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MEDUSA LA GORGONE E L'ALLEGORIA DELLA PERVERSIONE

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I miti antichi hanno sempre avuto grande presa sull'immaginazione umana e questo grazie all'utilizzo di strutture semionarrative stratificate e profonde insite nella leggenda.

È il caso del mito di Medusa, figura mitologica di aspetto mostruoso, che era una Gorgone, figlia di Forco e di Ceto.

Aveva due sorelle, Steno ed Euriale. Le tre donne avevano serpenti al posto dei capelli, ali d'oro, zanne di cinghiale e mani con artigli di bronzo e chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato.

Particolare del celebre Scudo con testa di Medusa, dipinto nel 1597 da Caravaggio
Si tratta quindi di iconedi mostri, formate per accumulazionedi vari particolari tratti da animali comuni, che vengono però accostati a elementi che per essi non sono naturali (ali d'oro, artigli di bronzo).

La Gorgone per antonomasia era Medusa, unica mortale fra le tre e loro regina.

Secondo la mitologia greca, Persefone, sposa di Ade, signore dell'Oltretomba, l'aveva nominata custode degli Inferi.

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Le Gorgoni sono simbolodi perversione: Euriale di quella sessuale, Steno di quella morale e Medusa di quella intellettuale.

Il fatto che siano in tre, rende ancora più intenso tale significato, grazie alla ridondanza.

La Medusa di Gian Lorenzo Bernini, scolpita nel 1630
Medusa fu uccida da Perseo, simbolodi vita integerrima, che solo non guardandola direttamente negli occhi, ma grazie al riflesso del suo volto sul suo scudo, riuscì a sconfiggerla, e questa è l'allegoriadella vittoria che può riportare l'onestà sulla perversione solo quando non entra direttamente in contatto con essa.

Il documentario sulle Gorgoni, proposto dal nostro canale video.


In questo video invece i capolavori di Caravaggio, tra cui spicca il celebre scudo con la Medusa.


IL SETTIMO SIGILLO DI BERGMAN, ALLEGORIA PARADOSSALE AL QUADRATO

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Un cavaliere di ritorno dalla Terrasanta, Antonius Block, è accompagnato dal suo scudiero Jöns.

L'uno idealista, ma sfiduciato, l'altro pragmatico come solo un realistico popolano ha imparato a essere sin dall'infanzia, stanno rincasando dopo anni di sanguinose (e inutili) battaglie contro "gli infedeli".

Improvvisamente, il melanconico e meditabondo cavaliere, simbolo dell'uomo alla ricerca del senso della vita, incontra un personaggio enigmatico e agghiacciante, nerovestito, prosopopea della Morte, con il quale ingaggia una partita a scacchi, allegoria della continua battaglia contro l'ignoto che attanaglia l'essere umano di ogni epoca.

Lo scudiero, nonostante tutto il suo cinismo e astuzia è un "non predatore" nel quadrato semiotico
La vittoria è da sempre destinata alla Morte, ma pur consapevole di ciò il Cavaliere vuole prendere tempo per riuscire a capire cosa significhino Vita e Morte, se esista Dio, quale il senso dell'esistenza umana.

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Quando la Morte, alla domanda del Cavaliere risponde che forse Dio non c'è, l'esplosione angosciante che nasce dalla sua anima è "Allora la vita è un atroce orrore. Nessuno può vivere in vista della morte, sapendo che tutto è il nulla (paradosso)."

Il Cavaliere medita sul paradosso dell'esistenza umana senza Dio

Tutto il film è basato dalla continua antitesi Morte/Vita, Fede/Dubbio, Bianco/Nero, Nobile/Popolano, Predatore/Preda e via dicendo, che formano innumerevoli quadrati semiotici 

Il quadrato semiotico del predatore e della preda nel film

(ad esempio predatore/preda/non predatore/non preda espresso nelle figure Morte/Cavaliere/Giocoliere/Scudiero) e con vari modelli attanziali 

Soggetto/Cavaliere,
Oggetto/tornare a casa,
Aiutante/scudiero,
Opponente/Morte,
Destinante/Bergman,
Destinatario/Pubblico).

La famiglia che si ama rappresenta la "non preda" del quadrato semiotico

Un capolavoro estetico, cinematografico e comunicativo, ricco di strutture semionarrative profonde, metafora della ricerca del senso dell'esistenza di ciascuno di noi e di grande umanità.



1984, GEORGE ORWELL E LA NOSTRA SOCIETA'

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Pare talvolta di essere immersi in una variabile spazio temporale del romanzo di George Orwell, 1984.

Da ogni parte, con i mezzi di comunicazione imperanti (a partire dal Web) si vuole convincere l'umanità, contro ogni verità evidente, che i principi su cui si basa la nostra società sono quelli della Pace, della Libertà e della Forza intrinseca nel nostro modello sociale.

Ciò di cui tutti invece si stanno ogni giorno sempre più accorgendo (beh, se non tutti, molti) grazie al potere de-suggestionante della crisi economica è che siamo immersi, in antitesi in un mondo in cui regnano l'ignoranza, la guerra e la schiavitù.

Il grande fratello ti guarda

A proposito dell'ignoranza, c'è purtroppo poco da commentare. E' sotto gli occhi di tutti la condizione in cui versa la nostra scuola pubblica (e anche quella privata) con giovani (fatte le debite eccezioni) sempre più ignoranti, impreparati, demotivati; come poi non parlare della classe dirigente che ha sempre visto, negli ultimi decenni, la cultura come un'entità sconosciuta e pericolosa o nei casi meno gravi, inutile e comunque non redditizia, perciò tranquillamente sacrificabile?

La guerra che la nostra società sta vivendo, mai dichiarata, mai riconosciuta, è la Prima Guerra Globale Economica, che viene chiamata eufemisticamente "crisi" e che sta uccidendo, distruggendo, annientando pacificamente, con un ossimoro, interi popoli, e non metaforicamente, ma davvero.

La guerra è pace, la contraddizione dell'antitesi

La schiavitù che ci viene presentata come libertà è il regime autoritario e antidemocratico imposto dalle banche europee, dalle lobbies, dai mercati che costringendoci (con un chiasmo)a vivere per lavorare e non più lavorare per vivere (quelli che hanno la fortuna di averlo il lavoro) ci rende  schiavi dei debiti, delle rate, delle tasse, dei tributi e quindi di fatto vincola la nostra libertà come individui e, nel caso del debito pubblico, come popoli.

George Orwell, autore di 1984


1984 era l'allegoria di un mondo futuro disumanizzato, schiavo e sottomesso ai voleri di entità astratte che si componevano visivamente nella prosopopea del Grande Fratello.

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Oggi pare la triste metafora del mondo che abitiamo.

DIABOLIK, EVA, GINKO, I FUMETTI E LA SEMIOTICA

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Diabolik è una serie a fumetti creata nel 1962 da Angela e Luciana Giussani e pubblicata dalla Astorina.

