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ARCANGELI E SUPEREROI

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Le pareti delle chiese, anticamente, con le loro rappresentazioni sacre, erano per il popolo uno dei pochi esempi di testo visivo, una sorta di storyboard senza dialoghi, che narrava storie meravigliose e "paranormali" di santi e angeli con superpoteri, come quello di essere nello stesso momento in luoghi diversi, di far risorgere i morti, di volare o di combattere, vincendo, contro esseri malvagi e immortali.

Oltre un catechismo o un testo visivo agiografico o di devozione, quelle sacre erano a indubbiamente storie affascinanti e a colori.

Un esempio è dato dall'opera, del 1720, che rappresenta "La caduta degli angeli ribelli" ed è di Sebastiano Ricci.

Sebastiano Ricci, La caduta degli angeli ribelli, 1720 circa, Dulwich Picture Gallery, Londra.
L'angelo con l'armatura, lo scudo e la spada, simbolidi battaglia,  è Michele. Il suo nome deriva dall'espressione Mi-ka-El che significa"chi è come Dio?".

L'arcangelo Michele è ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana. È il comandante dell'esercito celeste contro gli angeli ribelli del diavolo, che vengono precipitati a terra. A volte ha in mano una bilancia con cui pesa le anime, simbolo di giustizia.

È il patrono delle forze dell'Ordine, Paramedici, Marinai, Paracadutisti, Vigili del Fuoco. In italia, è patrono della Polizia di Stato.

Riteniamo interessante notare le numerose similitudini di tali personaggi sacri con i personaggi di un moderno testo visivo popolare, cioè i fumetti dei supereroi, come Capitan America, Superman e Antico, maestro dai poteri taumaturgici del dott. Strange.

L'artista contemporaneo Marco Battaglini individua il ruolo di "Superman" in questa rivisitazione del san Michele di Luca Giordano, dipinto nel 1666.
Se osserviamo gli attributi, vediamo una similitudine tra lo scudo di Capitan America e quello dell'arcangelo Michele.

Pronto a combattere contro il Male, dopo che gli venne iniettato un siero speciale, l'organismo di Capitan America si trasformò in quello dell'uomo perfetto. Precedentemente già dotato di bontà, coraggio e carisma incredibili, acquisì forza, resistenza, velocità, agilità, sensi, riflessi e processi mentali estremamente superiori a quelli di chiunque altro,

Divenne immune a qualunque tipo di tossina e malattia e poteva guarire con una velocità incredibile.

Capitan America illustrato da Adi Granov.
Queste caratteristiche evocano le capacità soprannaturali di un altro Arcangelo, Raffaele, il cui nome significa "Dio guarisce".

È antitetico al significatodel nome del demone Asmodeo: "colui che fa perire".

Raffaele è l'arcangelo dell'amore sponsale e della salute.

Francisco Goya, Tobia e l'arcangelo Raffaele, 1787, Madrid, Prado.
È patrono di giovani, fidanzati, sposi, farmacisti, educatori, viandanti e profughi. Nell'iconografia cristiana i suoi simboli sono il pesce, il cui fiele guarì dalla cecità Tobia, padre del suo protetto, Tobiolo, e il vaso dei medicamenti.

Un altro supereroe che rimanda a Raffaele, è "l'Antico", potentissimo mago dell'Universo Marvel, dotato di proprietà taumaturgiche, maestro del Dottor Strange.

Un illustrazione del Dottor Strange tratta dal Marvel Cinematic Universe.
Non dimentichiamo poi il terzo arcangelo della tradizione cattolica, Gabriele.

Il suo nome deriva dall'ebraico e significa: "Potenza di Dio", o "Dio è forte". Nel Nuovo Testamento annuncia a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni Battista e a Maria di Nazareth la nascita di Gesù Cristo

Nella tradizione biblica è a volte rappresentato come l'angelo della morte, uno dei Messaggeri di Dio

Secondo una tarda leggenda, è anche l'angelo non identificato del Libro della Rivelazione (Apocalisse di Giovanni) che soffia il corno annunciando il Giorno del Giudizio.

Il suo aspetto rispetta quello dell'angelo: giovane figura androgina alata che talvolta porta il diadema. Spesso è raffigurato con il giglio, simbolo di purezza, fisica e spirituale della madre di Dio, portato alla Vergine nell'Annunciazione, oppure con lunga bacchetta. Tale bacchetta culmina con una piccola sfera (simbolo del cielo) sopra una piccola base orizzontale quadrata (simbolo della terra).

Luca Signorelli, Annunciazione, 1491, Pinacoteca e museo civico, Volterra
Gabriele è spesso rivestito dalla clamide che portavano viandanti e messaggeri nella Grecia classica. Anche il suo diadema ricorda l’iconografia di Mercurio, portavoce degli dei. Il suo bastone lo qualifica come messaggero del Padre.

Questo "baculus viatorius" era infatti il simbolo del portavoce imperiale. In una funzione analoga al caduceo di Mercurio, questo oggetto doveva richiamare sia la lunga strada fatta dal messaggero sia l’autorità conferitagli.

È il patrono dei lavoratori delle comunicazioni.

Richiama alla mente un altro supereroe, Superman, il cui nome kryptoniano è Kal El, nome che in lingua ebraica significa "Voce di Dio" o "vascello di Dio".

Kal El poteva viaggiare per milioni di anni luce in brevi intervalli di tempo, attraversare le stelle senza subire alcun danno, viaggiare avanti e indietro nel tempo superando, a piacere, la velocità della luce ed era in grado di far vibrare il proprio corpo così velocemente da rendersi invisibile.

Pare insomma, che nell'inconscio dei disegnatori dei supereroi e nel pubblico che li ama sia rimasto una sorta di ricordo ancestrale, di nostalgia, di vagheggiamento per gli arcangeli, esseri speciali, con poteri incommensurabili, buoni e pronti sempre a proteggere l'umanità e a combattere il Male, in qualunque sua forma, sia umana che extra umana, che ancora oggi si fanno ammirare per la loro bellezza, nei grandi capolavori dell'Arte, e, per chi crede in loro, anche dal Cielo, che solcano, volando, proprio come i supereroi.

GLI ARCANGELI SCOMPARSI

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"Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore." (Tobia 12:15)

E' da questo punto, dalle parole dell'arcangelo Raffaele, che inizia la tradizione dei sette arcangeli che quindi non sono solo tre come da molti ritenuto.

Dei tre arcangeli più conosciuti e dei loro simboli ne abbiamo già trattato in un post di Polisemantica.

Andiamo dunque a scoprire gli altri quattro.

I nomi dei quattro non sono citati nei testi canonici della Sacra Scrittura, e questa è la ragione per la quale non risultano nella celebrazione liturgica della Chiesa Cattolica.

Il sistema di sette maggiori arcangeli è una antica tradizione dell'angelologia di matrice giudaica.



I loro nomi risalgono al Libro di Enoch, un'opera giudaica post-biblica del I secolo a.C., ritenuta canonica solo dalla chiesa copta e non dagli altri cristiani, né dagli ebrei.

A parte i primi tre, i più noti, i nomi degli altri sono Uriel, Barachiel, Jeudiel e Sealtiel.

I nomi degli arcangeli terminano sempre per El, in quanto Eli è un appellativo riferito a Dio.

Gesù, sulla croce esclamò: "Elì, Elì, lemà sabactàni?" che significa, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Uriel (che significa Luce di Dio oppure Dio infiamma) compare nel IV Libro di Esdra come l'angelo mandato da Dio per rispondere a tutte le domande di Esdra. Inoltre è identificato nei vari scritti apocrifi come colui che fu posto a controllo del paradiso terrestre (Gen 3,24), oppure con l'angelo che lotta contro Giacobbe (Gen 24), o ancora colui che controlla le porte degli israeliti in Egitto nella strage degli figli primogeniti (Es 12,13).



Combatte l’ira e l’intolleranza, protegge i luoghi delle apparizioni e delle grazie. Viene quindi rappresentato con una spada di fuoco che simboleggia la passione d’amore divina, invitando gli uomini a “bruciare” d’amore per Dio

Jeudiel è un angelo giudicante (ha la corona , simbolo della ricompensa e la frusta, simbolo di punizione). Espulse Adamo ed Eva dall'Eden. Combatte contro lo spirito della gelosia e dell’invidia. Viene pregato per intercedere presso Dio da persone con problemi lavorativi o incerte sul loro futuro professionale. Il suo nome significa Lode di Dio.

La funzione di dispensare grazie divine è svolta da Barachiel, che assegna ad ogni uomo il suo angelo custode. Ha in mano le rose, simbolo di grazie. Combatte la superficialità nelle cose di fede, la tiepidezza e l’accidia. Il suo nome significa Benedizione di Dio

Sealtiel insegna a pregare e intercede per gli uomini. Sorregge un incensiere d'oro, simbolo di preghiera. Combatte l'intemperanza e la smoderatezza. Il suo nome significa Dio comunica.



Durante il Concilio di Roma del 745 d.C. si stabilì che i cristiani non dovevano pregare altri arcangeli all'infuori di Michele, Gabriele e Raffaele in quanto talvolta le preghiere dei fedeli sfociavano in rituali magici e s’invocavano tali spiriti celesti con nomi di divinità pagane, creando una pericolosa similitudine fra gli arcangeli e gli antichi dei.

Attorno al IX secolo d.C., a causa delle dispute sull'iconoclastia, molte raffigurazioni dei sette Arcangeli vennero distrutte. Nella cupola della Cappella palatina di Palermo vi sono però ancora le immagini dei sette arcangeli, con i loro nomi, motti e simboli.

L'utilizzo dei sette arcangeli nella Cabala e in altre dottrine esoteriche ha portato a cercare una corrispondenza con i giorni della settimana, cioè con i sette astri mobili dell'astronomia antica: Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno.

MARCELLO FOA E IL SUCCESSO DELL'ARCHETIPO

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L'archetipo è una sorta di ricordo ancestrale comune a tutta l'umanità, un insieme di ruoli narrativi con particolari e definite caratteristiche, in cui ciascuno può identificarsi, ammirare o rifiutare.

In questo ultimo periodo di rinnovamento del "sistema Italia" emergono varie personalità che infiammano gli animi creando avverse schiere che "l'un contro l'altra armate" difendono o attaccano a spada tratta i vari simboli di cambiamento che essi rappresentano.

E' il caso di Marcello Foa, di cui avevamo trattato in un precedente post.

