e in un incidente Giovanna, incinta di Gino, muore. Gino viene arrestato.

Nel capolavoro di Visconti troviamo numerose strutture semionarrative.

Gino, archetipo dell'Innocente e dell'Orfano
Gino è archetipo del viandante e dell'innocente che si trasforma, alla fine del film, nell'orfano.

Il modello attanziale alla base è :
soggetto (Giovanna),
oggetto (essere libera),
opponente (Giuseppe),
aiutante (Gino),
destinante (Visconti),
destinatario (pubblico).

Giuseppe, il Non prigioniero del quadrato semiotico
Altro personaggio interessante è "lo spagnolo", icona dell'omosessuale costretto a vivere in epoca fascista, del proletario, e del vagabondo, simbolo della libertà e della vita anticonvenzionale.

Grazie allo spagnolo si forma il seguentequadrato semiotico:

libero (spagnolo),
prigioniero (Gino, prigioniero del senso di colpa e poi arrestato),
non libero (Giovanna),
non prigioniero (Giuseppe, quando era vivo).

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Il film è metafora della passione, allegoria della condizione di vita di chi rinuncia alla libertà perché cede alle passioni, sineddoche della vita di provincia degli anni '40 in Italia e gioco di antitesi fra i concetti di schiavitù e libertà, di speranza in un futuro migliore e di disperazione.

ROCCO E I SUOI FRATELLI DI LUCHINO VISCONTI: L'INFERENZA DELL'EMIGRAZIONE

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"Rocco e i suoi fratelli"è un film del 1960 diretto da Luchino Visconti e ispirato al romanzo "Il ponte della Ghisolfa" di Giovanni Testori.

Un capolavoro, quindi strutturato narrativamente di conseguenza.

Luchino Visconti durante le riprese di Rocco e i suoi fratelli
Il film si basa sull'antitesi dei due fratelli, Rocco e Simone, entrambi vittime del nuovo modello consumistico tanto lontano da quello naturale e delle relazioni umane da cui entrambi provengono,

Rocco è però ingenuo e pronto a sacrificarsi, mentre Simone è brutale e deciso a ottenere tutto e subito

Da tale dualismo nascono una serie di quadrati semiotici, i più importanti dei quali sono quelli basati sui termini contrapposti mite/brutale e ingenuo/smaliziato:
  • Mite - Luca, il fratello minore, è il più buono della famiglia
  • Brutale - Simone, che vuole ottenere tutto, anche con la violenza e la propria prostituzione
  • Non Mite - la madre, che nasconde la sua avidità e il suo desiderio di vedere i figli primeggiare anche a costo di accusare sempre gli altri per le loro mancanze
  • Non brutale - Rocco, che è costretto a combattere per provvedere a Simone, cercare di redimerlo, mantenere la famiglia
Una scena rappresentativa del dualismo all'interno del capolavoro di Visconti
  • Ingenuo - Rocco
  • Smaliziato - Nadia, prostituta, che conosce la vita e ha deciso di vendersi per ottenere benessere economico
  • Non ingenuo - Vincenzo, che sa come è la vita, anche se si mantiene onesto
  • Non smaliziato - Simone, affascinato dalla ricchezza della metropoli e ingannato dall'illusione di ottenere facilmente molti soldi con il pugilato, che rimane intrappolato dalla vita
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Le figure archetipiche più evidenti sono le seguenti:
  • viandante (Nadia)
  • martire (Rocco)
  • innocente (Luca)
  • orfano (Simone).
Il film è metafora dell'emigrazione cui erano (e tuttora lo sono) costretti gli italiani per trovare lavoro, dal sud al nord e delle loro speranze spesso tradite.

Due delle locandine del film

È allegoria dell'avidità e della brama di possesso che distrugge le vite.

Crea soprattutto l'inferenza che provenire da un mondo patriarcale, basato sul lavoro e sui valori umani e immergersi senza protezione in un mondo consumistico, senza valori tranne quello del denaro, corrompe l'animo umano e distrugge le persone.


I SIGNIFICATI DELLA CARITÀ

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Terminata l'analisi delle quattro virtù cardinali dei Pollaiolo, cioè Temperanza, Giustizia, Prudenza e Fortezza, passiamo ora a quelle teologali, iniziando con la Carità.

Si tratta di un dipinto a olio su tavola di Piero del Pollaiolo, realizzato nel 1469 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Carità è un termine derivante dal latino caritas che significa benevolenza, affetto. Nella teologia cristiana è una delle tre virtù teologali, insieme a Fede e Speranza.

Nell'opera del Pollaiolo vediamo l'iconadi una donna, prosopopea della carità, che allatta un bambino, simbolo del bisogno, delle necessità umane e sineddoche dell'intera umanità bisognosa.

Nell'altra mano la Carità regge una fiamma, simbolo dell’amore ardente e disinteressato verso il prossimo.



Il suo colore caratteristico è il rosso, colore che viene percepito come passione, non sensuale ma dell'anima, amore ardente.

Come le altre virtù, anche la Carità siede su un trono, simbolo del suo dominio sulle anime dei giusti.

Nel cristianesimo, il termine "carità"è simbolo dell'amore nei confronti degli altri; è la più alta perfezione dello spirito umano, poiché imita la natura di Dio, puro amore, creando quindi una similitudine tra il Creatore e quelle, fra le sue creature, più spiritualmente elevate, in grado di esercitare questa virtù.

Il Crocifisso di Cimabue, del 1280, a Santa Croce in Firenze, icona del martire ricolmo di agápē

In greco, tale sentimento è espresso dal termine Àgape (dal greco ἀγάπη, agápē, in latino caritas) che significa amore disinteressato, fraterno, smisurato. Viene utilizzato nella teologia cristiana per indicare l'amore di Dio nei confronti dell'umanità.

Nelle sue forme più estreme la carità può raggiungere il sacrificio di sé. Questo atteggiamento identifica la carità con l'archetipo del martire.

Attraverso la carità, ovvero rispettando il comandamento dell'amore, l'uomo ottiene la pazienza di sopportare i mali terreni e raggiungere la felicità eterna.

I filosofi  neoplatonici con il termine carità per indicavano lo slancio, l'entusiasmo dell'amore verso un coniuge, la famiglia, o una qualunque particolare attività, a differenza della philia, sentimento di amicizia di carattere generalmente non sessuale, e in contrasto con eros, l'attrazione carnale.

Platone


Mentre in Platone l'eros è un amore animato dalla bramosia di possedere l'oggetto amato, vissuto come esigenza di completamento e bisogno di appropriarsi di ciò che a noi manca, l’agape, la carità è la scoperta del divino paradosso per cui solo attraverso il dono completo di sé l'animo umano può approdare alla meta tanto anelata, giungendo a infinita e totale soddisfazione.
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