Il protagonista è un ladro spietato ed è compagno di vita della bellissima Eva Kant. Il loro costante scopo è rubare denaro e gioielli per vivere una vita agiata e per finanziare i nuovi e sofisticati metodi per le future rapine.

Diabolik è icona iperbolica del ladro, citazione del "ladro gentiluomo" che ha il suo capostipite in Arsenio Lupin ma è molto più spietato, non esitando a uccidere, preferibilmente con veleni o pugnali.

Gli stessi "colpi" della coppia sono spesso tecnologicamente al limite dell'irreale, quindi anch'essi iperboli.



Per antonomasia egli è "Il Re del Terrore", "L'Inafferrabile Criminale", "Il Genio del Delitto", "L'Assassino Fantasma", "L'Assassino dai 1000 Volti", "Il Genio della Rapina", "Il Genio della Fuga".

Le maschere che Diabolik ed Eva usano per le loro rapine, composte da una resina modellabile che solidificando diventa sottile e trasparente come la pelle umana, replicandone perfettamente l'elasticità, sono esatte riproduzioni dei lineamenti di un volto umano creando un viso maschile o femminile, giovane o anziano, di propria invenzione oppure duplicazione  fedele di quello di una persona conosciuta partendo dall'osservazione diretta o anche solo da fotografie scattate di nascosto o recuperate da riviste e giornali.



Tali maschere permettono a Diabolik e a Eva di diventare icone dei personaggi nei quali si trasformano.

La coppia criminale è in lotta perenne con l'ispettore Ginko.



Si crea quindi il modello attanziale in cui soggetto è Diabolik, oggetto è rubare, aiutante è Eva, opponente è Ginko. Il destinante è la casa editrice, il destinatario il pubblico dei lettori.

Diabolik è insieme archetipo del mago, del viandante e del guerriero.

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Il "genio della rapina" ha dato vita a un fumetto divenuto leggenda grazie al talento delle autrici ma pure, senza alcun dubbio, grazie anche all'uso di tante accortezze semionarrative.

LE PROSOPOPEE DEI VIZI E DELLE VIRTÙ NELLA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI

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La Cappella degli Scrovegni a Padova, che custodisce il più completo ciclo di affreschi di Giotto, non è soltanto uno dei capolavori dell'arte figurativa di tutti i tempi, ma anche un meraviglioso testo visivo, ricco di significati.

La Cappella fu voluta da Enrico Scrovegni, un ricco banchiere della città. Si narra che lo Scrovegni commissionò questa cappella per riparare ai peccati del padre Reginaldo che prestava denaro ad usura. Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia" lo cita nella prima Cantica e lo pone nel girone degli usurai.

Enrico Scrovegni nella dedicazione della cappella dipinta da Giotto sulla controfacciata
Oltre al fascino artistico dell'opera è interessante scoprire anche l'aspetto simbolico.

Per esempio il quarto registro delle due pareti laterali, quello più in basso, riporta il percorso con quattordici figure monocromatiche che simboleggiano i Vizi sulla sinistra (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio) e le Virtù sulla destra (quattro cardinali, Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia, e tre teologali, Fides, Karitas, Spes).

La parete sud della Cappella suddivisa in registri.
Quello inferiore, contrassegnato dalle lettere, è quello dei Vizi e delle Virtù
Tali figure sono prosopopee del vizio o della virtù che rappresentano, oltre che sua allegoria, composte da una serie di elementi accessori simbolici.

La prosopopea (dal greco antico prósopon, faccia, persona, e poiéin, fare, agire ) è una figura retorica che si ha quando si fanno parlare o agire oggetti inanimati o animali, come se fossero persone.

Analizzando le  virtù, scopriamo la Prudenza, con l'iconadi una donna seduta a uno scrittoio che guarda uno specchio per controllare la situazione alle sue spalle. Tale gesto è allegoriadella capacità di discernimento e di attenzione posta alle conseguenze delle azioni e delle altre variabili, prima di prendere una decisione.

La Prudenza
Regge un compasso, simbolo di misura nelle azioni, nei pensieri e nei giudizi e ha sottomano un libro nel quale legge la storia del mondo per ricavare ammaestramenti, allegoriaalla disponibilità a imparare e capire prima di agire.

Il simboloè un segno il cui significante non assomiglia alla realtà che intende rappresentare.

La Fortezza è icona di una robusta guerriera, appoggiata a uno scudo con una croce e un leone a rilievo (simbolo di forza, di capacità di combattere per la Verità) che regge una mazza ferrata, simbolodelle armi spirituali che occorre rivestire per combattere la menzogna e l'iniquità del mondo.

La Fortezza
Al collo ha legata la pelle del leone Nemeo, che la connota come una vera e propria Ercolessa. Ercole era il semidio greco-latino della forza e quindi la declinazione al femminile di tale eroe connotamaggiormente di significato la figura.

La Temperanza è l'iconadi una donna che impugna una spada strettamente legata da nodi, simboleggiantecome essa non ricorra alla forza.

la Temperanza
Indossa una lunga tunica ed ha il capo coperto da un cappuccio, simboloe allegoria della sua capacità di non ostentare la sua presenza, ma di agire con discrezione, umilmente ma efficacemente.

La Giustizia è iconadi una regina su un trono, allegoria della sua maestà e signoria nei rapporti tra gli esseri umani.

La Giustizia
Nelle mani regge i due piatti di una bilancia, simbolo di equità, in cui si trovano a destra un angelo con la spada sguainata in atto di colpire un malfattore e a sinistra un altro angelo che incorona un saggio, allegoriedi riconoscimento del merito e punizione del demerito.

L'allegoria è la figura retorica per cui un concetto viene espresso attraverso un'immagine: in essa, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, non si basa sul piano emotivo bensì richiede un'interpretazione razionale di ciò che sottintende. È un simbolo trasformato in figura retorica.

La Fede è iconadi una donna con un mantello, una lunga veste bucata e un cappello appuntito; la veste ha dei buchi, allusione alla poca considerazione che un vero cristiano deve dare ai lussi di questo mondo. Il cappello è iconastilizzata di una mitra, copricapo usato dai vescovi.

La Fede
Regge un bastone con la croce, simbolodel Cristianesimo che professa e  un cartiglio, iconadei Vangeli. Alla cintura tiene una chiave, simbolodell'accesso nel Regno dei Cieli. Con l'asta della croce rompe un idolo abbattuto, allegoriadella distruzione dei miti e delle false divinità che vorrebbero prendere il posto di Dio nel cuore dell'Uomo e con i piedi calpesta delle tavole con arabeschi, allusione alla cabala e quindi al mondo ebraico ma anche agli oroscopi.

La Speranza è iconadi una donna con le ali, simbolodi elevazione dell'animo e capacità di vedere oltre il grigiore di ogni giorno.