Anche il neo presidente della Rai, volente o nolente, impersona numerosi archetipi:

A causa del suo ruolo nella Tv di Stato, con il mandato di rinnovamento e di far "entrare aria fresca" in Rai, lo si annovera tra gli archetipi del Mago.

Albus Silente, archetipo del Mago

Il Mago ricerca in sé e negli altri la completezza, l’accostamento degli opposti, la pienezza della conoscenza e della condivisione. Vuole ottenere per sé la gioia e per gli altri la fede. Teme e odia la superficialità. È la figura archetipica più complessa e realizzata.

La sua missione di trasformare la Rai, con la sua intelligenza, sensibilità e professionalità è azione archetipica del Mago. Ricerca il pluralismo, l'approfondimento informativo e culturale e necessita della fiducia del Parlamento, del Governo, del Consiglio di Amministrazione della Rai, nonché, naturalmente dei telespettatori che hanno grandi aspettative.

Impersona l'Innocente, in quanto, inaspettatamente, ha raggiunto il vertice di chi si occupa di comunicazione televisiva, è felice, onorato.

L'archetipo dell'Innocente è nel pieno della propria realizzazione, non ha quindi alcuna meta ulteriore da raggiungere. Potrebbe tendere solo alla caduta e teme quindi la perdita di tale stato di benessere, la perdita del Paradiso.
Alessandro Magno, nel pieno del suo fulgore e potere, archetipo dell'Innocente


E' stato archetipo dell' Orfano, in quanto, ad agosto, fu privato dalla Commissione di Vigilanza della Presidenza alla quale era stato nominato a luglio dal CdA.

L'Orfano è archetipo  alla ricerca continua della sicurezza, del bene perduto e mai più ritrovato. La sua maggiore paura è quella dell'abbandono.

E' stato archetipo del Martire, in quanto, in silenzio, ha raccolto insulti e denigrazioni di ogni tipo, dalla parte politica avversa al governo, che lo ha accusato di ogni nefandezza professionale, paradossalmente proprio accollandogli ciò che Foa aveva per tutta la vita combattuto, e lui non ha mai reagito.

L'archetipo del Martireè alla continua ricerca della bontà, di un mondo giusto, caritatevole. Per ottenerlo è disposto anche al sacrificio personale, ha notevole capacità di rinuncia. Teme solo l’egoismo degli altri, ma anche il proprio, in qualche attimo di debolezza spirituale.

E' ed è stato archetipo del Viandante, non solo per i viaggi in tutto il mondo dovuti alla sua professione di giornalista, che lo ha portato a essere responsabile Esteri al Giornale di Montanelli, e nemmeno solo per il fatto che è italo-svizzero, che vive e lavora fra Roma e Lugano, ma soprattutto perché ha sempre inseguito la verità, ha risposto solo alla sua coscienza, a volte sbagliando, ma anche cercando di riparare e scusandosi, dimostrando sempre coerenza e coraggio, soprattutto quando era nel torto e se ne rendeva conto.

Odisseo, archetipo del viandante

L'archetipo del Viandante desidera per sé l’autonomia più di ogni altra cosa, la libertà è per lui l’aria che respira. Il compito che si pone nella vita è relativo alla formazione della sua identità e quindi all'affermazione delle sue idee. Teme la routine, l’obbedienza alle regole imposte da altri.

E' sempre stato ed è tuttora, nonostante l'aria mite e pacifica, un archetipo del Guerriero.

Ha sempre combattuto la menzogna e lo spirito di parte nella trasmissione delle notizie, ha contribuito a fondare l'Osservatorio europeo del giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera italiana proprio allo scopo di combattere le fake news (di cui paradossalmente lo si accusa), ha scritto libri e tenuto conferenze, in battaglia continua contro la manipolazione delle notizie.

L'archetipo del Guerriero deve combattere, questo è il suo compito, e per farlo deve sempre trovare la forza e utilizzarla. Ricerca quindi il coraggio e non può che temere la debolezza.




In fondo è comprensibile che la figura di Marcello Foa provochi tanti e antitetici turbamenti, emozioni, prese di posizione.

Si tratta di un archetipo complesso o completo, cioè un personaggio che impersona tutti e sei gli archetipi e in quanto tale in grado di smuovere gli animi, pro e contro.

E' un caso di successo dell'archetipo, e anche un archetipo del successo.


ULTIMO TANGO A PARIGI: IL SESSO, LO SCANDALO E LA CATARSI NEL CAPOLAVORO DI BERTOLUCCI

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Ultimo tango a Parigi, il film del 1972 diretto da Bernardo Bertolucci, interpretato da Marlon Brando, Maria Schneider, è metafora della passione selvaggia e sfrenata fra due sconosciuti.

È inoltre allegoria dell'incomunicabilità e dell'isolamento esistenziale cui l'umanità è destinata.

L'allegoria è relativa all'impossibilità degli esseri umani, simili alle monadi di Leibniz, di incontrarsi veramente, di capirsi, di conoscersi, anche nei gesti della massima intimità quali quelli relativi al sesso.

Una delle celebri locandine del capolavoro di Bertolucci
Il paradosso è reso esplicitamente nelle scene del film in cui i due protagonisti non sanno assolutamente nulla l'uno dell'altro, nemmeno il nome, e questi due perfetti sconosciuti, in un ossimoro portentoso, sono nell'atto sessuale uniti in un'unica entità, consapevoli dei più reconditi segreti dell'altro.

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L'antitesi perfetta quindi tra la loro incolmabile distanza spirituale e la loro vicinanza fisica, fra le loro anime e i loro corpi.

Il sesso è un simbolo di reazione al conformismo del mondo circostante.

La famosa scena di sesso, occasione di recenti polemiche
I protagonisti di questo film, come quelli che seguiranno, sono icone di esseri umani alla deriva, quasi sbandati, la cui unica via d'uscita è la trasgressione.

Solo quando Paul, il protagonista maschile, proverà a instaurare una relazione con la donna, l'equilibrio insano di tale unione si spezzerà, sino al punto da spingere la protagonista a ucciderlo.

LA COLAZIONE DEI CANOTTIERI DI RENOIR E LA METAFORA DELL'AMICIZIA

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Un gruppo di quattordici amici e conoscenti dell'artista, compresa la sua fidanzata che coccola un cagnolino, trascorre lietamente il pomeriggio davanti a una tavola, con frutta e vino, in un ristorante sulla Senna.

Il dipinto, ricco di particolari interessanti, è metafora di gioia di vivere e amicizia. Per arrivare a stabilire tale risultato comunicativo, Renoir è molto attento alla tavolozza utilizzata: i colori prevalenti blu, rosso, giallo e bianco (i tre primari e la somma di tutti) connotano l'atmosfera di calma e rilassata gaiezza, insieme al complementare verde delle bottiglie e della natura circostante.

I solari e gioiosi gialli, fanno da contrappunto ai pacati blu. Il bianco, estremamente luminoso, puro, pulito e arioso si sposa con le tonalità rossastre di passione, allegria e amore che pare unire tutti i partecipanti in un rilassante abbraccio.

La bellissima tavolozza cromatica nel capolavoro di Renoir
Anche le categorie eidetiche sorreggono la metafora. Le forme ondulate e le linee circolari aperte sottolineano il clima di affettuosa amicizia che lega i partecipanti, con abbracci e giochi di sguardi e creano una fitta rete emotiva che scaturisce dal dipinto, inondando l'osservatore di lieta ammirazione.

Al centro della tavola troviamo nell'uva e nelle pere l'indice della stagione tardo-estiva / autunnale e i codici dell'abbigliamento, oltre a portarci a una vicenda di fine Ottocento, connotano la scena come quella di un caldo pomeriggio di fine estate, appena avvenuta la vendemmia.

I codici gestuali e prossemici accentuano il clima festoso e rilassato di un club di canottieri, riconoscibili dagli elementi della divisa, specialmente il cappello di paglia, che si rilassano dopo l'esercizio fisico insieme alla lieta brigata di amici.



I bicchieri vuoti e le briciole sono indice di uno spuntino già consumato e la sigaretta fra le mani di uno dei commensali è una promessa dell'ultimo piccolo piacere a fine pasto.

Il colore blu dell'abito delle ragazze, simile a quello degli abiti dei gentiluomini, allude alla calma e compostezza delle signorine che accompagnate da persone fidate, trascorrono innocentemente un momento lieto.

Tutti questo elementi semio-narrativi sono evidenziati al meglio nel video proposto.


L'opera è un inno alla vita, alla gioia, all'amicizia e all'amore. Promessa di una vita serena e felice. Attimo di luce fissato nella storia dall'arte.

OGNI UOMO SEMPLICE

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L'Omaggio dell'uomo semplice è la prima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente prima del 1305.

Nel dipinto compare un uomo semplice che stende il proprio mantello al passaggio di Francesco, per onorarlo.

Solo lui, ispirato da Dio, riconosce che al giovane, ancora non consapevole della sua futura missione, spetta questo onore.



Vi è un giovanissimo ed elegante Francesco che accetta l'omaggio con un breve gesto e quattro persone che reagiscono con un'evidente espressione d'incomprensione, espressa dai loro codici mimeticiegestuali.



I codici dell'abbigliamento ci inducono a pensare che i quattro siano ricchi notabili (attorizzazione) e che la scena si svolga nel Medioevo (temporizzazione)

Vi è un'antitesifra l'uomo semplice, ispirato da Dio, e i quattro uomini dotti, che hanno occhi e non vedono, che evoca la preghiera di ringraziamento di Gesù che nel Vangelo di Matteo dice "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli"

Vi è poi una similitudine tra questa scena e l'episodio evangelico dell'Ingresso a Gerusalemme di Gesù Cristo come narrato nel Vangelo di Luca.


Il giovane e stupito Francesco che comunque accetta il gesto di devozione, è riconoscibile dall'aureola dorata, simbolodella sua non ancora manifesta santità.

Da notare il panno steso ad asciugare, indicedi una presenza umana, del fatto che quello è un luogo vero, vissuto, abitato da qualcuno.

La scena si svolge nella piazza, dove affacciano, il Tempio della Minerva, che si differenzia dall'originale per il numero delle colonne, cinque anziché sei, e per la presenza del timpano di un rosone sorretto da angeli,il Palazzo del Capitano del Popolo e la Torre civica: questa ultima è priva dell'ultimo piano, completato solo nel 1305.

Il cosiddetto tempio di Minerva, di arte augustea, sorge ad Assisi, in piazza del Comune, dedicato probabilmente ad Ercole ed eretto nel 30 a.C.. Fu trasformato in chiesa di Santa Maria sopra Minerva solo nel Cinquecento, duecento anni dopo l'affresco.


Nel XIII secolo fu adattato a sede del comune, che destinò il piano inferiore a sede carceraria, deputando quello superiore ad aula del consiglio cittadino.

I codici architettonici, oltre a volerci indicare chiaramente il luogo della scena (spazializzazione), cioè Assisi, insistono sul concetto che la rivelazione divina avviene dinanzi a un luogo legislativo cittadino, un luogo in cui si decretano le leggi umane.

Tale concetto è evidenziato dalla presenza di testimoni, che non comprendono cosa sta avvenendo ma che con la loro presenza lo documentano come realmente avvenuto, come vero.

Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior, una biografia di san Francesco d'Assisi scritta in latino da Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell'Ordine dei Frati Minori e approvata dal capitolo generale di Pisa nel 1263. I fatti che narra l'autore non sono comunque del tutto originali ma derivano da una rielaborazione fatta sul materiale tratto dalle biografie di Tommaso da Celano

L'opera è per similitudine accostabile a un altro capolavoro, che si trova nella cappella maggiore della chiesa francescana di Montefalco fu costruita tra il 1336 e il 1340 e decorata da Benozzo Gozzoli tra il 1450 e il 1452.



Nel primo riquadro del ciclo di affreschi che raffigura i più importanti episodi della vita di san Francesco, Benozzo dipinge la prima scena che mostra tre eventi della vita di Francesco: a sinistra la Nascita, al centro la Profezia del pellegrino e sulla destra l’Omaggio dell’uomo semplice, in cui lungo la strada, compare il giovane Francesco accompagnato da un bambino e in primo piano un mendicante in ginocchio che gli porge il proprio mantello perché vi cammini sopra.

L'uomo semplice non è solo l'ignorante, l'incolto: è innanzitutto il puro di cuore. "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" intendendo con questo anche i segnidi Dio, le opere da Lui ispirate e le persone che consacrano la loro vita ai principi di santità, bontà, giustizia e aiuto a chi ha bisogno.

Come commenta Ratzinger: "L'organo con cui si può vedere Dio è il cuore: la sola ragione non basta".

ANALISI DELLA CONVERSIONE ODESCALCHI DI CARAVAGGIO

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La Conversione Odescalchi, capolavoro di Michelangelo Merisi, è un esempio notevole che illustra al meglio l'applicazione delle categorie eidetiche, riguardanti la forma e la disposizione dei soggetti rappresentati, oltre ai codici prossemici e cinetici, riguardanti rispettivamente la posizione e il movimento dei medesimi soggetti nello spazio

Il vero nome del capolavoro è Conversione di san Paolo (o Conversione di Saulo), realizzato tra il 1600 e il 1601. Di proprietà della famiglia romana Odescalchi, prende questo nome per distinguerlo da un altro dipinto di Caravaggio sullo stesso tema, conservato nella cappella Cerasi della basilica di Santa Maria del Popolo a Roma.

La Conversione di san Paolo (o Conversione di Saulo), realizzata tra il 1600 e il 1601 da Caravaggio
Tra le pochissime opere di Caravaggio ancora in mano privata, la Conversione Odescalchi è sicuramente il dipinto di maggiore qualità, e di attribuzione incontrovertibile.

Soprattutto dimostra che le osservazioni raccolte da Kandinsky in "Punto Linea e Superficie" concernenti le regole compositive delle arti figurative (e non solo) sono confermate e facilmente rintracciabili nei capolavori dell'Arte Occidentale.



Prendiamo in considerazione le linee di forza che sono alla base di questa composizione.

Come suggerisce lo stesso nome si tratta di linee (immaginarie) lungo le quali vengono disposti e rappresentati i vari elementi.

In genere le rappresentazioni inscritte in superfici rettangolari presentano due linee di forza principali, che attraversano la superficie congiungendo le sue estremità o i suoi punti focali.

La diagonale disarmonica (1) e la diagonale armonica (2) nel capolavoro di Caravaggio
Nel caso di Caravaggio le splendide diagonali disarmonica ed armonica, vere e proprie direttrici rispettivamente di dinamismo ed equilibrio definiscono come meglio non si potrebbe i cardini della vicenda rappresentata.
  1. Da una parte Paolo su linea disarmonica, i cui piedi emergono da un buio terrificante e il cui colore, nella progressione del corpo, assume tonalità che da cadaveriche si fanno via via sempre più vive, fino al culmine del volto accecato.
  2. Dall'altra parte la direttrice armonica (ribadita dalla lancia del soldato) che congiunge, a testimonianza della fede ritrovata le figure di Paolo e del Cristo, quest'ultimo sorretto da un magnifico angelo.
La composizione trova la sua espressione compiuta non solo nella definizione di elementi simbolico narrativi, ma nella loro corretta disposizione, secondo precisi schemi compositivi.

L'analisi del capolavoro sul nostro canale video.


In quest'altro video invece una splendida raccolta dei capolavori di Caravaggio. Buona visione!

FENOMENOLOGIA DEI MINIONS

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I minions sono dei piccoli strani esseri. Il loro nome in inglese sta per "galoppino" ma anche per "lacché",

All'aspetto sono gialli, piccoli, con il corpo ovale, pelati o con un ciuffetto di capelli in cima alla testa, hanno uno o due occhi e braccia e gambe sottili.



Sono alla ricerca perpetua di un padrone molto cattivo che li possa guidare e proteggere.

I piccoli minions sono l'icona caricaturale dell'uomo comune, debole, bonaccione, spaventato dall'ambiente circostante minaccioso e alla ricerca del "capo", dell'uomo "forte" che sia in grado di tutelare la sua esistenza e i suoi interesse, anche a costo della perfetta obbedienza  e dedizione.

Il loro aspetto standard, con pochissime varianti, contribuisce a sottolineare la loro connotazione di individui mediocri, con poche eccezioni che si fanno notare, come Kevin, Bob e Stuart.



Icodici del loro abbigliamento, occhialoni, guanti e salopette, ricordano l'uniforme da operai e danno loro la connotazione di perpetua attività.

I codici mimetici e gestuali sono indice della loro non brillantissima intelligenza e della loro indole pacifica e giocherellona.



Pur essendo dolci, teneri e non aggressivi, non sono innocui. Infatti la loro sbadataggine e la scarsa intelligenza può comportare serie conseguenze a causa delle loro azioni improvvise e prive di previsione dei rischi.

Parlano una sorta di esperanto, un grammelot nato per accumulazione di termini della lingua spagnola, italiana, inglese o francese.

Il doppiatore per tutti i minions è sempre Pierre Coffin.  Particolarità del doppiaggio, è che non necessita di rimodellamento per la traduzione nelle diverse lingue. Per ogni paese la voce di Pierre non riceve alcuna traduzione o modifica, Italia compresa.



Tale caratteristica aumenta la connotazione di universalità del carattere minion, che non è peculiare di una data cultura o nazione, ma è tipico dell'Umanità stessa, o almeno di una parte di essa.


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Nelmodello attanzialei minion appartengono al ruolo dell'aiutante (anche se spesso, inconsapevolmente si ritrovano in quello dell'opponente);

Impersonano l'archetipo dell'innocente del viandante e quindi la loro funzione comunicativa più usata è quella poetica, oltre a quella fàtica.

I SETTE PECCATI CAPITALI

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Cosa ci racconta Hieronymus Bosch, enigmaticamente, in uno dei suoi capolavori, attraverso una minuziosa simbologia?

I Sette peccati capitaliè un dipinto realizzato intorno al 1500 dall'artista fiammingo e conservato nel Museo del Prado di Madrid.

L'allegoriadei vizi e del percorso ultraterreno alla fine della vita di ognuno ha una dicotomia, essendo formata da un testo scritto e da uno visivo.



In questa immagine abbiamo l'iconastilizzata di un'iride e una pupilla che sottendono appartengano a Dio. È implicitonel testo visivo il fatto che Dio tutto vede e giudica e vi è un rimando alla frase evangelica "Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto".


L'ammonimento è reso esplicitamente nella frase del cartiglio, in latino "Attenzione, attenzione, Dio vede"

Al centro appare Gesù risorto, "pupilla" di Dio.

Ai quattro lati dell'iride appaiono quattro piccoli medaglioni, rappresentanti la Morte di un peccatore, il Giudizio Universale, l'Inferno e il Paradiso.

Si tratta di un percorso sequenziale e concettuale, filosofico e teologico, della sorte ultraterrena dell'Uomo che dopo aver oltrepassato la soglia della morte è sottoposto al giudizio finale e in seguito alla sentenza sarà destinato all'eterna beatitudine o all'eterno dolore, senza appello.


Sui cartigli appaiono altre frasi di ammonizione: "È un popolo privo di discernimento e di senno"; "se fossero saggi e chiaroveggenti, si occuperebbero di ciò che li aspetta"; " Io nasconderò il mio volto davanti a loro e considererò quale sarà la loro fine"


Nel medaglione della morte, appaiono la prosopopeadella morte, che nascosta dietro al letto sta per colpire il malato con la sua letale freccia. In alto le icone di un demone e di un angelo, simbolidel Male e del Bene, che il morente ha ascoltato o no durante tutta la sua quasi terminata esistenza.

L'icona del Crocifisso, in mano al frate genuflesso è simbolo dell'estrema possibilità di redenzione che ognuno ha, sino all'ultimo istante.


Nel medaglione del Giudizio finale, Cristo, con una spada, simbolo di giustizia e un giglio, simbolo di purezza, è seduto sull'icona del mondo per simboleggiare il suo dominio sull'Universo finalmente purificato, mentre gli angeli richiamano in vita i corpi di quanti sono deceduti.


Nello splendore policromo e dorato del Paradiso sono attesi tutti coloro che hanno agito seguendo i principi del Bene. Alla porta, accolti da San Pietro, riconoscibile per l'aureola simbolo di santità, i beati si accalcano per entrare. Un demonio vorrebbe rubare ancora, sino all'estremo limite, una preda, ma l'angelo guardiano lo trafigge con la croce, simbolo di vittoria e protezione. Il Male non ha più alcun potere sull'Uomo liberato da Dio.


Sorte differente attende i malvagi, che nell'ultimo medaglione sono torturati eternamente dal rimpianto della eterna felicità perduta e dal rimorso per i propri peccati, enumerati dai cartigli e simboleggiati dalle figure demoniache presenti.