La Speranza
Viene raffigurata di profilo mentre spicca il volo e leva le mani verso un angelo che le porge una corona, simbolodella vita sovrannaturale che attende coloro che non si abbattono e attendono una vita gloriosa nel Regno dei Cieli.

La Carità è iconadi una giovane incoronata di fiori, simbolodi felicità di cui essa gode sulla terra.

La Carità
Tiene un cesto ricolmo di fiori e frutta, simbolodell'abbondanza di cui gode e con la sinistra prende una borsa che le porge Dio, simbolodella Sua provvidenza: Ai suoi piedi vi sono sacchi di denaro per i bisognosi, allegoriadel desiderio di aiutare gli altri.


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Fra i vizi abbiamo le seguenti prosopopee.

La Stoltezza, iconadi un uomo addobbato da giullare, col capo ricoperto di piume, un gonnellino con strascico, una treccia in vita a cui sono appese due sfere, allegoria della poca padronanza di sé, mancanza di dominio sino al punto di rendersi ridicoli.

La Stoltezza
Ha una grossa clava in mano simbolodella pericolosità, già citata da san Paolo, dell'uomo naturale che non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito mentre l'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.

L'Invidia è iconadi un'anziana con un serpente che le esce dalla bocca, simbolodel suo maledire, che le si ritorce contro colpendole gli occhi, secondo il significato letterale etimologico della parola come il difetto del "non-vedere".

L'Invidia
Si tratta di un essere demoniaco, simboleggiatodalle corna che spuntano dalla cuffia che regge strettamente un sacco, simbolodi avarizia. Fiamme si sprigionano ai piedi dell'Invidia, che simboleggianosia l'inferno che il bruciare per il desiderio delle cose altrui.

L'Ira è iconadi una donna che nella follia della rabbia si straccia le vesti scoprendosi il seno e inclinandosi con bestiale irresponsabilità.

L'Ira
Il gesto allude al comportamento di Caifa, sommo sacerdote del Sinedrio davanti al Cristo.

L'Ingiustizia è iconadi un anziano magistrato corrotto, prigioniero di un castello in rovina, allegoriadelle nefaste conseguenze del suo agire, che sta seduto su una panca che ricorda un trono, ma non lo è (in antitesicon la prosopopea della Giustizia) bloccato davanti da una siepe d'alberi e arbusti, simbolidei suoi cattivi giudizi che impediscono la libertà di coloro ingiustamente condannati.

l'Ingiustzia
Il vecchio tiene in mano una spada, simbolo di punizione, ma è incapace di usarla perché non può muoversi. L'arpione nell'altra mano è simbolodel suo interesse malsano a prendere ciò che non gli spetta. Ai suoi piedi corre un fregio, metaforadelle ingiustizie che avvengono sotto il suo naso senza che intervenga, in cui la gente è rapinata per strada, i cavalli non obbediscono ai padroni e i guerrieri circolano seminando distruzione.

La Disperazione è l'iconadi una donna impiccata, con le mani contratte nello spasmo doloroso, codici gestuali che indicanouna morte violenta.

La Disperazione
La spessa corda pende da una stanga piegata dal peso e il collo appare spezzato. Il demonio che strappa i capelli alla donna è allegoriadel fatto che rifiutando la virtù teologale della speranza la donna sia condannata alle pene infernali.

L'Infedeltà, o meglio, l'Idolatria, è iconadi un soldato che indossa un elmo.

L'Infedeltà
Regge un idolo  che lo tiene legato al collo tramite un cappio, simbolodella schiavitù che generano i falsi miti, impedendogli di guardarsi alle spalle dove spunta la Verità, simboleggiatada un profeta che sventola invano il suo cartiglio, simbolodel messaggio divino. Le fiamme in basso a sinistra sono allusioneal futuro destino all'Inferno dell'idolatra.

L'Incostanza è l'iconadi una donna in precario equilibrio su una ruota che corre verso il basso, e che sta cadendo all'indietro, come indica il mantello svolazzante.

L'Incostanza
È allegoriadel fatto che appena viene indotta in tentazione, ci cade.

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Un'opera magistrale, un meraviglioso testo visivo in grado di illustrare per accumulazione tutta la teoria cristiana delle virtù teologali e cardinali e dei vizi capitali, e che quindi utilizza da più di settecento anni la funzione metalinguistica per ammonire i credenti.

I vizi e le Virtù analizzati sul nostro canale video. Buona visione!

IL TESTO

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Un testo è una successione ordinata e coerente di concetti fra due interruzioni della comunicazione, quello iniziale e quello finale.

Per esempio un articolo di un quotidiano è un testo, che ha il suo punto iniziale nelle prime frasi, il suo punto finale nella conclusione, così come un film o un romanzo.

L'articolo di un quotidiano è un testo
Ci sono però due tipi di testi, quello diacronico e quello sincronico.

Il diacronico è tale quando esiste una successione di concetti la cui fruizione da parte del destinatario è decisa dall'autore (per capire un film o un romanzo si è costretti a leggere dal primo capitolo sino alla fine, o a vedere dalla prima scena, altrimenti si fa confusione).

Un romanzo è un testo diacronico
Il sincronico è tale quando non esiste una vera e propria successione e il destinatario può autonomamente scegliere da quale concetto contenuto nel testo può iniziare a fruire il testo e con quale terminare.

Un dipinto è un testo sincronico
Per esempio, se osservo un dipinto, posso iniziare ad ammirarlo da dove voglio, seguire un percorso visivo che potrebbe essere differente da quello del mio vicino e godere pienamente ed efficacemente del quadro senza bisogno di seguire uno svolgimento deciso dall'autore.

LE PROSOPOPEE NEI TAROCCHI

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Il noto mazzo di carte dei tarocchi, generalmente composto da 78 carte, la cui origine risale alla metà del XV secolo nell'Italia settentrionale, rivela alcuni legami interessanti con la produzione artistica del periodo e i temi iconografici che in quel periodo venivano sviluppati nelle corti italiane.

Ad esempio i mazzi di tarocchi Visconti-Sforza, del XV secolo, sono di grande interesse sia storico, sia artistico, non solo per la bellezza delle illustrazioni realizzate con materiali preziosi e che, in alcuni casi, si ritiene ritraggano membri delle famiglie Visconti e Sforza, ma per il legame con il mondo artistico e filosofico che le dinastie riuscirono a realizzare e sviluppare.

I più noti artisti e pensatori del tempo si ritrovano quindi ad esprimere i loro concetti non solo attraverso i grandi cicli pittorici o i voluminosi trattati, ma riescono a trasferirli in oggetti appartenenti alla sfera del quotidiano.



Le varie figure che compaiono sulle carte dei tarocchi rivestono di volta in volta un ruolo iconico, simbolico, fino alla rappresentazione di figure retoriche molto articolate, come nel caso delle prosopopee, che già trovavano la loro applicazione nelle celebri rappresentazioni dell'epoca, da Botticelli a Mantegna.