Rospi, ramarri, mostruosi volatili e cani neri sbrananti rappresentano simbolicamente "sub specie animalis" le ragioni della perdizione dell’anima: smodato piacere sessuale, smodato piacere della tavola, smodato amore di sé. Le pene sono iperbolicheperché iperbolico è stato l'abuso dei naturali moti umani.

Le sette scene dell'"iride" mostrano i peccati capitali, ciascuno con la propria indicazione in latino: in basso si trova l'Ira, poi in senso orario Invidia, Avarizia, Gola, Accidia, Lussuria e Superbia.


L'Ira è rappresentata con una rissa tra due paesani ubriachi, mentre una donna cerca di calmarli.

La donna è prosopopeadella Temperanza che desidera riportare ordine ed equilibrio. I codici gestuali e mimeticiraccontano il disordine dello spirito, gli oggetti sparsi in modo scomposto, con i loro codici prossemici ci illustrano il disordine che i comportamenti violenti portano nel mondo. Sempre i codici prossemici, che ci mostrano l'uomo che ha in testa una seggiola, simboleggiano il modo grottesco di ridursi, quando si è preda del vizio che rende disumani e ridicoli, oltre che pericolosi. Le armi sono il simbolo dell'aggressività.


L'Invidia è raffigurata mediante il proverbio fiammingo  "due cani con un osso difficilmente raggiungono un accordo".

L'immagine mostra infatti due cani che non si interessano alle ossa davanti a loro, che potrebbero gustare insieme e con grande soddisfazione, ma aspirano all'osso tenuto in alto; Per similitudine, la coppia aspira con invidia alla condizione di un elegante nobile con il falco in mano, così come la figlia che  si rivolge dalla finestra a un pretendente, del quale desidera soprattutto il grande portafoglio, simbolo di ricchezza.

L'uomo che porta il pesante sacco sulla schiena simboleggia la condizione di quanti sono oppressi da questo vizio, pesante, insopportabile, che li fa soffrire durante tutta l'esistenza e per il quale, inoltre, saranno puniti.


L'Avarizia (nel senso di avidità, cupidigia, come dalla esatta traduzione dal latino) mostra un giudice (riconoscibile dai codici dell'abbigliamento) disonesto, che accetta denaro di nascosto da uno dei contendenti, mentre l'altro gli parla spiegandogli le sue ragioni. Il giudice ha la borsa ben in vista, per simboleggiare la sua cupidigia nel riempirla di denaro. Pare sentir risuonare il motto latino dell'Eneide di Virgilio." Quid non mortalia pectora cogis, aura sacra fames"


Nella Gola due contadini mangiano e bevono smodatamente, davanti a un bambino obeso, simbolo delle conseguenze terrene dell'abuso dei piaceri della tavola. Anche qui i codici prossemici evocano l'idea del disordine, non solo fisico, ma spirituale.


L'Accidia è simboleggiata da un personaggio che dormicchia in un'abitazione accogliente, davanti a un camino, mentre una suore, prosopopea della Fede, lo esorta per ricordargli i suoi doveri di preghiera.

L'accidia, la noia, il malcontento e insieme l'incapacità di reagire e di vivere, di usare il tempo che ci è stato donato, sono vizi che portano all'inattività e quindi a una profonda inutilità e spreco della propria esistenza. Per similitudine il cane, simbolo della fede, della lealtà, dell'onestà che per esistere deve manifestarsi in azioni concrete, sonnecchia, come il borghese con il morbido cuscino. Ha in mano una candela, simbolo di fede, di speranza, di ricerca, ma essa è spenta.


Nella Lussuria due coppie di amanti banchettano sotto un tendone rosato, rallegrate da buffoni. Anche qui i codici prossemici mostrano il disordine degli oggetti simbolici sparsi sul prato: strumenti musicali che in Bosch spesso alludono al fiato demoniaco, e che sovente simboleggiano la smodata passione. Vi è anche una similitudine tra gli amanti e i due buffoni, grotteschi e ributtanti nei loro atteggiamenti e per i loro codici gestuali e mimetici. Non Uomini, ma esseri deformi.


Nella Superbia infine si vede una donna di spalle intenta a provarsi un'acconciatura, mentre un diavolo le regge lo specchio, simbolo insieme di futuro e di vanità. Un cassone è pieno di gioielli, simbolo di vanità anch'essi. Il demonio indossa la medesima cuffia della donna vanesia, mostrando con le sue sembianze il suo futuro, da trascorrere insieme a lui nel regno dell'angoscia e della desolazione.

Insomma, ogni immagine rappresenta una mancanza di modo, di misura. I peccati sono tali in quanto iperboliche deviazioni di naturali (e quindi, in origine, innocenti) tendenze umane.

Ma le iperboli sono per loro natura esagerate, quindi disordinate e perciò deformano orribilmente l'ordine divino e la sua gioiosa armonia, il comportamento dell'Uomo e la sua natura, corporea e spirituale, creata "a immagine di Dio".

I SEGRETI DEL TRIONFO DELLA MORTE DI BUFFALMACCO

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L'affresco di Buonamico di Martino, detto Buffalmacco, raffigurante il Trionfo della Morteè il primo di una serie di tre grandi scene per il Campo Santo di Pisa e fu eseguito nel 1336-41. Il dipinto è stato restaurato nell'aprile del 2018 e riportato all'antico splendore.

Si tratta di un'opera ricca di elementi, con molte antitesie una fitta simbologia.



È divisa in coppie antitetiche disposte in punti opposti della scena.


Vediamo quindi l'antitesi fra sacro e profano in diagonale, in cui si vedono ai vertici della scena i monaci che lavorano e pregano, in alto, e i giovani che si divertono e suonano, in basso.


Negli altri due vertici, uniti da un'immaginaria diagonale, troviamo l'antitesi tra la morte corporale, con i tre cadaveri nelle bare, in basso e la vita eterna spirituale, con gli angeli che portano le anime del beati in Paradiso, in alto.

La morte corporale, con i tre cadaveri nelle bare

la vita eterna spirituale, con gli angeli che portano le anime del beati in Paradiso
Altra antitesi appare tra ricchezza e miseria, simboleggiata dai ricchi nobili a cavallo e accanto i miserabili che invocano la morte, inascoltati.


Infine, l'antitesi fra la quiete operosa dei monaci, che trascorrono l'esistenza in calma e tranquillità e la vorticosa frenesia disordinata del dies irae, agitata dalla cattura delle anime da parte dei demoni e dalla battaglia che si svolge nei cieli nel giorno dell'apocalisse.


Nella sezione mediana dell'affresco, appare l'icona di una vecchia canuta e scarmigliata, prosopopea della Morte, che volando impugna una falce, simbolo del distacco dalle radici terrene. Indossa una maglia ferrata, simbolo di invulnerabilità, con ali da pipistrello e unghie a mo’ di artigli, simbolo di demoniaca rapina e del fatto che la Morte è creatura del demonio, non di Dio.


Sotto la Morte, in un'orrida e immane fossa comune universale, sta un ammasso di persone ormai falciate: in un groviglio di membra disfatte e abiti sontuosi, di stracci laceri e di teste incoronate, si vedono affiorare le icone di pontefici, imperatori, regine, principi, poveri, servi e villani, simbolo e sineddoche dell'intera umanità coinvolta nel medesimo destino di morte corporale.


Interessante la scena dell'incontro dei tre vivi e dei tre morti, soggetto tipico della iconografia della Morte

Il tema rappresentava tre giovani cavalieri in abiti signorili che, nel corso di una cavalcata per la caccia, incontravano tre cadaveri quasi ridotti a scheletri, che li ammonivano dicendo: «Ciò che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso».

Si tratta di un memento mori, ammonimento agli esseri umani affinché non dimentichino l'appuntamento inevitabile per ciascun vivente e vi si preparino per poter oltrepassare il cancello della felicità eterna. Lo si ritrova anche nei cartigli di alcuni ossari antichi: “Quod fuimus, estis; quod sumus, vos eritis”, Ciò che fummo voi siete, ciò che siamo voi sarete.




Personaggio determinante dell'affresco è il monaco Macario. Si tratta di un eremita vissuto intorno al 300 nella parte abitata della Tebaide, regione dell'Egitto con capitale Tebe, circondata a est e a ovest dal deserto nel quale si ritirarono, durante i primi secoli del cristianesimo, i primi eremiti ed anacoreti cristiani, come San Macario, San Pacomio, Sant'Antonio, e altri meno noti. Questa regione fu scelta in particolare da San Pacomio per fondare il proprio monastero, la prima esperienza cenobitica della storia cristiana.

Nell'affresco, San Macario, che vive con gli altri monaci  in un monastero su un promontorio roccioso, incontra tre cavalieri, ricchi, giovani, belli e spensierati, che si trovano all'improvviso davanti, tre cadaveri nelle loro bare, ciascuno in uno stadio diverso della morte, dal cadavere "fresco", a quello in putrefazione, a quello ormai scheletro.

Le icone dei cadaveri sono simboli dell’orgoglio, della superbia e della vanagloria. Sono avvolti fra le spire di serpenti, simbolo del male, secondo la concezione cristiana. Non dimentichiamo però che il serpente è anche antico simbolo di rigenerazione e immortalità e che quindi evoca il concetto del destino eterno, o in felicità o in disperazione, dei tre individui di cui al momento appaiono solo i corpi immobili e sfatti.

I codici gestuali di uno dei cavalieri, che si porta la mano sul naso, suggeriscono il terribile fetore prodotto dalla carne putrefatta dei tre morti.


Anche le iconedegli animali presenti, hanno una simbologia che permette di leggere l'opera a più livelli di significazione: i cavalli inforcati dai giovani ricchi sono simbolo della lascivia,  lussuria e superbia che conducono metaforicamente i loro cavalieri.

Le icone dei cani sono invece simbolo della fedeltà, quindi della fede, che può salvare gli uomini e permettere loro di prendere la giusta via. Sono anche simboli dell'olfatto e non a caso sono posti dinanzi ai tre corpi in decomposizione per aumentarne la valenza semantica e percettiva.

Il monaco Macario, in basso a sinistra ammonisce i giovani: dietro di lui sta l'ardua e metaforicavia in salita della vita eremitica. Solo liberandosi dai lacci della materialità e ascendendo a una vita spirituale ci si può salvare, non dalla morte corporale, ma da quella spirituale, ben più drammatica.


Altri animali sono presenti nella scena, anch'essi con una precisa simbologia: la lepre è simbolo della fuga inutile dell'Uomo dalla Morte, il cervo, pacificamente accucciato è simbolo dell’anima che anela al bene, e quindi a Dio, nella perfetta imperturbabilità che questo comporta.

Il fagiano, sul declivio, è simbolo araldico della semplicità di spirito e anche di rinascita, di rigenerazione, rinnovamento.

Accanto al gruppo dei giovani cavalieri e in mezzo fra essi e il cimitero planetario, la grande fossa comune dell'umanità, vi è un gruppo di pezzenti, di mutilati e storpi, che, attraverso i codici gestuali, implora la morte di liberarli dalla sofferenza ma paradossalmente la morte desiderata, volge altrove il suo sguardo.

Il Dies Irae,"Giorno dell'Ira"è iniziato. Con un'ulteriore antitesi inizia anche la battaglia tra angeli soccorrevoli e implacabili demoni,  determinati a strappare le anime dai corpi dei defunti per precipitarle nella notte infernale, simboli rispettivamente del Bene e del Male, del Paradiso e dell'Inferno.


Le icone dei neonati che spuntano dalle bocche dei morti sono simboli delle anime che, se destinate alla felicità eterna vengono prese in braccio dagli angeli, altrimenti vengono artigliate dai diavoli per essere condotte  al loro eterno destino di disperazione.

In basso a destra vediamo le icone di dieci giovani in un verziere, che suonano e conversano nel lussureggiante giardino, simbolo della vita gaudente e dimentica del destino finale, non tanto quello della morte corporale quanto dell'esistenza post mortem, quella eterna.

I codici dell'abbigliamento e gestuali ci rivelano la nobile condizione dei giovani e la loro prospera vita spensierata e frivola.


Gli strumenti musicali sono simbolo di licenza, di lussuria.

Il cane in braccio alla donna è simbolo di fedeltà, il falcone simbolo di nobiltà, atteggiamenti positivi ma non sufficienti a contrastare la morte e a guadagnare la vita eterna. La Morte, con la sua falce, incombe infatti, non vista, proprio dietro di loro.

A sottolineare la fugacità della vita terrena, sulla brigata di spensierati volteggiano due putti che rovesciano le fiaccole accese, simbolo di morte imminente.

L'opera come appare dopo il recente restauro

I SEGNI DEI DECANI AL PALAZZO SCHIFANOIA

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Il salone dei Mesi, sito nel Museo Schifanoia a Ferrara, fu decorato con affreschi per volere di Borso d'Este dai migliori pittori dell'officina ferrarese attivi intorno al 1470.

Il ciclo di affreschi si svolge lungo le quattro pareti del salone. Su ciascuna di esse sono dipinti dai due ai quattro mesi.



Ogni mese è a sua volta diviso in tre fasce orizzontali, comprendenti in alto il trionfo, a metà il segno zodiacale e i tre decani e  in basso le scene di vita quotidiana della famiglia Estense.


I decani sono corrispondenti alle decadi, tre periodi di dieci giorni in cui è diviso il mese governato da ciascun segno zodiacale. Secondo la concezione astrologica, infatti, i nati in ciascuna decade, oltre a subire gli influssi dei pianeti e delle stelle relativi al proprio segno zodiacale, sono influenzati da esse nelle loro attitudini e comportamenti.



Per i dodici segni zodiacali rappresentati, sono quindi da aggiungere le rappresentazioni di trentasei decani, tre per ciascun segno.

La divisione dello zodiaco in trentasei decani è di antica origine egizia.

Lo zodiaco inizia sulla parete est, con il segno dell'Ariete, nel mese di Marzo.


L'iconadell'ariete il cui vello d'oro fu l'obiettivo del viaggio di Giasone e degli Argonauti, è simbolodella costellazione dell'Ariete, che secondo l'astrologia determina una serie di caratteristiche comportamentali di coloro che nascono nel periodo compreso tra  21 marzo, equinozio di primavera, e il 20 aprile. L'icona del sole è simbolo della posizione di tale stella nel cielo rispetto al segno.

È accompagnato da tre personaggi, i tre decani.

Abbiamo nel primo l'icona di un uomo scuro che indossa un abito bianco stracciato e ha una corda intorno alla vita, la seconda, icona di una donna accovacciata vestita di rosso e terzo, icona un giovane aitante che tiene in mano una freccia, un cerchio e ha lacci pendenti dai polsi, prosopopeeciascuno della decade corrispondente, prima, seconda o terza e icone di Perseo, Cassiopea e dell'auriga Enioco.

Ciascun decano è a sua volta simbolo della relativa costellazione che dovrebbe conferire particolari caratteristiche ai nati nel periodo di loro pertinenza.

È interessante notare la similitudine tra il primo decano e le prosopopee dell'accidia, rappresentata come una vecchia deforme, priva di braccia, per la sua incapacità di agire che è condotta, tramite una corda dall'inerzia, con la camicia lacera, presenti nel trionfo della Virtù di Andrea Mantegna, conservato al Louvre.

Il secondo mese è Aprile, con il segno del Toro.


L'icona del toro in cui si tramutò Zeus per sedurre Europa, una principessa fenicia, è simbolo della corrispondente costellazione.

Le prosopopee delle tre decadi che lo accompagnano sono icone di Maia ed Hermes suo figlio, simbolo delle Pleiadi; di Sirio, simbolo della costellazione del Cane Maggiore e del cavallo Pegaso, simbolo dell'ammasso galattico delle Iadi.

A Maggio troviamo l'icona dei Gemelli Castore e Polluce, accompagnati dalle prosopopee delle tre relative decadi.


Il primo decano è icona di un uomo, in piedi, di nobile lignaggio, riccamente abbigliato, che tiene un lungo bastone con la mano destra, simbolo della costellazione dell'Auriga; il secondo decano è formato dall'icona della coppia di Ercole e Apollo che suona il flauto e infine, il terzo decano è icona di Apollo arciere, simboli di parti della costellazione dei Gemelli.

Si continua nella parete nord con il mese di Giugno e il relativo segno zodiacale del Cancro.


Vi è raffigurata l'icona del granchio che emerse dalla melma e morse il piede di Eracle che lottava contro il mostro dalle molte teste di nome Idra nella palude vicino a Lerna. Il semidio lo calpestò furiosamente riducendolo in poltiglia e la dea Era, nemica di Eracle, gli riservò per questo un posto fra le stelle dello zodiaco.

Lo circondano le icone di Orione, di Iside e infine di Argo, simboli dei rispetti corpi o ammassi celesti.

Nel mese di Luglio troviamo il segno del Leone.


È simboleggiato dall'icona del leone nemeo, sconfitto da Ercole nella prima delle sue dodici fatiche.

Accanto a esso troviamo l'icona di un uomo con copricapo e abito talare, seduto sopra un albero dalle grandi fronde e ampie radici. Sui rami dell'albero compaiono anche un cane e un uccello. Tale decano è simbolo della costellazione dell'Idra. Il secondo decano è icona di Regolus, il piccolo re, simbolo della stella Regolo. Il terzo decano è icona di Boote, guardiano o custode della costellazione dell'Orsa e simbolo della relativa costellazione.

In Agosto abbiamo il segno della Vergine.


È simboleggiato dall'icona di Astrea, la vergine figlia del dio Zeus e della dea Temi.

Accanto troviamo il primo decano, l'icona di Proserpina, con in mano la melograna, simbolo del regno dei morti e della vita immortale; il secondo decano è icona di Boote, simbolo della costellazione dell'Orsa. Il terzo decano è icona di una donna anziana, che indossa un abito monacale, inginocchiata, raccolta in preghiera, simbolo di un ammasso stellare che gli astrologi arabi chiamavano “la coperta” in quanto la luminosità ne risultava offuscata.

In Settembre abbiamo la Bilancia.


L'icona è quella della bilancia tenuta in mano da Astrea o da Diche, della della giustizia.

I tre decani sono icone di un uomo, in piedi, che suona uno strumento a fiato, che sorregge con la mano destra e che con la sinistra tiene un uccello capovolto, appeso a un bastone, simbolo della costellazione fantasma, Hades. Vi è poi l'icona  del padre di Callisto che piange la figlia, trasformata nella figura dell'Orsa, il quale è simbolo della costellazione fantasma di Engonasin. Infine abbiamo l'icona una metamorfosi di Arianna addormentata, vittima dell'abbandono di Teseo che è cacciata da un arciere, simboli della costellazione del Centauro.

Nelle pareti ovest e nord abbiamo la parte più rovinata, talvolta illeggibile, degli affreschi.

Nel mese di Ottobre appariva il segno dello Scorpione, non più visibile.

Possibile ricostruzione del segno mancante nel mese di Ottobre.
L'icona era quella dello scorpione che punse a morte Orione il cacciatore.

Intorno ad esso i tre decani: l'icona di "una donna formosa e ottimamente vestita, per la quale due giovani adirati tra di loro si percuotono con dei bastoni. E' una traditrice bella, lusinghiera e nefasta" come ci informa Galileo Galilei.

Vi è poi l'icona di "una coppia di un uomo e di una donna del tutto denudati e un uomo seduto a terra, il quale ha davanti a sé due cani che si mordono reciprocamente" come ci informa Enrico Cornelio Agrippa. Tale icona è simbolo di impudenza, imbroglio, delazione, calamità e rissa".

Il terzo decano è icona di "un uomo incurvato sulle ginocchia, bastonato da una donna"simboli di "di ubriachezza, fornicazione, ire, violenze e contese processuali" sempre secondo Cornelio Agrippa.

La ricostruzione mostra diversi soggetti rispetto a quelli elencati, che rimandano piuttosto a scene di caccia e lotta.

Questo è l'effettivo stato del mese di ottobre e di quelli seguenti
A Novembre il segno del Sagittario.

Il segno zodiacale era simboleggiato dall'icona di Crotus, figlio di Pan e di Eufeme, la nutrice delle Muse.

Il primo decano, secondo Agrippa, era icona di un uomo con corazza, e spada snudata. Simbolo di attività belliche, arditezza e libertà.

Il secondo decano era icona di una donna in lacrime, coperta di panni, simbolo di afflizione e timore per il proprio corpo.

Il terzo decano era icona di un uomo dedito all'ozio che giocherella con un bastone, simbolo di cocciutaggine, la disposizione al male e contese.

A Dicembre il segno del Capricorno, simboleggiato dall'icona una improbabile creatura, con la testa e le zampe anteriori di capra o di unicorno e la coda di pesce.

Agrippa ci parla dell'icona di una donna e di un uomo scuro provvisto di borse piene di denaro, simboli della tendenza alla dissipazione delle ricchezze e ai piaceri, i guadagni e fiacchezza e abiettezza nell'assoggettarsi alle sconfitte, nel primo decano.