Prendiamo come riferimento uno dei più noti "mazzi storici", quello realizzato da Bonifacio Bembo nel XV secolo e conservato nella biblioteca Pierpont-Morgan a New York, composto da 35 carte "superstiti".

Una delle figure più interessanti è indubbiamente la Ruota della Fortuna, dove la prosopopea (personificazione) della fortuna, avviene attraverso la raffigurazione di una donna alata e curva, al centro di una ruota, simbolo delle alterne fortune che contraddistinguono la vita.

La Ruota della Fortuna
Alla sommità c'è un uomo seduto con le orecchie d'asino, con uno scettro nella mano destra. A fianco altre figure maschili, una con le orecchie, l'altra, capovolta, con la coda. Sotto, un vecchio sorregge tutto l'impianto.

I cartigli che accompagnano ogni figura recitano, partendo dall'alto: REGNO, REGNABO, REGNAVI. L'uomo in fondo? SUM SINE REGNO.

La prosopopea del Tempo viene invece espressa con un classico uomo dai capelli grigi con una lunga barba che indossa un cappello e tiene una simbolica clessidra nella mano destra e un bastone nella sinistra.

Il Tempo
La Morte viene invece rappresentata con uno scheletro mentre, al posto della consueta falce, impugna un imponente arco, pronta a incoccare il dardo estremo.

La Morte
Altra interessante prosopopeaè quella della Temperanza, dove una donna pone la massima attenzione e la dovuta concentrazione nello sforzarsi di miscelare perfettamente i due liquidi, posti nelle due brocche, consapevole dell'importanza del compito che sta portando a termine.

La Temperanza
Lo sviluppo delle figure retoriche nei tarocchi porta quindi ad un'elevazione del significato attribuito alle singole carte.

Da semplice gioco di presa, come la briscola ad esempio, le carte ci propongono un doppio senso di lettura, in un viaggio che parte, in un climax ascendente, dall'uomo e la sua condizione (materia), passando per le muse (astratto), le arti liberali (intelletto), le virtù e i principi cosmici (la morale e le grandi energie del cosmo), sino  ai pianeti le sfere celesti e la Prima Causa (rappresentanti le influenze astrali), sino al divino, l’origine del tutto ovvero il mondo spirituale.

La bellissima collezione Pierpont-Morgan proposta sul nostro canale YouTube.

LA JOIE DE VIVRE DI PABLO PICASSO E L'ALLEGORIA DELLA VITA

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Pablo Picasso dipinge "La joie de vivre" nell'ottobre 1946. Sono alle spalle i terribili momenti della guerra civile spagnola immortalata nella Guernica e della Seconda Guerra Mondiale, oltre alle tristi vicende personali della morte della madre e della fine della relazione con Dora Maar.


La sua nuova amante e musa ispiratrice Françoise Gilot e il trasferimento ad Antibes sulla Costa Azzurra, dove Romuald Dor de La Souchèr gli mette a disposizione per dipingere una sala del Castello Grimaldi, donano una linfa vitale al suo estro pittorico.

Prendendo in considerazione le categorie cromatiche la Joie de vivre è senza dubbio il quadro più colorato del periodo di Antibes, con le sabbie dorate e le diverse tonalità di blu del cielo e del mare. Un contrasto complementare percettivo tra i blu e i gialli di sicuro impatto visivo e di notevole dinamismo.

Dal punto di vista compositivo e le relative categorie topologiche la figura assialeè rappresentata dalla donna dalla cui danza si sprigiona tutta l'energia che coinvolge gli altri protagonisti della scena: i due capretti, il centauro che suona il flauto e il fauno che si cimenta con il diaulo.


Da notare le bellissime diagonali che ritmano ulteriormente la composizione. Quella che dall'oscuro angolo di destra passa attraverso i capretti e la donna fino ad arrivare a un bellissimo mare dove veleggia una imbarcazione, simbolo della ritrovata voglia di andare alla scoperta di nuovo orizzonti.

Non meno interessante è l'obliqua opposta che associa le figure mitologiche con gli strumenti musicali e la donna danzante agli arbusti un po'stentorei ma vivi, che simboleggiano la rinascita del mondo a cui contribuisce l'arte. 

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Da questa donna-fiore, simbolo di bellezza visionaria e allegoria dell'energia vitale che coinvolge tutti gli altri protagonisti del quadro ne scaturisce un nuovo Eden, un nuovo Olimpo.

È la "gioia di vivere" di Pablo Picasso.

IL PIANO AMERICANO DI LORENZO LOTTO

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Può sembrare "blasfemo" l'accostamento tra la definizione di piano americano e la bellissima opera "Cristo e l'adultera" (1548-50, Museo-Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto) di Lorenzo Lotto.

Osservando il dipinto possiamo notare come l’adultera, sulla sinistra del dipinto, sia attorniata da una folla di personaggi tagliati a due terzi della figura, su sfondo scuro.

Ed è proprio il taglio a due terzi della figura che rimanda alla successiva definizione di piano americano, adottata nel mondo della cinematografia.

Nella settima arte questa inquadraturaparte dalla metà della coscia e  viene spesso utilizzata per "inquadrare" due o più persone con un taglio all'altezza delle ginocchia.

Per la cronaca si ritiene che questo piano sia nato nel cinema western, dove vi era la necessità di mostrare i personaggi armati con le fondine appese al cinturone.

Clint Eastwood in PER UN PUGNO DI DOLLARI di Sergio leone
Uno dei precursori è da ritenersi David W. Griffith che tra il 1908 e il 1916, pur restando fedele alla tecnica del tableau, fece uso a volte di quello che in seguito venne definito proprio come piano americano.

Una piano americano in THE LAST DROP OF WATER di David W. Griffith
E come questo tipo di inquadratura serve a dare all'attore maggiore libertà espressiva e d'azione, così in Lorenzo Lotto viene utilizzato per raffigurare le persone intorno al Cristo e all'adultera nel loro gesticolare scomposto.

Lorenzo Lotto, Cristo e l'adultera, 1548-50, Museo-Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto
C’è chi enumera i suoi peccati, chi indica il cielo e le sue leggi. Un solo personaggio, probabilmente il più anziano degli altri, invita al silenzio.

Al centro la figura solenne e ieratica del Cristo, con il braccio destro alzato, sembra quasi proteggere la donna, mentre con la sinistra esprime il segno rovesciato della benedizione, con le dita rivolte in basso.

LA TRASFIGURAZIONE DI RAFFAELLO SANZIO E IL SAPIENTE USO DELLE INQUADRATURE

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La pala della Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, databile al 1518-1520 e conservata nella Pinacoteca Vaticana, accosta per la prima volta due episodi trattati nel Vangelo secondo Matteo.

In alto la Trasfigurazione di Gesù con gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, prostrati per la sfolgorante manifestazione divina di Gesù. Il Cristo è affiancato dalle manifestazioni sovrannaturali di Mosè ed Elia, profeti nelle cui parole si prevedeva l'accaduto.