Ci descrive il secondo decano come icona di due donne e un uomo nell'atto di contemplare il volo di un uccello, simbolo di curiosità insane che non è permesso esprimere e ricerche interdette.

Ci racconta infine il terzo decano come icona di una donna pura nel corpo e avveduta nelle azioni e di un cambiavalute che accumula denaro su di una tavola. Simboleggiano un"accorta amministrazione, bramosia di ricchezze e taccagneria.


A Gennaio il segno dell'Acquario, è di solito simboleggiato dall'icona di  Ganimede, che era ritenuto il più bel ragazzo esistente sulla faccia della terra e che fu rapito dall'aquila di Zeus e portato a vivere sull'Olimpo, dove divenne il coppiere degli dei.
Sempre Agrippa ci tramanda una descrizione dei tre decani.

Il primo era icona di un uomo prudente e di una donna che fila, simboli di impegno e attività allo scopo di conseguire guadagni e di miseria e bassezza.

Il secondo era icona di un uomo dalla lunga barba, simbolo di di discernimento, benignità, riserbo, libertà.

Il terzo decano era icona di un uomo bruno incollerito, simbolo di arroganza e sfacciataggine.

Infine a Febbraio era stato affrescato il segno dei Pesci, simboleggiato dall'icona dei due pesci che vennero fuori dall'acqua del fiume Eufrate e trasportarono Afrodite ed Eros sui loro dorsi, venendo in loro soccorso mentre la dea e il figlio fuggivano dal mostro Tifeo, figlio di Gea.

Per l'Agrippa vi erano le seguenti raffigurazioni:

L'icona di un uomo ben vestito carico di fardelli sulla schiena era prosopopea della prima decade e simbolo di viaggi, trasferimenti, crucci di guadagni e di mantenimento.

L'icona di una donna bella ed elegante, prosopopea della seconda decade era simbolo di istanze e intromissioni per cose magnifiche.

Le icone di un giovane nudo e di una splendida fanciulla con una ghirlanda floreale, prosopopee della terza decade, simboleggiano il riposo, il dolce ozio, la voluttà, la fornicazione e le lusinghe femminili


LA TRINITÀ INFERNALE

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Grottesco e spaventoso appare al visitatore l'orrendo aspetto di Satana che appare nei mosaici del battistero di Firenze che ricoprono la cupola interna e la volta dell'abside, creati a partire dal 1225, e completati verso il 1330.

Un enorme Satana cornuto, su un trono infiammato, divora un uomo mentre dalle orecchie gli escono due serpenti che addentano altrettanti dannati.



La raffigurazione è opera di Coppo di Marcovaldo, il cui nome originale era Coppus Alarcoaldi, nato a Firenze nel secondo o nel terzo decennio del XIII secolo.

Orrendi diavoli con ali nere di pipistrello, antiteticiagli splendenti angeli dalle luminose ali che vivono nella beatitudine del Paradiso, spingono i dannati, dove si accalcano calpestandosi, e tappandosi gli occhi e la bocca per il disgusto e l'orrore del luogo o meglio, della dimensione in cui dovranno stare per sempre.

Nella scena appaiono mostri a forma di serpente, di rana o di lucertola, simbolidi malvagità e metafora della natura insaziabile di Satana.


Le orecchie d'asino di Satana sono simbolo della natura bestiale e malvagia del demonio e dell'Anticristo.

Le corna, attributo iconografico del demonio, derivano dalla rappresentazione del dio celtico Cernunnos e sono il simbolo della sconfitta del paganesimo operata dalla Chiesa.

Si assiste sgomenti alle pene infernali cui sono sottoposti per contrappasso, ovvero per antitesi rispetto ai peccati compiuti, i dannati: impiccati, mutilati, arsi allo spiedo, sbattuti o obbligati a bere oro fuso; un gruppo di dannate è avvolto dalle fiamme, simbolo sia della pena infernale e indicedi dolore, soprattutto spirituale, ma anche della "pulizia" e della distruzione della "spazzatura spirituale umana", con allusioneai discorsi fatti nel Vangelo da Gesù che affermava che i malvagi sarebbero stati gettati nella Geena, fra le fiamme, ovvero nel grande deposito dei rifiuti alle porte di Gerusalemme.

Per analogia, l'Inferno è quindi un immenso scarico e inceneritore di immondizia.

Satana viene spesso rappresentato nell'atto di inghiottire i dannati in quanto il motivo infernale della "bocca divorante" riflette un'antica concezione del principio di creazione e distruzione.

Sia in questa rappresentazione come in quella di Giotto, del 1306, che appare nella Cappella degli Scovegni a Padova, Satana appare con il "vultus trifrons", ovvero con tre facce.


Tale rappresentazione, mutuata anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, al canto XXXIV della prima Cantica, è la perfetta antitesi della Trinità celeste: se le caratteristiche divine sono la divina podestate, (il Padre) la somma sapïenza (il Figlio) e 'l primo amore (lo Spirito) (Inf. III, vv. 5-6), quelle di Lucifero sarebbero quindi, in antitesi, impotenza, ignoranza e odio, rappresentate simbolicamente dai tre colori delle facce di Lucifero citati da Dante, rosso, bianco-giallo (faccia a destra) e nero (faccia a sinistra).

C'è anche chi ha attribuito ciascun colore al simbolo di una fase dell'opera alchemica, la rubedo, l'albedo e la nigredo.


Le rappresentazioni del vultus trifrons sono molto antiche: abbiamo rappresentazioni di divinità solari a tre teste o con tre volti su una testa sola tra i Celti, nelle regioni della Gallia romana e nei Balcani. Le divinità a tre teste nei culti pagani, furono quindi assimilate dai cristiani all'opposto di Dio, ovvero al Nemico, al demonio.

Dante vede Lucifero come uno sconfitto reso impotente da Dio, quindi anche ridicolizzabile dagli uomini: Giotto lo dipinse obeso nella Cappella degli Scrovegni (1306), è grottesco quello di Coppo nel Battistero di Firenze e Dante lo userà come scala, per accedere al Purgatorio e uscire dall'Inferno.

L'antitetica deforme allegoriadella Trinità, sconfitta, umiliata e derisa alla fine dei tempi, è un motivo ricorrente, quindi, nell'arte e nella letteratura medievale, per meglio far rifulgere lo splendore, la gloria e la vittoriosa magnificenza dell'onnipotente e onnisciente Amore divino.

STUDIO APERTO E IL TG SPETTACOLO

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Li continuiamo a chiamare organi di informazione, ma ormai sono più che altro eventi spettacolari, quando non di propaganda. Parliamo dei telegiornali, lontani ormai anni luce dall'idea di "neutralità, oggettività, trasmissione di dati" che definirebbero il termine stesso "informazione".

Già da tempo, in effetti, i tre generi canonici:
  • informazione
  • intrattenimento
  • cultura 
sono stati ampiamente rimescolati e contaminati in diversi generi ibridi quali:
  • infotainment
  • edutainment
ma l'effetto di tale commistione nei TG diventa sempre più evidente e grottesco, anche se il pubblico, ormai  è incapace di accorgersi delle enormità di tale processo, diseducato da diversi anni di cattiva televisione.

Un esempio è fornito da Studio Aperto. Oltre alla ovvia considerazione della scelta delle notizie, quasi sempre sottolineando quelle di cronaca nera, gossip o "di colore", non si possono non notare, anche ad una analisi superficiale, l'uso del linguaggio, della terminologia o di svariate figure retoriche, neanche se stessimo assistendo a uno spot commerciale.

Belén Rodriguez, una delle ospiti fisse del TG spettacolo
Si nota infatti grande uso di connotazioni (la mamma, il papà, i bimbi, il ragazzino, gli angioletti) anziché denotazioni (la madre, il padre...) che dovrebbero descrivere la realtà, abuso di iperboli e metafore, con le notizie lette con un ritmo sempre uguale, incalzante ma ipnotico, che crea una sorta di musica cadenzata nella testa e non invita alla riflessione, ma all'emozione.

Il lancio della rubrica Cotto e mangiato condotta da Benedetta Parodi
Grande uso di angoli di ripresa che atterrano o esaltano i soggetti inquadrati con l'ovvio risultato di innalzarli o distruggerli a livello percettivo, oppure montaggio delle immagini tale da creare inferenze negli spettatori e spingerli a provare emozioni e non a esercitare la critica.

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Lefunzioni comunicative più (ab)usate sono quella emotiva e quella fatica (per tenere desta attenzione e interesse).

Studio Aperto è una delle forme di TG spettacolo più evidenti, ma purtroppo non la sola.

L'intrattenimento (e la propaganda) si nascondono in tutti i meandri della comunicazione.



SIMBOLI DELLA TORRE DI BABELE DI BRUEGEL

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A Babilonia era stata costruita, secondo il racconto della Genesi, una torre che voleva dimostrare l'uguaglianza degli uomini con Dio, con un atto di empia superbia.

In seguito a ciò, come noto, per punizione, gli idiomi dei popoli furono confusi e non vi fu più la primigenia lingua universale.


Tale edificio allude alla principale ziggurat di Babilonia ("Babele"è sinonimo di Babilonia), chiamata Etemenanki, centro religioso principale della città e di tutta l'area circostante. Dedicata al dio Marduk, nel periodo di Nabopolassar era alta 30 cubiti (circa venti metri). Altri studiosi pensano che fosse ispirata agli ziggurat di Ur o di Borsippa, sempre in Babilonia.

Questo episodio biblico viene rappresentato ne La grande torre di Babele di Pieter Brueghel il Vecchio, dipinta nel 1563.



La torre è nel dipinto l'iconadel Colosseo, il quale era simboloper i cristiani contemporanei di Bruegel di Hýbris, ovvero di tracotanza, prevaricazione, e persecuzione di fede, poiché luogo di martirio di molti cristiani.


Mircea Eliade, nel suo Trattato di storia delle religioni scrive che «Il termine sumerico per indicare Ziqqurat è U-Nir (monte), che Jastrow interpreta come 'visibile a grande distanza'. La ziqqurat era, propriamente, un 'monte cosmico', cioè un'immagine simbolica del Cosmo; i suoi sette piani rappresentavano i sette cieli planetari (come a Borsippa) o avevano i colori del mondo (come a Ur).»

A Borsippa, ciascuno dei sette terrazzi che formavano la ziggurat dedicata a Nabu, figlio di Marduk, era rivestito con mattoni di colori differenti. In una iscrizione Nabucodonosor dichiarava che la torre di Nabu doveva raggiungere il cielo e lo chiamò “il tempio delle sette luci della terra” (che significa il tempio dei pianeti).


La torre di Ur, dedicata a Nanna, dio della Luna, era alto in origine 26 metri disposti in tre piani ed era usato come un osservatorio astronomico.

Nel mondo antico la Torre di Babele era considerata una costruzione carica di valori magici e simbolici.

Il suo nome significava"porta di Dio" o anche Montagna.

Era il simbolo di congiunzione tra la dimensione divina e celeste e quella umana e terrestre, una sorta di portale fra due dimensioni.

La torre era icona della montagna sacra simbolo del trono del dio creatore e signore dell'Universo. "Trono", "tempio", "Montagna cosmica" non sono che sinonimo del medesimo simbolismo del Centro, che ritroviamo di continuo nella cosmologia e nell'architettura mesopotamiche.

Sulla sua cima astrologi e maghi osservavano i segni astrali e canalizzavano sulla terra le energie spirituali provenienti dalle stelle.


La Torre di Babele era costruita a immagine del Mondo; i suoi piani simboleggiavano le divisioni dell'universo: il mondo sotterraneo, la terra, il firmamento.

Secondo i codici prossemici, ciò che più era prossimo al cielo era simbolo della trascendenza, ciò che era più vicino alla terra, della materialità. Quindi, secondo i codici cinetici, il movimento dei sacerdoti e dei pellegrini dal basso verso l'alto rappresentava una sorta di elevazione spirituale, un'ascensione al trascendente, al sovrumano.

Nell'opera di Bruegel, in basso a sinistra si vede il re Nembrot, il discendente di Noè che ordinò la costruzione della torre, che qui è simbolo di superbia.


La nube, in alto, è simbolo dello Spirito Santo, di Dio che sta per punire la folle arroganza degli uomini.

La commistione fra diversi ordini architettonici, classici, romanici e gotici, è simbolo della confusione delle lingue che di lì a poco avrebbe diviso il popolo in innumerevoli nazioni.

Vi è una profonda antitesifra i concetti di grande e piccolo, rappresentati dalla mole della torre in relazione alla piccolezza fragile degli operai, che rimanda con un'allusione alla grandezza di Dio rispetto alla minutezza umana.

Altra antitesi è quella fra i concetti di durata e possanza determinati, secondo le categorie semantiche tattili, dall'uso della pietra, all'esterno della costruzione e quello di fragilità e caducità, dati dall'uso del mattone, rosso, all'interno della costruzione, simbolo sia della potente alterigia umana che si scontra con la sua interiore fragilità, sia, ancora una volta, della comparazione fra l'eternità di Dio e la effimera presenza umana nel mondo.

Nella simbologia cristiana e ortodossa pare significativo che, durante la Pentecoste, gli apostoli, grazie al dono dello Spirito Santo, tornino ad essere comprensibili da popoli parlanti lingue diverse, vincendo così la spaccatura originata a Babele.

SAN GIORGIO, LA PRINCIPESSA E IL DRAGO

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La storia narrata nell'affresco "San Giorgio e la principessa" di Pisanello, si rifà alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, del XIII secolo: secondo la vicenda un drago, dal fiato pestilenziale, ammorbava il lago della città di Silena, in Libia.

Per placarlo, ogni giorno gli abitanti gli davano in pasto due montoni. Quando il bestiame scarseggiava, gli abitanti estraevano a sorte le vittime umane.

Una volta venne prescelta la figlia del re, che fu condotta al lago per essere divorata. Per sua fortuna sopraggiunse il cavaliere romano Giorgio che sfidò il drago, lo sconfisse, poi convertì gli abitanti e proseguì verso la Palestina.



Giorgio era originario della Cappadocia, regione dell'odierna Turchia e nacque verso l'anno 280. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, e fu martirizzato durante le persecuzioni contro i cristiani.

L'affresco si trova nella chiesa di Santa Anastasia a Verona, nella parete esterna, sopra l'arco, della cappella Pellegrini (o "Giusti"). Capolavoro del tardo gotico, fu realizzato tra il 1433 e il 1438 da Antonio di Puccio Pisano, meglio conosciuto come Pisanello, che nacque a Verona intorno al 1395 e morì forse a Napoli intorno al 1455.


L'opera era composta da due parti, quella destra, con il commiato di san Giorgio dalla principessa di Trebisonda, che ci è pervenuta in condizioni buone, e quella sinistra, con il drago al di là del mare, che è quasi totalmente perduta.

La parte superstite mostra un momento critico della storia di san Giorgio, simbolodell'Occidente, quando sta salendo sul suo cavallo bianco, simbolo di luce, sole, giorno, vitalità, resurrezione, per imbarcarsi e andare a uccidere il drago, simbolo dell'impero turco, che si accingeva a divorare la figlia del re della città, simbolo di Costantinopoli.

In questo dipinto la principessa fu impersonata da Maria Comnena, figlia di Alessio IV Comneno di Trebisonda e di Teodora Cantacuzena che sposò nel 1427 Giovanni VIII Paleologo. Era considerata una delle donne più belle del suo tempo.


La principessa ha un'acconciatura molto elaborata, con l'attaccatura della capigliatura altissima, secondo la moda dei primi decenni del secolo, ottenuta depilando i capelli sulla fronte e le tempie con una candela accesa. Il suo abito sontuoso è di stoffa e pelliccia. Tali codici dell'abbigliamento e dell'acconciatura la identificano proprio come principessa.

Accanto a lei vi sono alcuni animali: un ariete accovacciato, un levriero e un cagnolino da compagnia.

L’ariete è uno dei simboli maggiori dell'energia, del dinamismo e della rigenerazione. Unisce i simboli della fertilità e del sacrificio. L’ariete d'oro nei templi di Israele era simbolo della presenza di Dio. Spesso è usato come simbolo di Gesù Cristo, sottolineandone il sacrificio e la natura redentrice.


Il cane è in generale simbolo di lealtà, amicizia. Il levriero insiste maggiormente sulla simbologia dell'amicizia spinta sino al sacrificio personale, rifacendosi alla antica leggenda del Santo Levriero che salvò il bambino del suo signore da un serpente velenoso ma che all'inizio, a causa di un equivoco, essendo stato creduto colpevole di aver ucciso il bambino, per il sangue che aveva sul muso, fu decapitato dal suo padrone. Poco dopo il cavaliere si rese conto del tragico errore: il suo fidato levriero aveva dato la vita per proteggere il bambino da un serpente grande e velenoso.



Il levriero diventa simbolo quindi di San Giorgio e del suo sacrificio.

Nella mitologia greca la figura del Cane ricorre continuamente come custode (per esempio Cerbero, custode del regno dei morti). È protettore, fedele seguace delle divinità , come i cani da caccia di Artemide, e guida spirituale.


Il pericoloso drago è simbolo del sultano ottomano Murad II, con i due cuccioli, uno più grande (Maometto II) e uno più piccolo (Alaeddin Alì).

Interessanti i ritratti per il loro codici mimetici: tra questi spiccano i due volti grotteschi a sinistra, forse due "turcimanni", icone degli Ottomani che stavano assediando l'Impero bizantino.


Ricchi i codici dell'architettura. Pur essendo rappresentata Trebisonda, vediamo che la torre merlata ricorda da vicino quella di Arnolfo, a Firenze mentre il campanile appuntito è simile a quello della Badia Fiorentina.

Nel lato perduto del dipinto si sono salvati pochi dettagli, come quello, una salamandra che cammina tra i resti dei pasti del drago. La salamandra simboleggia la costanza, la resistenza al male e ai nemici, e inoltre il valore militare, perché si riteneva che potesse resistere in mezzo alle fiamme.


Accanto a Giorgio, guerriero a servizio del Bene, un cavallo ha le froge tagliate: era la crudele usanza orientale per permettergli di respirare meglio nella corsa.

Sopra il re, a cavalcioni di un mulo bardato e riconoscibile per il mantello d'ermellino, si vede un patibolo: i cadaveri di due impiccati, coi pantaloni abbassati, in segnodi derisione, offrono una sorta di danza macabra, lugubre monito alla vanità del potere.

Accanto, un  corvo gracchia. Nella tradizione alchemica il corvo, a causa del colore nero delle sue piume, rappresenta la putrefazione della materia.


Vi è però anche un arcobaleno, simbolo di redenzione e rinascita.

L'ELEMOSINA DEL MANTELLO

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Francesco che dona il mantello a un povero è una delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, realizzato da Giotto tra il 1296 e il 1299

I codici dell'abbigliamento indicano che il povero che riceve l'elemosina da Francesco non è un mendicante, ma un nobile caduto in disgrazia.


I codici dell'architettura, rappresentati dalle mura e dal monastero nel quale aveva soggiornato San Benedetto, ambientano la vicenda ad Assisi.



Il cavallo bianco di Francesco (ora annerito dal tempo) è simbolodi purezza, nobiltà e bellezza.

L'aureola, sul capo di Francesco, non ancora consapevole della sua missione (non indossa ancora il saio) è simbolo di santità.


Le due linee ascendenti che si dipartono dal capo del Santo, lo collegano idealmente e metaforicamentea due simboli, la città, della vita laica, il monastero, di quella monastica.

In pratica, sembra che Francesco sia a un bivio allegoricodella sua vita, dovendo scegliere tra il mondo profano e la sacra missione che fra poco intraprenderà.

Il colore del mantello, giallo, richiama percettivamente l'idea del cambiamento.


Il gesto di carità, simboleggiato dal mantello, al nobile povero che sta nella sezione dell'affresco dedicata al sacro, fa intuire quale sarà la sua scelta tra questi due concezioni di vita in antitesi.

La ricca esistenza offertagli dal padre Pietro di Bernardone, sarà rifiutata per Madonna Povertà.

OSSIMORI E SIMBOLI DELLA TEMPERANZA.

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La temperanza è una virtù intrigante e creativa, spesso sottovalutata.

Viene spesso rappresentata dagli artisti. Un esempio è fornito dal dipinto del 1470 di Piero del Pollaiolo, conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

La Temperanza, definita come la virtù del "giusto mezzo", è una giovane fanciulla, prosopopeadella virtù, che esprime, con i codici mimetici e gestuali, calma, compostezza e autocontrollo e che stempera il vino con l’acqua, simbolidi concetti antitetici, come purezza e sensualità, semplicità e lusso, eccesso e sobrietà.