La Trasfigurazione di Raffaello Sanzio
Nella sezione inferiore i restanti apostoli che si incontrano con il fanciullo ossesso che sarà miracolosamente guarito da Gesù al ritorno dal Monte Tabor. Tale innovazione iconografica vuole aggiungere spunti drammatici per meglio competere con Sebastiano del Piombo e il suo tema, la Resurrezione di Lazzaro.

Sebastiano del Piombo, La Resurrezione di Lazzaro, 1516-19, National Gallery, Londra
L'estremo dinamismo e la forza che scaturisce dalla contrapposizione tra le due scene è evidente: le due composizioni circolari, una parallela al piano dell'osservatore e una scorciata nell'emiciclo di personaggi in basso.

Le due composizioni circolari in uno schizzo della Scuola di Raffaello
La differenza tra le due inquadrature, simmetrica e astrattamente divina quella superiore, convulsa e irregolare quella inferiore, non compromettono però l'armonia dell'insieme, facendone "un assoluto capolavoro di movimento e organizzazione delle masse, in cui figure singole e gruppi di eccellente fattura si combinano con grandi moltitudini in un mobile insieme di grande vitalità". Lo stesso Vasari ricordò l'opera come "la più celebrata, la più bella e la più divina" dell'artista.

Particolarmente spettacolare è l'uso della luce, proveniente da fonti diverse e con differenti graduazioni. Interessante è il dolce paesaggio del tramonto che si vede sulla destra, una rara notazione che chiarisce l'ora del giorno.

La nube che lo circonda sembra spirare un forte vento che agita le vesti dei profeti e schiaccia i tre apostoli sulla piattaforma montuosa, mentre in basso una luce cruda e incidente, alternata a ombre profonde, rivela un concitato protendersi di braccia e mani, col fulcro visivo spostato a destra, sulla figura dell'ossesso, bilanciato dai rimandi, altrettanto numerosi, verso la miracolosa apparizione superiore. Qui i volti sono fortemente caratterizzati e legati a moti di stupore, sull'esempio di Leonardo da Vinci e opere come l'Adorazione dei Magi.

Raffaello Sanzio. Lo studio dei personaggi per la Trasfigurazione.
La diversità tra le due metà, simmetrica e astrattamente divina quella superiore, convulsa e irregolare quella inferiore, non compromettono però l'armonia dell'insieme, facendone "un assoluto capolavoro di movimento e organizzazione delle masse, in cui figure singole e gruppi di eccellente fattura si combinano con grandi moltitudini in un mobile insieme di grande vitalità". Lo stesso Vasari ricordò l'opera come "la più celebrata, la più bella e la più divina" dell'artista.

L'Epifania del Cristo, circondato da nubi.
Sull'asse principale si realizza la straordinaria epifania del Salvatore, che scioglie il dramma della metà inferiore in una contemplazione incondizionatamente ammirata.

Sul canale Youtube di Ars Europa uno splendido video sulla Trasfigurazione di Raffaello. Buona visione!

ICHNUSA, LE IMPLICAZIONI DELLA FIEREZZA DI ESSERE DIVERSI

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Il nome della birra nasce dall'antico appellativo dato alla Sardegna dai primi abitanti dell'isola.

Già questa omonimia presuppone un forte legame fra il prodotto e il luogo in cui essa nasce, che riecheggia, con orgoglio, nella bella pubblicità.



I vari elementi atavici caratteristici, simbolici e connotativi del mondo sardo vengono reinterpretati allegoricamente in chiave attuale e moderna.

Ecco quindi che i Mamutones diventano "il nostro Halloween", l'infrangersi delle onde del mare sugli scogli "il nostro sound", i pastori sono "i nostri hipster", le nuotate con gli amici nell'acqua cristallina "i nostri social".



La presupposizione che si usa è che tutto è stato inventato in questa terra antica e misteriosa molto prima dei tempi, ed è stato scoperto dai non sardi molto tempo dopo e in forma meno intensa e nobile.

Vi è anche l'implicazione che in Sardegna tutto è vissuto in modo più sano, più vero, più autentico, più umano.



Tutto, a cominciare naturalmente dalla birra, l'unica ancora genuina come lo sono i colori, i profumi, i suoni, la luce e le tradizioni sarde.

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L'unica con l'anima sarda, soffio vitale di una terra antitetica, bellissima e selvaggia, fiera e indipendente, antichissima e moderna.


GIORGIO DE CHIRICO E LE MUSE INQUIETANTI

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La celebre opera di Giorgio de Chirico raffigura uno spazio aperto sul quale sono situate in primo piano due statue classiche: una eretta, e l'altra seduta su un basamento. Entrambe le figure, connotate dalla testa di un manichino da sartoria, sono circondate da diversi oggetti, mentre sullo sfondo è collocata una terza statua maschile.

Costituiscono le famose icone stilizzate, in gergo diagrammi, di due figure antropomorfe, che sono simbolo delle Muse, definite inquietanti anche a causa della illogicità e stravaganza della loro forma e collocazione, che compongono l'allegoria dell'ispirazione artistica.

Le muse inquietanti è un olio su tela composto da Giorgio de Chirico nel 1917-1918. conservato in una collezione privata.

La presenza di diversi simboli all'interno del dipinto rende avvincente una sua interpretazione.

Il castello sullo sfondo è un riferimento a Ferrara, città dove nacque la pittura metafisica, teatro del cruciale incontro con Carlo Carrà nonché luogo di fondamentali riflessioni estetiche.

Il manichino eretto in primo piano potrebbe essere la raffigurazione di Ippodamia, personaggio mitologico che, durante la battaglia dei Centauri e dei Lapiti, attese l'esito dello scontro con inquietudine, un sentimento che contribuì a ispirare il titolo all'opera.

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Secondo le categorie eidetiche la musa in piedi tende a far percepire un'idea di tensione e trepidazione, mentre quella seduta, più morbida e rotonda, di calma, riflessione.

L'inquadraturain campo medio ha lo scopo di sottolineare le relazioni intercorrenti tra i vari elementi compositivi.

La prospettiva, volutamente imperniata su differenti punti di fuga, converge sullo sfondo, nella rappresentazione del Castello Estense di Ferrara, affiancato ad una fabbrica.

Proprio lo sfondo, con le sue architetture, rivela un'ulteriore antitesi, evidenziata dall'accostamento tra le torri delle ciminiere, e quelle del Castello Estense di Ferrara: un equilibrio instabile tra modernità e tradizione che sarà poi ripreso anche dall'arte cinematografica di Michelangelo Antonioni.

Sebbene l'immagine sia nitida, l'atmosfera è irrealmente silenziosa e straniante, anche grazie ai colori caldi ed alla luce statica e intensa.

L'incoerenza degli accostamenti morfologici e cromatici, della stravagante pseudo prospettiva, il polisindeto visivo dei vari oggetti che compongono le figure, sono parte integrante della corrente "metafisica" ideata da de Chirico, che tende a dare una sensazione di mistero e inquietudine allo spettatore.

Da notare anche il climax di angoscia e di disperazione che, come ha sottolineato Eugenio Borgna, "rinasce dalle figure senza occhi e dai loro volti prosciugati: destando l'immediata impressione di un silenzio stupefatto e lacerante".

IL SIMBOLO DEL CAVALLO DELLA RAI DI VIALE MAZZINI

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Si trova a viale Mazzini a Roma dal novembre del 1966, a far bella mostra di sé, della sua forza e del suo vigore ed è ormai per tutti il simbolo della RAI.

Lo chiamano cavallo morente, ma sarebbe ben strano che il vice direttore generale di allora, Marcello Bernardi, avesse scelto un simbolo così malaugurante per l'azienda che dirigeva.

Infatti la storia è ben diversa.

Il cavallo, in origine, fu pensato da Francesco Messina come elemento di un gruppo scultoreo, formato da quattro cavalli e una biga sul quale sarebbe dovuto apparire il libertador Simon Bolivar, liberatore delle repubbliche di Venezuela, Perù e Bolivia.

Lo scultore Francesco Messina

Le mutate condizioni economiche della Bolivia però impedirono di fatto la realizzazione della costosissima opera e fu così che il vice direttore generale della Rai, Marcello Bernardi, venuto a conoscenza del progetto sfumato di Messina e pieno di ammirazione per uno dei disegni, quello che appunto ritraeva uno dei cavalli di Bolivar, il cavallo rampante nell'atto di ergersi da terra, in tutta la sua potenza, lo commissionò all'artista per posizionarlo dinanzi all'ingresso della sede principale della Rai di Roma, come simbolo di potere e di forza, dell'azienda e della comunicazione più in generale.

Fatto sta, che qualche anno più tardi un giornalista, vedendo i primi segni di degrado della scultura, attaccata dagli agenti atmosferici, attribuì a quelli che erano semplici indici degli effetti dell'inquinamento, il valore di icona di ferite, e così, fraintendendo, pensò di avere di fronte l'icona di un cavallo morente con le ferite che avevano causato la sua fine.

Scrivendo un articolo lo chiamò appunto "cavallo morente" e tutti gli altri giornalisti copiarono il nome e quindi il significato alterato del simbolo, forse anche volendo fare una non troppo velata allusione alle condizioni metaforiche dell'azienda che, ormai asservita a logiche di partito e di spartizione di aree di potere, stava morendo, massacrata dall'avidità e dalla cupidigia umana, incapace ormai di librarsi e volare alto, come previsto dai suoi creatori.

Un simbolo di libertà e forza, quindi, che attende di tornare al suo significato originario.

Di seguito il link dell'intervista all'architetto Giuseppe Basile, uno dei più importanti restauratori italiani, in cui racconta la genesi del cavallo bronzeo di Francesco Messina posizionato di fronte alla sede Rai di  viale Mazzini e la nascita della errata simbologia.

http://www.arseuropa.org/channel/2018/09/24/il-cavallo-della-rai-di-francesco-messina/

I CODICI PROSSEMICI

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Cosa si intende per codice? Secondo la definizione, il codice è l’insieme dei segni e delle norme relative al loro uso che regolano la comunicazione.

Riprendendo il concetto di segno, possiamo dire che, ad esempio, il divieto di accesso è un segno (o segnale) stradale, che insieme agli altri segnali e norme, crea il codice stradale. Quindi, in altre parole, tanti segni, inseriti in un contesto, formano un codice.

I codici sono numerosi, e si appoggiano gli uni agli altri per creare un linguaggio. Il linguaggio del corpo, ad esempio, nasce dall’uso contemporaneo, articolato e complementare dei codici prossemici, cinesici, cinetici, mimetici, dell’abbigliamento e vari altri.

Cominciamo a imparare a riconoscere i diversi codici.

Si parla di codici prossemici quando si ci riferisce ai significati che possono assumere i gesti e le posizioni del corpo e i rapporti degli oggetti in relazione a dove essi sono collocati; Entrando in una stanza, il fatto che gli oggetti siano disposti in un modo o in un altro, ci invia dei messaggi chiarissimi.

Se ad esempio entriamo in una stanza in cui i tavoli, tutti delle medesime dimensioni, siano ordinatamente posti l’uno accanto all’altro, e tutti guardino verso la medesima direzione, in cui è posizionato un tavolo di solito più grande, voltato in modo che guardi verso questi tavoli più piccoli, sapremo che probabilmente ci troviamo in un luogo di formazione, in cui un certo numero di discenti ascolteranno in ordine silenzioso la lezione di un docente.

Il luogo invita ad un atteggiamento diverso rispetto al caso in cui l’organizzazione degli oggetti nello spazio sia, ad esempio, ad isola, con tutti i banchi disposti in modo da creare un luogo di lavoro e di cooperazione tra tutti.

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La prima disposizione è gerarchica, la seconda paritaria. La prima ricorda le aule delle scuole ottocentesche, in cui si dava del voi al maestro, si chiedeva il permesso di alzarsi o di parlare e non erano ammesse discussioni, la seconda ricorda una sala riunioni, un luogo di lavoro, una redazione, in cui ognuno è implicitamente invitato a offrire il suo commento e il suo contributo.

Naturalmente non è detto che una determinata disposizione degli oggetti nello spazio implichi necessariamente un determinato tipo di atteggiamento.

Non basta un solo codice a creare una regola di comunicazione tra emittente e destinatario.

IL BUON SAMARITANO DI VINCENT VAN GOGH

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Il buon Samaritano è un dipinto eseguito da Vincent van Gogh nel maggio del 1890, anno della sua morte, avvenuta il 29 luglio, ispirandosi a un passo del Vangelo di Luca. 

Il soggetto è invece derivato da una litografia del pittore francese Eugène Delacroix.

L'opera fu realizzata immediatamente dopo il recupero da una ricaduta della malattia, e può essere visto in essa il desiderio dell'artista di trovare conforto nella rappresentazione, come una via d'uscita dalla depressione, identificando se stesso in un modo o nell'altro con i soggetti della tela. 

La scena è ambientata lungo una strada sterrata, in mezzo a campi bruciati dal sole, che costeggia un fiume, dove, in primo piano, compaiono il buon Samaritano e il viandante.

Vincent van Gogh, Il buon Samaritano (1890), olio su tela, Kröller Müller Museum, Otterlo, Paesi Bassi

Il buon Samaritano, sceso da cavallo per soccorrere il viandante, risulta una perfetta rappresentazione del ruolo attanziale dell’aiutante. L'uomo è teso nello sforzo di sollevare il  corpo inerte, per poggiarlo sulla sella. Tutto la sua figura richiama questo sforzo: inarca la schiena fa leva con la gamba, punta il piede a terra e solleva il tallone che si stacca dalla calzatura, ha rimboccato le maniche per poter lavorare meglio. 