La Temperanza del Pollaiolo
Siede su un trono, simbolo del dominio di tale virtù nell'animo.

Scopo della temperanza è quello di governare nella persona umana gli slanci propri della sua natura. In tal senso, Aristotele insegnava che la temperanza «è una medietà relativa ai piaceri» (Etica Nicomachea III, 10).


Quindi la temperanza media le antitesi e crea ossimori: mediando sensualità e modestia crea il concetto di sensuale modestia; mediando fra semplicità e lusso crea il concetto di lussuosa semplicità; temperando allegria e compostezza, genera una composta allegria.

Crea quindi realtà nuove con il suo intervento e quindi è figura archetipica del Mago.

Il suo compito è quello dominare gli impulsi evitando gli eccessi fisici ed emotivi. E' nemica quindi delle iperboli.

La sua funzione è moderare gli slanci della natura umana. Non si oppone alle inclinazioni, ai desideri, alle simpatie, alle preferenze ma li fonde insieme in giusta misura, invitando a farne un uso ordinato e armonioso.

La Temperantia di Giotto
Negli affreschi della cappella degli Scrovegni di Padova, Giotto rappresenta Temperantia con un morso che simboleggia la lingua messa a freno, e una spada parzialmente fasciata simbolo della capacità di lottare mantenendo però il controllo; Ambrogio Lorenzetti, fra le allegorie del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena, presenta una Temperanza che tiene in mano una clessidra, come segno di esortazione a impiegare il tempo con saggio equilibrio;

La Temperanza di Ambrogio Lorenzetti
Platone chiamava sophrosyne la virtù del dominio di sé (Pl., Resp. IV, 430d)

Seneca ammoniva Lucilio (Ep. ad Luc., XI, 29) scrivendo  “temperantia voluptatibus imperat” la temperanza regola i piaceri.

"Est modus in rebus" traducibile con "esiste una misura nelle cose" è una celebre locuzione di Quinto Orazio Flacco per alludere alla virtù della temperanza.

Quindi, prima che essere una virtù riconosciuta dal Catechismo, la Temperanza era ben conosciuta e ammirata dagli uomini.


La temperanza appare anche nelle carte dei tarocchi, fra gli Arcani Maggiori, che contengono numerose figure archetipiche e ancestrali.

SIMBOLOGIA DI FRUTTI E FIORI

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La frutta e i fiori che adornano, bellissimi, le più famose opere d'arte, non sono solo icone con funzione comunicativa estetica, ma sovente diventano simboli di concetti che l'artista intende rappresentare nel suo capolavoro e quindi messaggi inviati, in modo recondito, agli ammiratori presenti e ai posteri, con funzione metalinguistica.



Se osserviamo per esempio La Madonna della melagrana di Sandro Botticelli, del 1487 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, il Bambino tiene tra le piccole mani una melagrana, simbolo anticipatore della passione, che per il colore del suo succo richiama il concetto di sangue e di martirio. Un martirio però fecondo, come il frutto pieno di semi. Non dimentichiamo che la melagrana è anche simbolo di prosperità futura e di immortalità.

Nel Cantico dei Cantici, l'amata è paragonata ad un giardino pieno di alberi di melograno e si canta che l'amore potrà essere consumato tra i due sposi innamorati proprio quando gli alberi saranno fioriti, cioè nel pieno della futura felicità eterna.



Nella Madonna col Bambino, detta anche di Alzano, dipinto di Giovanni Bellini, del 1485, appare vicino alla Madre e al bambino in braccio, una pera, simbolo dell'umanità discendente da Eva, ma anche del benessere, della felicità, dell'appagamento finale dell'Uomo,  simbolo anche di Gesù e della Vergine



La Madonna della Melaè un'opera in terracotta attribuita a Donatello o a Luca della Robbia, databile al primo quarto del Quattrocento. In tale opera la mela è simbolo del peccato originale che Gesù osserva con attenzione e che è venuto a redimere.



Bernardino Luini nella Madonna del grappolo d’uva, del XVI secolo, mette in mano al Bambino una viola, simbolo dell'umiltà dimostrata dal Creatore che si è incarnato, abbassandosi alla condizione umana.



L'albero di fico, simbolo del peccato originale, di concupiscenza, di lussuria, viene sovrastato dal grappolo d'uvasimbolo della redenzione, che evoca il vino dell'Ultima Cena, sangue di Cristo che si immola per salvare da se stessa e dal peccato, l'intera umanità.

DAVIDE CON LA TESTA DI GOLIA DI CARAVAGGIO E LE ANTITESI NEL TESTO SINCRONICO

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Il Davide con la testa di Golia, realizzato tra il 1609 ed il 1610 da Michelangelo Merisi e conservato nella Davide con la testa di Golia, si presenta come un testo visivo sincronico, vale a dire una rappresentazione in cui lo spettatore può autonomamente scegliere da quale concetto contenuto nel testo può iniziare la sua personale fruizione.

Questo particolare stratagemma comunicativo permette una maggiore libertà di fruizione, ma se ben costruito può far evidenziare al meglio i cardini della rappresentazione medesima e in questo caso le numerose antitesi, tra cui le più evidenti sono:
  • il giovane Davide e il vecchio Golia
  • il vivo e il morto
  • il debole e il forte
  • il prima e il dopo
Su queste essenziali antitesi possono inserirsi delle ulteriori strutture semionarrative.

L'antitesi vivo/morto presente nel capolavoro di Caravaggio

Ad esempio all'antitesi prima/dopo è riferita l'allegoriaalla base dell'opera.

Infatti attraverso questa rappresentazione Caravaggio non intende raccontare solo il noto episodio biblico, ma come era la sua vita un tempo, con il simbolodel giovane Davide, splendente di luce e di speranze, che guarda con raccapriccio e insieme pietà la testa mozzata di Golia, simbolo di come è diventata la vita del pittore, che appare ferito, picchiato, bastonato dalla esistenza e dalle sue traversie, infine stroncato da esse.



È sostanzialmente l'iconadel giovane Michelangelo Merisi che guarda l'icona del vecchio Caravaggio con pena e quasi disgusto.

La testa di Golia è infatti un autoritratto del Caravaggio, quindi una sua icona, del periodo successivo all'aggressione subita dai Cavalieri di Malta, a causa di una sua misteriosa offesa fatta a uno dei loro capi.

Caravaggio appare ferito, con i denti spezzati, un occhio strabico, pieno di lividi.

Il viso tumefatto di Golia diventa icona di quello di Caravaggio
Caravaggio sapeva di essere braccato, quindi con questa tela, acclusa alla domanda di grazia che egli stesso inviò al cardinale Scipione Borghese, il potente nipote di papa Paolo V, mandava una richiesta di aiuto.

Come prova dell'estremo atto di contrizione formulato dall'artista, sulla lama che il giovane stringe in pugno si leggono le lettere "H-AS OS", sigla che riassume il motto agostiniano "Humilitas Occidit Superbiam" (l'umiltà uccise la superbia).

Il motto agostiniano H-AS OS (l'umiltà uccide la superbia) sulla lama della spada di Davide
Un messaggio in codice, quindi, ricco di simbologie, che si fa testo di richiesta di aiuto nel periodo contemporaneo al pittore e che diviene testo metaforico della disfatta di Golia, il forte e tracotante gigante dei Filistei ucciso dalla fionda di un ragazzino coraggioso ma debole.

Il buio che inghiotte la spalla di David è simbolo della profondità delle tenebre dell'inferno, rischiarate dalla luce, simbolo della grazia che colpisce violentemente i tratti stravolti di Golia.

Alla metà di luglio del 1610 Michelangelo Merisi si imbarcò per raggiungere Porto Ercole, ultima tappa delle sue tormentate peregrinazioni terrestri, dove trovò la morte.

Potete approfondire la travagliata esistenza di Caravaggio al seguente link:

http://www.arseuropa.org/channel/2017/12/29/caravaggio/

dove troverete un interessante documentario sulla vita dell'artista.

Si possono ammirare Il Davide con la testa di Golia e altri capolavori di Caravaggio nella nostra rassegna video.

NEL SEGNO DELLA GIUSTIZIA

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Dopo l'analisi della Fortezza e della Prudenza, passiamo a scoprire i simboli contenuti nella Giustizia, dipinto a olio su tavola di Piero del Pollaiolo, databile al 1470 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Una austera giovane donna, prosopopea della Giustizia tiene in una mano il globo, simbolo del mondo sul quale estende il suo dominio, mentre nell'altra regge una spada con la quale applica in modo imparziale le sentenza. Al posto del globo spesso si trova la bilancia, simbolo di equità.


La donna veste un'armatura, simbolo di combattimento, come la spada, che è anche simbolo di forza, del potere che la Giustizia deve avere per imporre e far rispettare i propri giudizi oltre che della capacità di separare il Giusto dalla sua antitesi, l’Ingiusto.



Si tratta in genere di una spada a doppio taglio, una figura simmetrica, che simboleggia l'idea di armonia e ordine che si allarga dal piano giuridico a quello cosmico e metafisico, i concetti di equilibrio ed equità e il fatto che la giustizia si traduce in un dovere e in un diritto.


La spada crea una linea diagonale ascendente che rimanda inconsciamente a un'idea di progresso, crescita spirituale. Inoltre, secondo i codici prossemici, tale posa indica che la giustizia è sempre pronta, all'erta, per difendere il diritto di ciascuno e l'equità.

La spada, allude anche alle scene del Giudizio finale, in cui figura nelle mani dell'arcangelo o esce dalla bocca del Cristo giudice.

Tableau de justice dell'inizio del XV secolo, Wurzburg, Bischofliches Ordinariat, qui tratto da Jacob, tav. VII.
Così scrive Paolo nella Lettera ai Romani (13, 1-4): ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio [...] Vuoi non aver da temere l'autorità? Fà il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada [...].

Questi elementi fanno della giustizia una rappresentazione dell'archetipo del guerriero.

Il trono su cui posa è simbolo di dominio di tale virtù nell'animo dei "figli della Luce".


"Iustitia" era una divinità della mitologia romana che derivava da “Themis”, (“Temi” è una parola greca che significa “irremovibile”) figura mitologica che era la personificazione dell’ordine, della giustizia e del diritto. I giudici greci erano conosciuti come “themistopoloi”, servitori di Themis.

Il termine greco per giustizia è dikaiosyne mentre il giusto è dikaios. Derivano dal sostantivo dike che significava in origine colei che indica, che indirizza e quindi, in senso lato, direttiva, indicazione, ordine.
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