Quindi, il Samaritano è il soggetto, salvare la vita al ferito è l'oggetto, sempre il samaritano è aiutante, le condizioni pietose del bisognoso sono l'opponente, l'artista che dipinge l'opera è il destinantee chi come noi la ammira, il destinatario.

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Nella scena ritroviamo anche l’archetipo dell'orfano: derubato e malmenato, con un'evidente benda sulla testa, ancora privo di forze, l’uomo ferito viene sollevato e caricato faticosamente dal Samaritano sul cavallo. La sua corporatura pesante e inerme, diventa quasi, con un richiamo al modello attanziale precedentemente accennato, incolpevole opponenteall'azione intrapresa dal Samaritano.

Bellissima anche la figura del cavallo che attende pazientemente che il carico gli sia posto sulla groppa. Ha le orecchie dritte pronto a percepire ed assecondare ogni movimento.

Le tre figure presenti in primo piano.
In questo fantastico gioco di inquadrature all'azione maestosa e drammatica in primo piano fanno da contrappeso le figure in secondo piano.

I due passanti indifferenti (il sacerdote e il levita) che hanno ignorato il ferito, li vediamo camminare sul sentiero nell'atto di svanire all'orizzonte in mezzo alle nuvole bianche, che si addensano sullo sfondo e si confondono con le pendici dei monti. 

Una splendida comparazione tra il loro stato d’animo, votato all'indifferenza e la loro collocazione “evanescente” all'interno dell'opera. 

Una delle due figure in secondo piano
È notevole la capacità di Vincent van Gogh di svelare le proprie emozioni, attraverso le sue raffigurazioni. Quando dipinge quest'opera vive una fase difficile della sua malattia, durante la quale si sente solo e abbandonato come l'uomo trovato ferito della parabola.

Per quanto concerne le categorie eidetiche, La struttura compositiva dell'opera è realizzata come un'istantanea che registra un equilibrio instabile delle figure, nel quale il Samaritano fa ogni sforzo per sollevare il peso inerte del ferito, che a sua volta, in posizione instabile, fa una forte pressione laterale sull'animale, che, per contrastare la spinta, sembra muoversi sulle zampe. Il movimento goffo dei due uomini, che quasi si abbracciano, il cui tracciato è una linea sinuosa, crea a sua volta il movimento naturalmente ondulato dei vestiti e che si diffonde sull'animale e sulle montagne sullo sfondo.

La somiglianza fra i tratti del Samaritano e quelli del pittore, e il suo stesso gesto di solidarietà vuole trasmettere l'idea che per aiutare davvero il prossimo, è necessario addossarsene il dolore e le difficoltà (sensazione rafforzata dal contrasto con le due piccole figure, il sacerdote e il levita, che si allontanano sullo sfondo dopo aver rifiutato di prestare soccorso al ferito).


Una diagonale attraversa, dall'angolo in alto a sinistra verso il basso a destra, il dipinto e divide in due triangoli e due differenti impostazioni cromatiche: nella parte superiore predominano i colori freddi e le linee ondulate, mentre in quella inferiore i colori sono caldi e i tratti brevi.

LA BAUHAUS SU POLISEMANTICA

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Molte volte nel corso delle nostri articoli su Polisemantica, appare il nome della Bauhaus, in quanto alcuni dei fondamenti grafici, cromatici e di design che vengono utilizzati ancora oggi nel mondo della pubblicità, dell'arte  del design e della comunicazione in generale, sono stati forgiati o codificati tra le mura di Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e infine a Berlino dal 1932 al 1933.

Erede delle avanguardie anteguerra, la Bauhaus non fu solo una scuola, ma rappresentò anche il simboloe il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d'innovazione nel campo dell'arte, della comunicazione visiva, del design e dell'architettura legati al razionalismo e al funzionalismo, facenti parte del cosiddetto movimento moderno.

Il numero e la qualità dei docenti fu molto elevato. Ricordiamo solo Gropius, fondatore della scuola, Meyer, Mies van der Rohe, Itten, Albers, Moholy-Nagy, Klee e Kandinsky.

Il documentario sulla Bauhaus su Ars Europa Channel. Buona visione!

I SIMBOLI NASCOSTI NEL LETTO

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Il letto - SIGN&DESIGN – storia e simboli degli oggetti di moda, lusso e design - 3ª puntata


La terza puntata della serie video "Sign&Design", prodotta da Ars Europa Channel, è dedicata al letto e alla storia, la simbologia e l'interpretazione artistica e dei maestri di design, di uno degli elementi d'arredo più comune nelle nostre case.

La semiologa Cinzia Ligas ci introduce alla scoperta di elementi misteriosi e significativi correlati a questo mobile, che oltre alla sua funzione pratica, assolve al soddisfacimento di numerosi bisogni comunicativi e simbolici.

Chi e quando ha inventato il letto? Quali sono state le sue trasformazioni nel passare dei millenni?

Il letto è stato inoltre elemento fondante di numerose opere d'arte. Quale significato hanno voluto dargli gli artisti? Di quali messaggi inconsci è portatore?

Infine, come è stato interpretato dai maestri del design e quali significati nascosti, inconsci, sono celati e contemporaneamente veicolati dall'uso delle forme e dei colori usati per realizzarlo?

A queste e altre domande potrete trovare risposta in questa puntata.





L'ADORAZIONE DEI MAGI E LA RIVOLUZIONE COMPOSITIVA DI LEONARDO

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Il tema dell'Adorazione dei Magi fu molto impiegato nell'arte fiorentina del XV secolo, poiché permetteva, grazie al tema centrale della regalità, di inserire episodi e personaggi che celebravano il fasto dei committenti di fronte al Bambino.

Il fasto e la regalità dei dignitari sono ben rappresentati nel corteo guidato da Lorenzo il Magnifico, nel  famoso ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli, del 1459, ospitato all'interno di palazzo Medici Riccardi a Firenze.
Leonardo riesce a rivoluzionare il tema tradizionale centrando l'episodio nel momento preciso dell'espressione del più profondo senso religioso, cioè quando il Bambino, con il gesto di benedizione, rivela la sua natura divina agli astanti quale portatore di Salvezza, secondo il significato originario del termine "epifania", ovvero "manifestazione".

La rivoluzionaria Adorazione dei Magi di Leonardo, realizzata tra il 1481 e il 1482 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Ciò è reso manifesto soprattutto dalla reazione degli astanti, ritratti in un vortice di gesti, attitudini ed espressioni di sorpresa e turbamento, al posto della tradizionale compostezza del corteo dove i pittori erano soliti sfoggiare dettagli ricchi ed esotici.


L'effetto non è quello della comparazione delle regalità presenti nella rappresentazione, ma quello di uno sconvolgimento interiore di fronte al manifestarsi della divinità e al suo messaggio.

La stessa disposizione del corteo a semicerchio dietro alla Vergine, lasciando uno spazio vuoto nell'ideale centro dello spazio, dove si trovano una roccia con un albero, amplifica tale significato.

Un particolare del dipinto di Leonardo che evidenzia le espressioni di sorpresa e turbamento degli astanti al gesto di benedizione del Bambino.
Infatti il leggero moto della Vergine (collocata in posizione leggermente arretrata e che accenna a un movimento rotatorio, con le gambe orientate a sinistra e il busto, nonché il volto, verso il Bambino a destra), sembra così propagarsi per cerchi concentrici, come un'onda generata dalla rivelazione divina.

Il risultato è una scena estremamente moderna e dinamica, dove solo le figure in primo piano, in uno splendido contrappunto, sono relativamente statiche, con uno studio intenso dei moti dell'animo e delle relative manifestazioni "corporee".

Di seguito, nella nostra galleria virtuale, proponiamo alcuni dei più celebri dipinti aventi come tema l'Adorazione dei Magi. Buona visione!

  

IL BATTESIMO DI CRISTO DEL VERROCCHIO E LE ANTITESI DI LEONARDO

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Nel Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio, databile tra il 1475 e il 1478 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, alcune parti sono dipinte dai più talentuosi aiutanti della bottega del maestro fiorentino. A Leonardo da Vinci spetta il dolce volto dell'angelo di profilo, dove si può apprezzare il suo caratteristico e impareggiabile stile sfumato.

Leggendario a tal proposito il resoconto del Vasari nelle sue Vite dove riporta l'aneddoto secondo cui Verrocchio non avrebbe più toccato il pennello dopo aver visto l'allievo superarlo.

L'antitesi tra l'angelo sfumato di Leonardo (sulla sinistra) e quello del Verrocchio
L'opera è impostata su una tradizionale composizione triangolare, molto stabile, che ha come vertice la ciotola o conchiglia posta nella mano di san Giovanni Battista. La base è invece rappresentata dalla linea ideale che collega il piede sinistro del Battista a quello dell'angelo inginocchiato.



Nella figura geometrica è inscritta e funge da centro visivo la figura del Cristo, che dà alla scena, come in altre opere future di Leonardo, anche un movimento rotatorio, accentuato dalla posizione di tre quarti dell'angelo sulla sinistra che volge le spalle all'osservatore.

La tradizionale composizione triangolare in cui si inserisce la rotazione di Gesù
Importante lo sguardo dell'angelo, in quanto guida lo spettatore verso il Cristo. La testa dell'angelo leonardesco è leggermente più bassa nella superficie: se ne deduce che il pittore dovette raschiare via una vecchia preparazione prima di ridipingerla.

L'intervento di Leonardo non si limita al solo angelo, ma si estende al corpo di Cristo, dove la sua mano si riconosce bene in alcuni dettagli minuziosamente naturalistici, in antitesi anch'essi, come per il volto dell'angelo, rispetto ad al resto della composizione, come ad esempio i morbidi peli del pube, molto diversi ad esempio dal lucido e spigoloso perizoma rosso rigato.

L'antitesi tra la morbidezza del pube e la spigolosità del perizoma di Gesù
Anche le acque del Giordano in primo piano rivelano la mano di Leonardo, estese fino a immergere i piedi di Gesù e del Battista.

La ricerca naturalistica di Leonardo si estende agli effetti della rifrazione delle acque sui piedi di Gesù e del Battista
In alto le mani di Dio Padre, di scarsa fattura, inviano la Colomba dello Spirito Santo circondata da raggi divini.

Il paesaggio sullo sfondo è aperto su un'ampia valle percorsa da un fiume ed è reso con volumi atmosferici che ammorbidiscono e sfumano le forme, differenziandosi, ancora in evidente antitesi, dalle rocce rozzamente squadrate o dall'ingombrante e schematica palma in primo piano.

L'antitesi tra la morbidezza del paesaggio sullo sfondo e la schematica palma in primo piano
Non manca la connotazione simbolica: una colomba bianca e un uccello rapace nero sono in netto contrasto, in quanto uno è simbolo della pace, l'altro rappresenta il male.

LA MADONNA DAL COLLO LUNGO DEL PARMIGIANINO E L'IPERBOLE METAFORICA

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"Parmigianino"è il soprannome (quindi forma di analogia) di Girolamo Francesco Maria Mazzola nato a Parma l' 11 gennaio 1503  e morto a Casalmaggiore il 24 agosto 1540.

Uno dei suoi capolavori è la Madonna dal collo lungo, databile al 1534-1540 e conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

La Madonna dal collo lungo, uno dei dipinti più importanti e rappresentativi del Manierismo italiano
In essa le forme allungate e sinuose, l'asimmetria e l'anticlassicismo giungono a un livello tale da costituire una decisa rottura degli equilibri del Rinascimento e ne fanno uno dei dipinti più rappresentativi del Manierismo italiano.

L'autore ha quindi voluto rompere la tradizione pittorica e rappresentare la Vergine in modo da farla percepire ai devoti che l'ammiravano con un senso di ascesi, elevazione, slancio.

Naturalmente, tale testo sincronico, è contemporaneamente sia opera d'arte che artefatto comunicativo, quindi passibile di analisi.



Semioticamente  parlando, la connotazionedel collo allungato è una iperbole che evoca la metafora dell'elevazione spirituale della Protagonista e della sua superiorità su tutte le altre creature.

Anche la composizione evita la tradizionale simmetria nella disposizione del personaggi.

A sinistra si assiepano sei angeli (o efebi, secondo un'altra interpretazione), accalcati confusamente in uno spazio ristretto per vedere il neonato.

La testa del sesto angelo è incompiuta e difficilmente individuabile: si trova esattamente sotto il gomito destro di Maria.

La testa del sesto angelo, nascosta sotto il gomito destro di Maria
L'angelo in primo piano, di cui si vede la snella coscia nuda, (una citazione della Madonna di San Giorgio del Correggio, e un'ala grigia levata, porge a Maria un vaso d'argento in cui si riflettono alcuni bagliori, tra cui si distingue un crocifisso.

Il crocifisso riflesso nel vaso d'argento
L'icona della croce diventa un riferimento simbolico all'Immacolata concezione (tema caro ai Serviti, committenti dell'opera) e all'appellativo di Maria come "vaso mistico", oltre che prefigurazione della Passione per il Bambino che, addormentato, ricorda la posizione delle Pietà.

Ritornando all'insolita composizione e alle inquadrature adottate si osservi il lato inferiore destro dove un minuscolo uomo emaciato, "così rimpicciolito dalla distanza che a stento raggiunge il ginocchio della Madonna", come fa notare il Gombrich, srotola una pergamena.

La figura in basso a destra e il piede, sineddoche di un San Francesco, non realizzato
Accanto a lui doveva trovarsi un secondo personaggio, di cui l'artista fece in tempo a dipingere appena un piede: la sineddochedi un san Francesco, patrocinante del culto dell'Immacolata

Ecco una bellissima videoclip con la galleria virtuale con i capolavori del Parmigianino. Buona visione!


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